Nella chiesa cattolica c’è chi non vuole la ricerca teologica
Articolo del teologo tedesco Gerhard Kruip* pubblicato sul sito cattolico Katholisch (Germania) il 29 novembre 2018, seconda parte, liberamente tradotto da Antonio De Caro
La Chiesa del Concilio ne era evidentemente ancora più consapevole. Scrivevano allora i Padri conciliari che la Chiesa era anche consapevole di « quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall’evoluzione del genere umano.
L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa. Essa, infatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione» (GS 44).
Ci sono attualmente importanti gruppi e persone nella Chiesa che vogliono impedire tali processi di apprendimento e quindi opporsi al sensus fidelium, a Papa Francesco e, in definitiva, all’incarico affidato da Gesù. Il nunzio Nikola Eterovic è palesemente uno di loro quando chiede ai professori cattolici “di seguire ciò che dice l’insegnamento della Chiesa, che si trova, ad esempio, nel Catechismo”.
Così facendo, non solo rende superflua ogni scienza teologica, ma pretende anche che il catechismo del 1992, a quel tempo già controverso all’interno della Chiesa, sia l’incontrovertibile Parola di Dio. Ma secondo la costituzione conciliare Dei verbum Gesù Cristo è la Parola in cui Dio si è rivelato. Perciò è possibile e necessario che «la comprensione delle cose e delle parole tradizionali cresca attraverso la riflessione e lo studio dei credenti che le meditano nel loro cuore» (DV 8) .
Insopportabili anche le ultime dichiarazioni del cardinale Gerhard Ludwig Müller. E quando scrivo così, non sono guidato da “rabbia insensata” – con queste parole il cardinale Müller aveva accolto una simile critica di padre Klaus Mertes. Dicendo che la Causa Wucherpfennig mostra l’avanzata dell’ateismo nella Chiesa, l’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede rifiuta di riconoscere la fede di tutti coloro che, per buone ragioni e motivati dalla loro fede, invocano riforme nella Chiesa e nella dottrina, e li espelle dalla Chiesa – e ciò senza entrare affatto in discussioni sul merito dei problemi. Questo non è altro che un rifiuto di entrare in dialogo e un ostacolo a urgenti processi di apprendimento.
Alla base dell’affermazione del cardinale Müller vi è l’idea che solo la fede in Dio stabilisce norme morali e conduce a posizioni indiscutibili; ma essa contraddice anche gran parte della tradizione di pensiero cattolica e intuizioni filosofiche molto più antiche. Dal dialogo Eutifrone di Platone sappiamo che una norma morale non è corretta perché Dio la vuole, ma che Dio la vuole perché è moralmente corretta e questo può essere riconosciuto dalla ragione.
Il cardinale Müller degrada Dio a mezzo per un fine
Qualsiasi altra cosa significherebbe che si dovrebbe prima concordare sui corretti testi e sull’autorità della rivelazione religiosa prima di poter giungere a una morale comune, necessaria per la convivenza umana. Si tratta di un’idea del tutto irrealistica che aprirebbe la porta all’integralismo religioso e al fondamentalismo e sarebbe estremamente dannosa per la convivenza di società pluralistiche. Noi cristiani non abbiamo il monopolio di sapere cosa è moralmente giusto. Piuttosto, anche i cristiani devono aprirsi al dialogo su questioni moralmente controverse e non devono rifiutare processi di apprendimento morale che avvengono anche al di fuori della Chiesa.
Se si volesse procedere con accuse di ateismo, allora l’accusa dovrebbe piuttosto essere diretta contro lo stesso cardinale Müller. Perché è lui che degrada Dio a mezzo per giustificare un’ideologia fondamentalista e una posizione di potere dichiarata assoluta per certe autorità e istituzioni ecclesiastiche, che però non possono più nemmeno contare sull’autorità del Papa. Una tale funzionalizzazione di Dio non corrisponde affatto al messaggio liberatore del Regno di Dio di Gesù.
Coloro che chiedono le riforme necessarie nella Chiesa e lo fanno per fondamentale lealtà ad essa non devono più lasciare la pretesa dell’ortodossia a coloro che non vogliono cambiare nulla e bloccare i progressi urgenti. Non sono questi ultimi che fanno parte della tradizione viva della Chiesa, ma coloro che sanno che bisogna aprire nuove sfide in ogni momento e senza paura e cercare ciò che è moralmente giusto. Chi si rifiuta di fare questo danneggia la Chiesa!
*Il teologo Gerhard Kruip insegna antropologia cristiana ed etica sociale all’Università Johannes Gutenberg di Magonza.
Testo originale: Kann die Kirche in moralischen Fragen dazulernen?