Nella chiesa cattolica è tempo di superare gli stereotipi sulle persone LGBT
Testo tratto dal libro LGBTQ Catholics: A Guide to Inclusive Ministry di Yunuen Trujillo (Paulist Press, 2022), capitolo 2, pagine 8-11, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Le persone LGBTQ cattoliche sono sempre state presenti (e continueranno ad esserlo) ad ogni livello della vita della Chiesa.
Facciamo parte della Chiesa, non siamo una “forza esterna” che minaccia di attentare alla sua purezza. Molti stereotipi circondano le persone LGBTQ cattoliche, ma è solo incontrandole che si può sapere davvero chi sono.
Esiste per esempio il mito secondo cui non sarebbero interessate alla religione, alla comunità di fede o a Dio: “Non esistono i cattolici omosessuali”.
In realtà le persone LGBTQ, come chiunque altro, hanno un profondo desiderio di connessione con la fonte della vita, di solito identificata con l’amore, o semplicemente con Dio. Dio, la fonte di ogni amore, ci chiama costantemente a vivere una vita più genuina e fruttuosa.
Noi desideriamo trovare una comunità nella Chiesa, uno spazio dove portare avanti la nostra relazione con Dio, ovunque ci conduca il nostro discernimento e il nostro cammino spirituale. Spesso questo spazio semplicemente non esiste, anche se alcuni e alcune di noi trovano una comunità, e rimangono nella Chiesa.
Essa, per le persone LGBTQ cattoliche, spesso è un luogo ben poco sano dal punto di vista emotivo: molte delle nostre esigenze vengono ignorate, e quindi molti e molte di noi la abbandonano. Alcune persone trovano spazi in altre tradizioni religiose o filosofiche; altre sono talmente ferite dal rifiuto di chi doveva rappresentare la religione o Dio, che preferiscono allontanarsi da tutto ciò che assomigli a una religione, ma Dio non si stanca di chiamarci, ovunque ci dirigiamo.
Le persone LGBTQ cattoliche che rimangono, in ogni caso, sono onnipresenti: siamo presenti a Messa ogni domenica, siamo nel coro che guida i vostri canti di lode, siamo i catechisti che aiutano a gettare le fondamenta della fede, dirigiamo i gruppi di preghiera, siamo i ministri dell’Eucarestia, siamo i bambini del catechismo e dell’oratorio, siamo gli studenti delle scuole cattoliche, siamo i collaboratori della parrocchia, e infine siamo i sacerdoti, i religiosi e le religiose che stanno a ogni livello della vita della Chiesa.
Senza dubbio, nella vostra frequentazione della Chiesa, avete incontrato qualcuno di noi: magari è una persona che vi sta particolarmente a cuore, o che ammirate per la sua fede. Molte persone LGBTQ cattoliche scelgono di non rendere pubblica la loro identità, o di riservarsi di farlo in futuro, perché non si sentono al sicuro nel loro ambiente, o perché sono ancora in una fase di discernimento, o anche di negazione.
Magari alcune di loro devono ancora scoprire la verità su loro stesse. In ogni caso, solo perché non sembriamo LGBTQ, o perché non ci comportiamo come secondo alcuni dovrebbe comportarsi una persona LGBTQ, non significa certo che non esistiamo.
Ciascuna persona LGBTQ può scegliere un particolare termine per identificarsi, ma non per questo incarniamo degli stereotipi; per esempio, essere LGBTQ non vuol certo dire essere promiscui, o perennemente attivi sessualmente.
Allo stesso modo, se qualcuno sceglie di definirsi “persona con attrazione per lo stesso sesso” [una definizione spesso usata da chi sceglie di rimanere continente, n.d.t.] non significa che sia represso, che abbia subìto un lavaggio del cervello, che sia migliore o peggiore di qualcun altro.
Ognuna e ognuno di noi preferisce, per varie ragioni, determinati termini piuttosto che altri, e ha un suo proprio cammino, al di là degli stereotipi. Tutte e tutti noi stiamo percorrendo un cammino spirituale, un processo di discernimento di noi stessi.
Il mio ministero mi ha insegnato a riconoscere e rispettare, ove possibile, il cammino degli altri, e di evitare gli stereotipi. Ho incontrato persone LGBTQ cattoliche che stanno ancora cercando di discernere il loro orientamento sessuale e la loro identità, e quanto sono disposte a renderli pubblici.
Ho anche incontrato persone LGBTQ cattoliche che stanno meditando la loro vocazione religiosa, altre che sono single e sentono la vocazione all’astinenza, e altre ancora che si sentono chiamate alla vita di coppia. Ho incontrato persone LGBTQ cattoliche che stanno cercando un compagno o una compagna, e altre che ce l’hanno già, e gli restano fedeli.
Ho incontrato consacrate e consacrati LGBTQ che onorano con gioia il celibato e la castità. Ho incontrato persone LGBTQ cattoliche asessuali, non interessate a relazioni sessuali, e altre che non sono asessuali, ma che in un compagno o in una compagna cercano compagnia e affinità emotiva, più che sessuale. E ho incontrato persone LGBTQ cattoliche i cui obiettivi sentimentali e la cui comprensione di se stesse sono mutati nel tempo.
In altre parole, ciascuno è diverso, ciascuno ha le sue esperienze e la sua storia da raccontare. Ogni persona LGBTQ è ben più di un orientamento sessuale o un’identità di genere: abbiamo aneliti spirituali, obiettivi e sogni, virtù e difetti, doni e talenti che vengono da Dio, capacità di conoscere noi stesse e di autodeterminarci, interessi ed esigenze che vanno al di là dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, piatti e artisti preferiti; siamo complesse, variegate, amate e sante alla pari di ogni altro essere umano fatto a immagine di Dio, imago Dei, nate all’interno di una comunità la cui dignità deve essere rispettata.
Alcune persone LGBTQ cattoliche sono passate attraverso sofferenze inimmaginabili, con tutte le difficoltà che ne conseguono, ma si sforzano comunque di vivere al meglio e di compiere il loro cammino spirituale, a volte da sole, e a volte inserite in una comunità. Per queste ragioni, non c’è spazio per gli stereotipi.