Nella chiesa cattolica sulle persone transgender di quale verita stiamo parlando?
Riflessioni di Christine Zuba* pubblicate sul sito gesuita Outreach (Stati Uniti) il 31 marzo 2023, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Un ottimo libro di Jason Steidl-Jack, uscito di recente, racconta l’evoluzione dei ministeri LGBTQ cattolici negli Stati Uniti. Molte delle cose che nei decenni passati venivano dette su gay e lesbiche, ora vengono riformulate per servire come arma contro le comunità transgender e non binarie, ma questa volta tali affermazioni sono più potenti e finanziate a livello politico, con i social media che fanno da cassa di risonanza alle esagerazioni, alle tattiche del terrore e alle bugie.
Negli ultimi dieci anni la nostra Chiesa ha certo compiuto grandi passi nell’accettazione e nell’accoglienza delle persone LGBTQ, ma c’è ancora molta strada da fare.
Gli attacchi contro le persone trans e non binarie sono quasi quotidiani: politici e leggi statali che negano le cure mediche, diocesi che emanano regolamenti discriminatori, e persone famose che fanno coming out contro i diritti trans, come J. K. Rowling. Tutti sembrano avere un’opinione su chi siamo, sul nostro diritto di esistere e sulla nostra “agenda”, come se chiedere di venire trattate con dignità fosse un’agenda.
Spesso questi regolamenti e queste opinioni vengono sciorinati da chi capisce molto poco delle vite transgender e non binarie, e arrivano da persone che hanno avuto pochissimi rapporti con noi.
Dato che molti si fanno guidare dai vertici della Chiesa, le parole hanno un peso, e fanno male anch’esse, e molto di ciò che sentiamo e leggiamo non riflette la realtà vissuta da noi persone transgender e non binarie.
La recente nota dottrinale della Conferenza Episcopale Statunitense si aggiunge ai vari commenti deludenti (ndr sul tema) da parte della Chiesa, dando nuovo rilievo alla Genesi, ignorando la moderna scienza medica e condannando ogni terapia di affermazione del genere alla stregua di una manipolazione immorale del corpo, contraria alla volontà di Dio.
Il Sinodo ci mostra una Chiesa disposta a raggiungere i margini, compresa, si spera, l’accettazione, da gran tempo dovuta, delle persone LGBTQ; la Conferenza Episcopale (degli Stati Uniti), tuttavia, non sembra ancora disposta a parlare con noi, per capire meglio la nostra vita.
Citando i papi Pio XI e Francesco, i vescovi sostengono che gli interventi medici non rivolti alla cura costituiscano ingegneria genetica. Essi affermano però anche che gli interventi medici possono essere permessi “per il bene del corpo, se non c’è nessun’altra opzione per assicurare il bene del corpo nel suo insieme”, e questa è esattamente la ragione per cui vanno accettate le terapie di affermazione del genere: da esse dipende il benessere fisico, mentale e spirituale delle persone transgender e non binarie.
Uno dei documenti più recenti sull’argomento è stato pubblicato dall’arcidiocesi di Portland, nell’Oregon; da un lato esso cerca di porre l’accento sull’amore e la compassione, dall’altro descrive la mia esistenza, come anche quelle delle altre persone transgender e non binarie, come una “autopercezione soggettiva e dissociata”.
Altri simili documenti fanno capire che non è cattolico riconoscere le persone transgender, anzi, i cattolici dovrebbero rifiutarsi di riconoscerle, in famiglia, a scuola, sul posto di lavoro e nella società. Deve essere contestata e pubblicamente rifiutata ogni concessione alla transizione (sociale, medica o chirurgica) di una persona, di qualsiasi età.
Queste linee guida sottolineano “l’affermazione della persona tutta intera, corpo e anima”. Sono cattolica da tutta la vita, e fin dall’infanzia so di essere transgender, e quindi mi chiedo: “Chi definisce ciò che sono? Di quale verità stiamo parlando? Chi ha il diritto di dirmi cosa c’è nel mio cuore, nella mia mente e nella mia anima?”.
Se ci si basa solo sulla Genesi, sull’antropologia cattolica e sulla legge naturale, allora viene imposto il concetto secondo cui il genere è determinato solamente dalle differenze sessuali, e infatti sono molti i tentativi di unire in modo irrevocabile il genere e il sesso, così che il DNA diviene l’unica verità su una persona, invece che uno dei molti aspetti dell’identità umana. Le identità transgender e non binaria sono viste come una minaccia alla famiglia.
Ma se la nostra fede ci insegna che siamo tutti fatti a immagine e somiglianza di Dio, allora dobbiamo chiederci: Dio è maschio o femmina? È ambedue? Il sesso e il genere contano veramente qualcosa nel nostro personale cammino di fede?
La teologa Evelyn Whitehead, nel suo libro Fruitful Embraces, riflette su Genesi 1:27: “Non è nel nostro essere maschio o femmina che riflettiamo Dio, bensì nella nostra capacità di amore, compassione e giustizia. Riflettere solamente la rigida dicotomia maschio/femmina, e la procreazione, lascia poco spazio agli stravaganti paradossi che troviamo nelle Scritture.
“Le rivelazioni che troviamo in molti punti delle Scritture mettono in crisi ogni visione rigida della natura umana. La vita di fede va oltre i limiti della natura, e così arriviamo a capire che la natura umana non sempre è biologicamente determinata. La natura non è in primo luogo ciò che ci è dato, ma piuttosto ciò che siamo chiamati a diventare”.
Da secoli i teologi cattolici devono fare i conti con nuove informazioni sulla persona umana. Teologi come James Alison, Daniel Horan OFM e Craig Ford parlano della necessità di una nuova concezione della legge naturale che tenga conto della realtà naturale delle persone LGBTQ, che non le stigmatizzi e non le ostracizzi.
Secondo il teologo ed educatore Ish Ruiz “La dottrina cattolica su genere ed orientamento sessuale dev’essere parte integrante del dialogo sull’inclusione delle persone LGBTQ+, e al tempo stesso dovrebbe essere valutata nel contesto di tutta la tradizione cattolica […] Come scrive papa Francesco in Amoris laetitia: ‘Noi [la Chiesa] siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle’”.
Il professor Daniel Horan, direttore del Centro di Spiritualità del St. Mary’s College in Indiana, scrive che “Il diritto ad avere un nome e dei pronomi che riflettano la piena dignità individuale non è solo un diritto umano, ma anche un diritto che ha profonde radici nella tradizione cristiana”.
Dice lo scrittore cristiano Brandon Robertson: “L’autentica inclusione richiede di riconoscere che soltanto nella nostra diversità noi riflettiamo in maniera più perfetta la divinità del nostro espansivo Creatore. Il disagio non è una scusa per emarginare ed escludere, è piuttosto un segno che ci dice che siamo chiamati ad andare più in profondità, a compiere il duro lavoro di conoscere un’altra persona e di lavorare su quelle ombre interiori che ci predispongono alla discriminazione”.
In un recente post il direttore esecutivo di New Ways Ministry, Francis DeBernardo, ha svolto una riflessione sulla vita di monsignor Matthew Clark, che trent’anni fa svolgeva il suo ministero tra le comunità lesbiche e gay, in un periodo in cui i vescovi venivano messi in guardia da un simile sostegno.
Le parole di monsignor Clark sono profetiche oggi come lo erano allora: “Dobbiamo conoscere meglio questa realtà. Penso che l’atteggiamento attuale della Chiesa si basi su una determinata mole di fatti ed esperienze, il che va rispettato, e io intendo rispettarlo, ma dobbiamo continuare ad imparare dai nuovi fatti e dalle nuove esperienze, e non saprei davvero dire cosa dirà la Chiesa di domani sulla questione di cui stiamo parlando oggi”.
Le parole di monsignor Clark trovano una eco in padre Thom Hennen, vicario generale della diocesi di Davenport, nell’Iowa, che nel dicembre 2021, a proposito delle persone transgender e non binarie, ha scritto: “Il concetto secondo cui dobbiamo per forza scegliere tra la fedeltà alla dottrina cattolica, e a quanto stabilisce sulla persona umana, e l’accoglienza, l’amore e l’accompagnamento nei confronti delle persone transgender, in realtà è una falsa dicotomia; infatti, è proprio il nostro concetto di dignità della persona umana che dovrebbe fondare il nostro amore per le persone transgender”.
Il teologo James Whitehead, che spesso scrive assieme alla moglie Evelyn, usa sovente il termine “bewilderment” (disorientamento), un tema che ricorre continuamente nelle Scritture.
Whitehead lo definisce come “la confusione che nasce dall’incapacità di vedere e capire la propria strada attraverso un garbuglio di impressioni e idee, quella sensazione che proviamo quando ci confrontiamo con un mondo enigmatico, che mette in crisi le certezze su cui contavamo.
“Il disorientamento ci conduce all’umiltà su ciò che sappiamo […] e su ciò che non sappiamo. È attraverso il disorientamento e l’umiltà che possiamo aprirci allo stravagante universo di Dio. Cominciamo a comprendere che la diversità di genere è un dono di Dio, creato per essere parte integrante della ricca varietà delle esperienze e dei punti di vista umani”.
I discepoli di Gesù erano molto spesso disorientati di fronte a ciò che vedevano, e nel corso dei secoli la nostra Chiesa è rimasta disorientata di fronte a problematiche ed accadimenti che un tempo non avevano spiegazione. Come dice la mia amica, cattolica transgender, Hilary Howes: “Alla fine, accogliere il mistero del ruolo della diversità nel piano di Dio comporterà la guarigione della nostra Chiesa, e questo è ciò che spero con più forza”.
*Christine Zuba è una donna transgender cattolica di Blackwood, nel New Jersey, ministro dell’Eucarestia della parrocchia dei santi Pietro e Paolo di Turnersville, New Jersey. Christine è presidente del ministero transgender dell’associazione Fortunate Families.
Testo originale: Respecting the dignity of transgender people means affirming their experiences