Nella chiesa di Bergoglio che non vuol lasciare soli i separati e gli omosessuali
Intervista a don Giuseppe Alcamo di Salvatore Ferro pubblicata suò “Giornale di Sicilia” del 25 ottobre 2015
La Chiesa di Francesco, che si affaccia dal Sinodo, «non lascerà mai solo nessuno, a prescindere da errori, transizioni e condizioni personali le più diverse. Nel caso specifico: né i separati, né gli omosessuali. Nessuno». Una Chiesa dal volto familiare, con meno gerarchie, meno burocratismi, meno freddezza umana e dottrinale. Per la famiglia innanzitutto, che del Sinodo è stata tema fondamentale.
Davanti tante, tantissime sfide spinose: dalle unioni di fatto anche fra persone dello stesso sesso, al regime dei sacramenti per risposati e separati, fino alle nullità matrimoniali e al rapporto con gli integralismi che incombono.
Ma «tutto nel segno della concretezza e dell’attenzione alla sofferenza autentica». Per don Giuseppe Alcamo, docente di Catechetica alla Facoltà teologica di Sicilia, quello appena svoltosi in Vaticano è stato «un Sinodo per molti versi unico, storico, che segna svolte, anche se è presto per sviscerarne interamente i contenuti». E tanti anche gli scogli e le resistenze interne alla gerarchia: «Papa Francesco – osserva il teologo – non vuole vestirsi da autocrate, spinge chiaramente verso la corresponsabilità e decentralizzazione delle decisioni, vuole che vescovi e comunità locali siano vera ”famiglia”, che assumano decisioni fuori dal Vaticano. Soltanto diventando a immagine della famiglia, la Chiesa potrà parlarle, non certo imponendo le regole fredde e qualche volta incomprensibili».
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Professore, dentro la Chiesa cosa ha significato questo Sinodo, «aggredito» da più parti? Dal «coming out» del monsignore polacco Krzysztof Charamsa alla vigilia, fino alla polemica sulla presunta lettera dei cardinali più conservatori al Papa, e alle notizie distampasulla presunta, e duramente smentita, malattia al cervello dello stesso Bergoglio. Chi attacca? E perché? «Intanto (sorride, ndr) da uomo di fede non escludo mai a priori l’azione di disturbo da parte di Satana. Nel contesto specifico, c’è evidentemente qualche padre più sprovveduto di altri che si lascia manipolare senza magari avvedersene. A tutti i livelli, compreso l’andare dietro a teorie discutibili e mettendole in giro oppure prestando fede a notizie, come quelle sulla salute del Pontefice, che non servono a nessuno.
Quanto alla missiva dei cardinali, è nella prassi una cosa normalissima che fa parte della comunione e condivisione fra il Papa e i suoi porporati. Una richiesta di chiarimento. Per me Francesco è il dono di Dio all’ umanità del terzo millennio, cerca il dialogo in ogni frangente, cerca le differenze senza renderle relative e irrilevanti,mostra il volto di una Chiesa vicina a tutti, così come deve essere. Non teme il giudizio degli uomini o i fraintendimenti. Un compito immenso».
Illustri vaticanisti hanno sottolineato la «pericolosa divaricazione» fra dottrina e pastorale, in parole povere fra regole scritte e pratica quotidiana. E, inoltre, si paventa uno svuotamento del Concilio a favore della stessa assemblea dei vescovi. Insomma, se ciascun vescovo può incidere in autonomia, per esempio, sulle situazioni dei separati, non si rischia confusione? «La mia impressione è che ci siano stati… due Sinodi. Uno in Vaticano, l’altro sulle pagine dei giornali. Ma è il prezzo del fascino mediatico del Pontefice e della sostanza di ciò che dice. Sedendosi, nella maniera in cui lo ha fatto, nel Sinodo, il Papa ha permesso al Concilio di incarnarsi veramente, come lo stesso Vangelo deve incarnarsi nell’azione della pastorale.
Gesù, prima che Zaccheo si ravveda, va a pranzo con lui. E badi: la dottrina è cosa diversa dalla legge; Paolo nella lettera ai Galati dice che noi non seguiamo un codice di leggi, ma una persona, noi non siamo guidati da norme ma dalla fede. La prima, la fede, è in permanente evoluzione; la seconda, la legge, è a servizio della fede, e non viceversa. La verità è che finora attorno ai temi della famiglia siamo stati troppo legalisti, eccessivamente vincolati al diritto canonico, che ha irrigidito la dottrina. Dire che c’è una divaricazione fra Sinodo e Concilio e fra dottrina e pastorale, è depistante. Se accadesse,sarebbe deleterio; ma non può e non deve accadere.
La dottrina pur essendo una, assume forme diverse nel tempo e nello spazio, direbbe Papa Giovanni XXIII: bisogna aggiornarla. C’è differenza d’insegnamento fra Italia e Medio Oriente, fra ieri e domani. Sono le società e le comunità a essere diverse. La dottrina annuncia quello che la pastorale vive. E viceversa. Quindi, per tornare al tema, la legge non può dare risposte univoche e valide per tutti i casi, compresi quelli dei risposati e separati. Tutto questo richiede alla Chiesa molta vigilanza e discernimento».
Non si presta il fianco allo smarrimento per la perdita di una visione unitaria, e a resistenze in seno a settori della gerarchia ecclesiastica? «Le resistenze sono normali e non necessariamente in malafede. Certo, si può nutrire il timore per la perdita di una visione oggettiva, ma è solo un timore. Contestualizzare, in ordine a situazioni concrete e a diverse circostanze di luogo e di tempo, non vuol dire relativizzare, bensì incarnare. Ma è un cammino difficile che dobbiamo compiere tutti insieme, nella diversità delle posizioni che il Papa, per primo, non teme. Questa è la comunione».
Arriviamo alla sfida pastorale forse più impegnativa: le coppie di fatto e le unioni omosessuali. Fino alla non troppo remota prospettiva delle adozioni da parte di un partner dello stesso sesso. Ancora, non è un mistero che si infittiscano i «viaggi della gravidanza» per impiantare embrioni in uteri in affitto. Cosa intravede all’orizzonte? «In seno alla Chiesa sta maturando il convincimento che in qualsivoglia condizione versi un membro del popolo di Dio, quindi una singola persona, nessuno possa essere giudicato sommariamente, lapidato, sentirsi condannato. Ma neppure giustificato né, insisto, relativizzato. Va anzi ascoltato e accompagnato secondo logiche di gradualità. Partendo dal presupposto che la condizione ottimale per un bambino è l’amore di un papà e di una mamma, non siamo certo tanto miopi da non capire che possono esserci situazioni differenti.
Se c’è un bambino, bisogna averne cura sempre e comunque. Questo non vuol dire giustificare che qualcuno prenda un aereo per ”comprarsi” un figlio. Rimane una deviazione dalla realtà. Una realtà che narra di migliaia di bimbi ospitati in case famiglia e di problemi irrisolti per le famiglie che già esistono, e che sono la maggioranza. Ho l’impressione che si tenda a esasperare le richieste di minoranze trascurando di fatto la maggioranza, lasciata senza risorse. Io credo che il primo compito dello Stato è quello di porsi a sostegno delle famiglie più fragili per offrire a tutti pari opportunità di sviluppo e di crescita».
Sulla stessa linea si è espresso di recente monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Ha anche detto, giovedì scorso in occasione dell’ apertura dell’anno accademico della vostra Facoltà,che la misericordia deve essere la chiave interpretativa della teologia. È un segnale agli integralismi di altre impostazioni religiose? Come sarà la teologia di domani?
«Accettare e abbracciare un bimbo sempre e comunque non vuol dire incoraggiare l’adulto a farlo nascere pagando una madre che non se ne prenderà cura. Per quanto riguarda la diversa situazione della regolamentazione delle unioni civili, è giusto che lo Stato svolga il proprio ruolo. Ma non vedo la necessità di pretendere dalla Chiesa di rendere tutte le scelte globali, soprattutto alla luce dell’eventualità che alcune idee di riforma possano essere frutto di tendenze promosse da vere e proprie lobby. Lo Stato faccia la propria parte senza problemi, quello che mi preme è che non si dimentichi delle situazioni reali già esistenti. E della maggioranza silenziosa, innanzitutto.
Quanto alla misericordia nell’annuncio del Vangelo, sì, deve innervare tutto il nostro agire, non c’è Vangelo senza misericordia. La differenza fra noi e gli integralismi è che non facciamo ”proselitismo”, ma evangelizzazione attraverso l’instaurazione di rapporti di amicizia e solidarietà; noi non vogliamo costringere nessuno ad accogliere il Vangelo, ma vogliamo offrirgli la nostra disinteressata amicizia e vicinanza. Attraverso, appunto, l’essere… famiglia. Se lei non è credente, io continuo a rispettarla, a parlarle. E un’altra cosa: la Chiesa sa essere minoranza, anche in luoghi dove imperano altre, intolleranti, logiche».