Nella chiesa è tempo di confrontarsi su sacerdozio e omosessualità
Articolo di don Roberto Massaro*, pubblicato su settimananews.it il 5 Settembre 2018.
Ha creato non poco sconcerto nell’opinione pubblica l’inchiesta divulgata da qualche testata giornalistica sulle vicende di alcuni presbiteri e seminaristi dalla “doppia morale”. Quotidianamente dediti al servizio pastorale e alla predicazione e, nel contempo, immersi in una serie di relazioni omoerotiche spesso avviate attraverso l’uso di social network o app di incontri gay.
Il tutto è nato dalla denuncia di un escort napoletano, Francesco Mangiacapra che, nei mesi scorsi, ha consegnato un dossier di 1.200 pagine alla curia di Napoli con numerosi screenshot di chat per un numero complessivo di 50 preti implicati e che recentemente ha coinvolto un presbitero della Capitanata.
Adescamenti online, scambi di foto di parti intime, ménage à trois e così via per un quadro non certo moralmente ineccepibile.
Probabilmente gli effetti dell’inchiesta non lederanno l’immagine della Chiesa e di tanti suoi ministri che, con impegno e zelo, sono fedeli al loro servizio pastorale e agli obblighi che ne derivano. Altrettanto probabilmente, però, queste notizie si potrebbero trasformare in sfiducia o in sospetti e, da parte delle autorità ecclesiastiche, in una acritica repressione.
Quali piste di riflessione può offrire l’etica teologica a partire da questo vissuto?
Ripensare la formazione al presbiterato e le caratteristiche richieste per l’accesso al ministero è un’esigenza che si fa sempre più urgente!
Sembrano ancora presenti, infatti, stili che tendono a ricoprire di sacralità il ministero presbiterale, lo presentano come potere sui fedeli e non come servizio, mostrano il celibato come soppressione della sessualità e cercano di sublimarlo mediante un rapporto scorretto con il denaro o con la carriera. Chi lavora nell’ambito formativo (ministero sempre più arduo al giorno d’oggi) dovrebbe vigilare con molta attenzione su queste possibili derive.
Occorre educare all’autentica umanità: e questo significa accogliersi come uomini sessuati, affrontando con sincerità le proprie fragilità e chiamando per nome i propri desideri; significa, altresì, accogliere l’altro come persona fragile e vulnerabile della quale il presbitero non è padrone, ma fratello nel comune cammino verso la piena fioritura di sé.
L’orientamento sessuale è necessariamente discriminante per l’accesso al ministero ordinato? Oppure potrebbe essere possibile e auspicabile favorirne l’integrazione in processi di maturazione umana integrale?
Può succedere che i nostri seminari non sempre riescano a fornire tutti questi strumenti in anni densi di studio e di attività pastorali: si potrebbe favorire nelle diocesi, per chi ha completato l’iter in seminario, un sostegno e un accompagnamento nell’accoglienza di sé, a contatto con la vita reale dell’uomo e della donna di oggi.
Riflettere in modo più accurato sull’accoglienza e l’accompagnamento delle persone omosessuali si impone come una necessità che lo stesso sensus fidelium chiede alla riflessione teologica e magisteriale. Le parole di papa Francesco: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», pronunciate dal pontefice di ritorno dalla GMG di Rio del 2013, non rappresentano – come taluni delatori del papa hanno affermato – una semplice trovata mediatica, ma sollecitano un approccio diverso alle persone omosessuali da parte delle comunità cristiane.
Alcuni autorevoli studi, infatti, affermano che l’omosessualità non è una perversione né una nevrosi né un disturbo della personalità. Essa non ha nulla a che fare con la pedofilia (ancora oggi classificata come disturbo parafilico nel DSM V).
È una condizione esistenziale che nessuno sceglie di vivere – siano cause biologiche, siano cause psicologiche, esse affondano le radici nei primi anni di vita – e che coinvolge la persona non solo nella pratica sessuale, ma anche in tutti gli ambiti quotidiani dell’esistenza.
Accogliere, non giudicare, operare un attento discernimento, creare spazi per una più attiva partecipazione degli omosessuali alla vita ecclesiale rientra a pieno titolo in quella pastorale della misericordia tanto auspicata dal papa per una Chiesa che non alzi steccati, ma costruisca ponti.
È possibile che questo scandalo affondi le sue radici non tanto nella caduta degli ecclesiastici coinvolti, quanto nella distonia che a volte si avverte tra la dottrina morale cattolica sull’omosessualità (spesso annunciata con intransigenza) e la condotta contraria di chi l’annuncia.
Inoltre, ripensare le strutture di governo all’interno della Chiesa, favorendo dinamiche di sinodalità e collegialità, aiuterebbe i preti a non sentirsi sovraccarichi di lavoro e di incombenze, a non vivere quotidianamente l’ansia di prestazione, a non lottare per assumere posti di governo. Tutto questo, infatti, può indurre, in caso di fallimenti e insoddisfazioni, a ricadere in un esercizio disordinato della sessualità.
Un’ultima parola sembra necessaria per valutare anche la qualità dell’informazione. Nessuno nega l’importanza di un giornalismo che sia espressione autentica di verità; nessuno più può e deve spingere verso l’insabbiamento degli scandali che avvengono all’interno della Chiesa, ma la violazione della privacy per ciò che non costituisce reato è essa stessa reato.
Il credente che legge, dal canto suo, non deve poi dimenticare che la cura per la persona che sbaglia, la possibilità di conversione e di redenzione dev’essere il primo annuncio che si è chiamati a offrire a ogni uomo, prete o laico che sia e che l’operato dei vescovi, nella maggior parte dei casi, non tende a insabbiare, ma a cercare le strade possibili per accompagnare e reintegrare i loro preti, offrendo loro un’altra possibilità.
* don Roberto Massaro è dal 2015 rettore del seminario di Conversano-Monopoli, dove, nei mesi precedenti aveva svolto la funzione di padre spirituale. Il giovane rettore – è stato ordinato presbitero nel 2009 – si è specializzato in teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma.