Nella diocesi di Torino. Fedeltà e amore di Dio: ecco la verità sul ritiro per gli omosessuali
Articolo di Luciano Moia pubblicato su Avvenire il 10 febbraio 2018
Una riflessione sull’amore di Dio fedele e inesauribile che, amandoci fino alla fine attraverso il sacrificio di suo Figlio, rappresenta per ogni amore umano un riferimento da cui non si può prescindere. Un richiamo forte all’azione della grazia condotta sulla base di alcuni testi evangelici, tra cui alcuni capitoli di Giovanni e delle lettere paoline.
Ecco il cuore dello scandaloso e improponibile “Ritiro per omosessuali” che l’arcidiocesi di Torino, sotto la pressione di una campagna di stampa condotta in modo «superficiale e tendenzioso» – per dirla con l’arcivescovo Cesare Nosiglia – ha deciso di rinviare. Abbiamo letto di violazioni del magistero, di dottrina calpestata, di attacchi al Catechismo. Anche alcune lettere giunte in redazione ci hanno convinto che, alla base di tutto questo clamore mediatico, c’è stato un fraintendimento preventivo.
Se tutti coloro che hanno gridato allo scandalo e hanno sollecitato la diocesi a fare marcia indietro, avessero avuto il buon senso di informarsi e di riflettere – la tradizione cristiana definisce questi atteggiamenti prudenza e discernimento, scelte che sembrano cadute in disgrazia – si sarebbero accorti di aver rovesciato i termini della questione. L’argomento del ritiro era sì la fedeltà, ma non tanto quella “tra coppie omosessuali”, innanzi tutto quella che Dio esprime con il suo amore verso tutte le creature, specialmente quelle più fragili e bisognose di aiuto.
Anche se la fedeltà, prima che teologico, dovrebbe essere valore umano e sociale sempre auspicabile per tutti. «Sarebbe stato un ritiro quaresimale sull’amore per convertirci all’amore, oggi è quanto mai necessario. E non solo per persone omosessuali e per i loro familiari, anche per persone e coppie eterosessuali». Lo spiega padre Pino Piva, gesuita, che era stato incaricato di condurre la giornata torinese. «Obiettivo del ritiro? Aiutare le persone a fare una esperienza profonda e personale dell’amore di Dio; un amore sempre fedele e inesauribile», riferisce ancora padre Pino.
Già definiti anche i testi biblici da cui partire: il Vangelo di Giovanni (cap. 13,1. 15,1217), la prima Lettera di Giovanni (cap. 4, 8-19), l’Inno alla carità (1 Corinzi 13, 4-7). Tutto secondo la “retta dottrina”, a meno che anche questi brani non risultino in linea con le posizioni degli oltranzisti più osservanti. «Siamo fermamente convinti – sono ancora parole di padre Piva – che fare l’esperienza autentica dell’amore di Dio, un amore senza misura e senza condizioni – se non quella di accoglierlo – significhi anche permettere che questo amore possa mettere ordine nella vita delle persone».
Il passo del magistero scelto per proseguire la riflessione sarebbe stato un capitolo della Costituzione conciliare Gaudium et spes (Gs 16): «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi (…). Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro (…) La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo». La luce dell’amore di Dio, la guida della coscienza, la voce del magistero, l’accompagnamento della comunità ecclesiale.
Ecco i punti che sarebbero stati messi in luce durante il ritiro.
«L’esperienza dell’amore fedele di Dio – osserva il padre gesuita – è un modo per mettere ordine nelle relazioni dis-ordinate: omosessuali o eterosessuali, amicali o familiari. Chi fa affidamento all’amore di Dio si accorge che nelle parole e nelle azioni non c’è più posto per l’odio ma solo per l’amore e per il rispetto reciproco». Ecco tutto. Davvero così intollerabile? Scorgere in questa catechesi un tentativo di «abbassare l’asticella della moralità» – anche questo è stato detto – non significa guardare alla realtà con uno sguardo carico di pregiudizi, se non di malafede? Anche perché, considerare inaccettabile un momento di catechesi riservato agli omosessuali – anche se tale non era quello di Torino – vuol dire ignorare ciò che papa Francesco, raccogliendo le indicazioni di due assemblee sinodali, quindi di tutta la Chiesa, ha scritto in Amoris laetitia: «Ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione».
Alzare il tono della protesta fino al punto da costringere un arcivescovo a rinviare un appuntamento pastorale finisce invece per tradursi in discriminazione e scelta destinata a calpestare dignità e rispetto. «In un contesto sociale e mediatico dove la calunnia, la strumentalizzazione e la demonizzazione dell’altro, solo perché diverso, possono avere esiti distruttivi per le persone più fragili – conclude padre Piva – la Chiesa non può rinunciare a fare la differenza».