Nella discussione sulla legge contro l’omofobia chiedo alla mia chiesa un dibattito rispettoso delle persone LGBT
Lettera al direttore di Avvenire di Giacomo pubblicata sul quotidiano Avvenire il 15 luglio 2020, pag.2
Gentile direttore, chi le scrive è un giovane cattolico di ventisei anni della periferia Sud di Milano. Da ormai dieci anni lotto con la mia famiglia per essere accettato per quello che sono: una persona omoaffettiva e omosessuale, laddove questi termini si qualificano come “aggettivi” e al contempo sono parte integrante della mia identità, della mia condizione umana.
Non le nascondo che la recente nota della Cei sull’ipotesi di una legge contro l’omofobia mi ha molto deluso in quanto denotava e – temo – rafforzava un pregiudizio diffuso in ambiente ecclesiale secondo il quale le persone lgbt dovrebbero essere accolte, protette e tutelate, inte-grate, ma “a precise condizioni”, come se all’accoglienza si potessero mettere dei paletti.
Superando poi lo sconcerto per la seconda parte del comunicato (mi sono chiesto dove la Chiesa istituzionale intervenisse attualmente in difesa delle persone lgbt), ho però potuto apprezzare anche l’apertura al dialogo che il suo quotidiano ha sviluppato con un dibattito pacato, sereno e plurale.
Quello che tuttavia mi preme sollecitare e sottolineare, da cristiano a cristiano, è che si faccia uso di un linguaggio rispettoso delle persone, delle loro vite e dei loro affetti.
I danni maggiori che vengono da prese di posizione inappellabili che feriscono in primis le nostre famiglie di origine, i nostri vissuti e quelli delle coppie.
La legge Zan punta difendere tutto questo, non a offendere la libera e civile espressione di pensieri e convinzioni. Le chiedo solo, a tutela della mia famiglia, se fosse possibile, di comparire solo con il nome.
Giacomo