Nella Pasqua il paradosso di un Dio blasfemo
Riflessioni di Gianni Geraci, portavoce de Il Guado, Gruppo di Cristiani Omosessuali di Milano
Quest’anno i miei auguri di Pasqua saranno diversi dal solito. Probabilmente saranno più scomodi del solito, ma la colpa non è mia, la colpa è del Vangelo che ho ascoltato durante la Missa in Coena Domini del Giovedì Santo. Un Vangelo in cui, per la prima volta, ho notato un particolare che mi era sempre sfuggito.
Siamo in casa del sommo sacerdote Caifa, un’autorità religiosa importante, per un ebreo osservante come Gesù. La scena è sempre quella, con i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio che cercano qualche testimonianza per condannare Gesù (“falsa” aggiungono Marco e Matteo).
A un certo punto il Sommo Sacerdote, esasperato dal silenzio con cui Gesù accoglieva le parole di chi testimoniava contro di lui, sbotta ed esclama: “Ti scongiuro per il Dio vivente perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. A questo punto Gesù rompe il silenzio. Ma quello che dice suona agli occhi di Caifa come una bestemmia tant’è che il sommo sacerdote si strappa le vesti per l’indignazione e spinge i presenti a condannare a morte Gesù.
Dobbiamo stare attenti a condannare Caifa per quello che ha fatto: da sempre le persone religiose, quando sentono una bestemmia si indignano. Io stesso ricordo il sarcasmo e il disprezzo con cui affrontavo quanti bestemmiavano in mia presenza: un sarcasmo e un disprezzo che nascevano da una profonda indignazione.
Si tratta della stessa indignazione che ha spinto quei fanatici che, al grido di: “Allah è grande!” hanno massacrato i collaboratori di Charlie Hebdo per aver pubblicato delle vignette blasfeme. Si tratta della stessa indignazione che molte persone, tra cui l’arcivescovo di Bologna e non pochi omosessuali credenti, hanno manifestato quando sono state diffuse le foto dello spettacolo che alcuni attori dall’aria improvvisata avevano animato al Cassero.
Caifa, davanti alle parole blasfeme pronunciate da Gesù si indigna e si strappa le vesti. Lo stesso facciamo noi quando vediamo che la nostra religione viene offesa e viene presa in giro.
Lo stesso fanno quasi tutte le persone religiose che si sentono ferite in ciò che hanno di più sacro e di più caro. Ma Gesù?
Cosa avrebbe fatto Gesù se fosse stato al posto di Caifa, se fosse stato al posto dei terroristi che hanno sparato a Parigi, se fosse stato al posto dell’arcivescovo di Bologna quando ha saputo della pantomima del Cassero?
Gesù nel Vangelo che viene proclamato il Giovedì Santo sta dall’altra parte. Gesù, nel racconto della passione non è l’autorità religiosa che si straccia le vesti indignata per aver udito una bestemmia, ma è colui che non si fa scrupolo di pronunciare parole che sarebbero risultate blasfeme alle orecchie dei suoi interlocutori. Gesù non si straccia le vesti, Gesù si lascia togliere le sue vesti intatte (se le giocheranno a sorte i suoi carnefici, per non rovinarle, tagliandole) e si lascia condurre al luogo in cui verrà innalzato sulla croce.
Gesù bestemmia per dirci che il suo volto è il volto di tutti i nostri fratelli, anche di quelli che, per i motivi più diversi, arrivano ad offendere il nome di Dio. Gesù bestemmia per farci capire che nulla è così sacro da suscitare in noi una indignazione che si dimentica del dovere assoluto che abbiamo di amare tutte le persone che incontriamo.
Gesù accoglie in silenzio l’indignazione e la condanna di Caifa per dirci che troppo spesso, quando dobbiamo scegliere se seguire Gesù o i suoi carnefici, senza nemmeno accorgercene, rinneghiamo Gesù e seguiamo l’esempio di quanti l’hanno condannato.
Perché Gesù, di fronte all’umanità che lo bestemmia non si comporta come noi.
Lui non si indigna.
Lui non si strappa le vesti.
Lui non condanna.
Lui porta sulle spalle, fino in fondo, le conseguenze della bestemmia che si compie sul suo corpo.
Lui sale in silenzio il Calvario lasciandosi annientare dalla sofferenza e dalla fatica.
Lui si lascia crocifiggere senza gridare il suo sdegno di fronte all’idea che il Figlio di Dio, che Dio stesso, venga condannato a morte per blasfemia. Qualcuno dirà che era troppo stanco e troppo sfinito per essere indignato, ma quel qualcuno non deve dimenticarsi del fatto che, poco prima di morire, Gesù, riesce a trovare le forze per chiedere al Padre di perdonare quanti hanno bestemmiato la sua divinità mettendo a morte il suo corpo.
Gesù, di fronte alle violenze e agli insulti che, attraverso la sua umanità, toccano la sua divinità, si lascia sollevare da terra per essere crocifisso e, nel momento in cui viene innalzato, come ricorda Giovanni, attira a se tutta l’umanità, compresi coloro che lo stavano bestemmiando e lo stavano insultando (Gv 12,32).
Quella di Gesù non è la logica della vendetta.
Quella di Gesù non è la logica dell’indignazione.
Quella di Gesù non è la logica della riparazione.
Quella di Gesù è la logica della redenzione, della scelta di prendere sulle proprie spalle le sofferenze di tutti, anche quelle di chi bestemmia.
Non è la logica del potere religioso, ma è la logica dell’amore, una logica che, come scrive Paolo, è scandalo per gli ebrei (non a caso il Sommo Sacerdote si straccia le vesti) ed è stoltezza per i pagani (“Siete dei poveri illusi” direbbero tutte le persone di buon senso).
Se seguiamo la logica umana non abbiamo dubbi: tra Caifa e Gesù ha ragione Caifa, che, spinto dal suo zelo religioso, si strappa le vesti e grida la propria indignazione per difendere il Dio che serve e che adora.
Ma se seguiamo la logica di un Dio che si fa uomo e che accetta di morire per salvare tutta la realtà, le cose cambiano e la risposta convincente è quella di Gesù che, spinto dal suo sconfinato amore per tutti noi, non si straccia la tunica, ma se la lascia togliere prima di essere innalzato sulla croce dove, aprendo le braccia, può stringere in un unico abbraccio tutta l’umanità?