Nell’abbraccio dell’altro, nel “colpos” di Dio
Riflessione di suor Teresa Forcades* su Giovanni 1, 18 e Gv 13, 23 condivisa in occasione della Veglia per il superamento dell’omotransbifobia tenutasi a Ragusa l’11 maggio 2024
Una volta, mentre leggevo il vangelo di Giovanni nella versione originale greca, al versetto diciotto1 del capitolo uno ho trovato una parola che avevo conosciuto durante i miei studi di medicina: κόλπος (còlpos).
«Il Figlio è sempre nel còlpos del Padre», recitava il versetto. L’ambito al quale appartiene questa parola è la ginecologia. Prima ancora di essere teologa, infatti, io sono mrdica, so bene che còlpos nel linguaggio medico significa “vagina” e questo mi ha molto colpita. «In che senso il Padre è un còlpos e il Figlio è dentro il còlpos del Padre? Cosa potrà significare questo?», mi sono chiesta.
Successivamente ho trovato questa parola una seconda volta nel capitolo tredicesimo al versetto ventitré2 dove, nel contesto dell’ultima cena, Giovanni, il discepolo amato, è appoggiato nel còlpos del Figlio, di Gesù.
Dunque non solo il Padre ha un còlpos, anche Gesù ha un còlpos dove accoglie il discepolo amato, il quale non è soltanto Giovanni: il discepolo amato è la metafora del testo evangelico per indicare tutti noi, perché Dio chiede a ciascuno di noi: «Vuoi essere il discepolo amato da me?». Oggi, infatti, nel capitolo sei di Giovanni che avete scelto per la veglia, sentiamo: «Non caccerò nessuno fuori», che non si limita a significare “non lo caccerò fuori”, ma “lo porterò dentro il mio còlpos”.
La traduzione della CEI è nel primo caso “seno” e nel secondo caso “fianco”, ma non è la stessa cosa.
Perché dico questo, per proporre una metafora diversa che scuota? Non è solamente questo.
Perché attraverso la metafora “colpotica” imparo cosa caratterizza lo spazio “colpotico” nella sua specificità.
Che cosa è proprio del còlpos?
La cavità vaginale in medicina è, diciamo cosi, una cavità “virtuale”. La stanza in cui noi siamo ora, per esempio, non è una cavità virtuale, ma reale, caratterizzata cioè da una dimensione fissa: non si rimpicciolisce quando è vuota e non si ingrandisce quando è piena di persone, ma sia quando è vuota, sia quando è piena di persone come adesso resta sempre la stessa. La cavità virtuale invece cambia ampiezza e forma in base a ciò che entra al suo interno e lo accoglie come in un abbraccio.
Nel greco antico, come in quello moderno, il primo significato della parola còlpos è “vagina”, ma il termine indica anche la parte del corpo che va dal petto al ginocchio (nella quale si accoglie un’altra persona nell’abbracciarla). Un altro significato di còlpos è “golfo”, cioè quel punto in cui la terra lascia entrare il mare come un abbraccio, e questa immagine viene dal mito delle due antiche divinità greche Gea (che impersonifica la Terra) e Teti (dea del mare) che si amavano e tra loro generavano una interazione amorevole. Quindi in tutte le accezioni la parola còlpos fa riferimento ad una cavità virtuale capace di adattarsi a quello che accoglie al suo interno.
Quando si studia teologia, una espressione che ritroviamo nella tradizione teologica è logos spermaticòs ed è una definizione di Gesù che Giustino martire, un teologo del secolo I, ha preso dalla filosofia stoica. Nella filosofia stoica Dio è la ragione che feconda il mondo, è il seme della ragione che, come pioggia, penetra in tutto il mondo e, in modo particolare, nell’essere umano e nella sua razionalità. Per Giustino, dunque, questo logos spermaticòs è Gesù, il quale ha parlato all’uomo.
Questa definizione di Gesù data da Giustino martire, che condivido, secondo me non è sufficiente e credo che nella teologia si debba introdurre anche la definizione logos colpòticos. Logos spermaticòs viene da una metafora maschile che va bene e che non intendo togliere, tuttavia pensare Dio come una fecondazione del mondo al modo spermatico secondo me non basta. Se Dio è solamente un logos spermaticòs, a me manca qualcosa di profondo e importante e sono felice di scoprire che anche il testo evangelico parla a noi di un logos colpòticos.
Non basta, infatti, che Dio sia solo una razionalità fecondante, deve essere anche una razionalità accogliente e accogliente in modo “colpotico”, che accoglie cioè adattandosi, che accoglie nel modo in cui ci abbracciamo gli uni agli altri. E quindi è con questa idea dell’abbraccio “colpotico” di Dio che lascio a voi tutti.
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1Gv 1, 18 Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
2Gv 13, 23 Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
*TERESA FORCADES (Barcellona, 10 maggio 1966) è una monaca benedettina di origine catalana, medico, teologa femminista e attivista politica. Ha conseguito un dottorato in Salute pubblica e un dottorato in Teologia Fondamentale a Barcellona e un post-dottorato presso la Humboldt-Universität di Berlino, dove ha insegnato Teologia della Trinità e Teologia queer. La sua popolarità si è imposta all’attenzione internazionale per le sue coraggiose posizioni sia all’interno della Chiesa, sia nel dibattito politico contemporaneo. I suoi libri più recenti in italiano: “Siamo tutti diversi! Per una teologia queer”, Castelvecchi 2016; “Fede e libertà”, Castelvecchi 2017; “La teologia femminista nella storia”, Nutrimenti 2015.