Nell’Amoris Laetitia papa Francesco offre a tutti un’avvincente visione dell’amore
Riflessioni di Julie Hanlon Rubio*, professore di etica cristiana, pubblicate sul sito del settimanale cattolico National Catholic Reporter (Stati Uniti) il 19 aprile 2016, liberamente tradotte da Silvia Lanzi
Sia i conservatori che i progressisti stanno piangendo lacrime di coccodrillo per l’occasione perduta dell’Amoris Laetitia: si dice infatti che aggiunge ben poco a ciò che si sapeva già. Mentre non ha incontrato le aspettative di nessuno dei due gruppi, essa articola una teologia del matrimonio per un mondo desideroso d’amore, ma sospettoso delle tradizionali dichiarazioni in proposito.
Per quelli conservatori, papa Francesco dice troppo poco delle norme della famiglia eterosessuale e bigenitoriale, della minaccia del matrimonio omosessuale, dell’immoralità della contraccezione e dell’inaccettabilità di un secondo matrimonio. Gruppi di tradizionalisti hanno fatto pressione sul papa durante il sinodo del 2014/2015, chiedendo chiarezza. Secondo l’editorialista del New York Times Ross Douthat, il papa non ha contraddetto la dottrina, ma proponendo gli insegnamenti ufficiali “con toni di modestia e autocritica” ha imposto una tregua, ma ha lasciato la Chiesa più debole.
Alcuni progressisti criticano il documento per la sua visione limitata ed esclusiva dell’amore. Secondo la teologa femminista Mary Hunt, che ha scritto per Religion Dispatches, “C’è solo un ideale – il sesso monogamo, matrimoniale, eteronormato e senza contraccettivi – in relazione al quale tutto il resto ha meno valore, è mancante di qualcosa e/o proibito”.
È deludente, anche se non stupisce l’esclusione delle coppie omosessuali e il giudizio sfavorevole della contraccezione, peraltro trattate solo marginalmente. Molti avevano sperato che un papa che aveva usato un tono diverso su argomenti come questi, in questa lettera alla fine si muovesse in una direzione migliore. Non l’ha fatto.
Ma il decentramento dell’etica sessuale che è diventato il simbolo di questo papato rimane. Mentre i cattolici progressisti continuano a puntare giustamente su un’inclusione maggiore e su un ripensamento di entrambe le questioni, è importante notare cosa non c’è nel documento.
Diversamente dalla lettera pastorale del 2010 della Conferenza Episcopale Statunitense, “Marriage: Love and Life in the Divine Plan”, qui non vediamo il matrimonio omosessuale come minaccia a quello etero. Mentre i vescovi statunitensi avevano fatto della lotta contro le unioni gay il punto centrale della loro difesa del matrimonio, Francesco ha altre preoccupazioni.
Diversamente dall’esortazione apostolica post-sinodale del 1981 di Giovanni Paolo II, la Familiaris Consortio, l’Amoris Laetitia di Francesco non dice che chi fa uso della contraccezione “degrada” e “manipola” la sessualità umana, se stessi e il proprio partner. La pianificazione famigliare naturale non è definita come essenziale in un matrimonio cristiano.
La preoccupazione principale dell’Amoris Laetitia è quella di presentare una teologia del matrimonio credibile. Prima dell’incontro mondiale del Sinodo sulla Famiglia del 2014/2015, gli stessi vescovi hanno saputo, grazie a sondaggi tra i cattolici laici, che per molti gli insegnamenti su matrimonio e famiglia risultavano oscuri e non convincenti.
Con un’umiltà che non è comune nei documenti papali, Francesco riconosce il fallimento della Chiesa nella comunicazione, dicendo: “A volte abbiamo proposto un ideale del matrimonio troppo astratto e teologicamente artificiale, molto lontano dalle situazioni concrete e dalle possibilità pratiche delle famiglie reali. Questa eccessiva idealizzazione, specialmente quando ha mancato di ispirare fiducia nella grazia di Dio, non ha aiutato a rendere il matrimonio più affascinante e desiderabile. Anzi, il contrario”.
Invece Francesco dice di voler offrire una visione del matrimonio “come un cammino verso lo sviluppo e il completamento di sé”. Cerca di seguire Gesù nell’offrire un “ideale esigente” che però sia sensibile alla “fragilità” degli esseri umani.
Mentre giustappone l’ideale cristiano a certe correnti culturali problematiche, il papa evita generalizzazioni semplicistiche sull’individualismo e il consumismo. Ancora, teme la “cultura dell’effimero”, nella quale le persone saltano da una relazione all’altra, paventando un impegno a lungo termine che limiterebbe necessariamente le loro scelte. Inoltre associa la lotta per l’indipendenza con una difficoltà nel sostenere la comunità che alla fine lascia sole molte persone.
Francesco è anche consapevole che la congiuntura economica attuale rende il matrimonio più difficile da scegliere, sia per i poveri, cui mancano possibilità per il futuro, sia per i privilegiati, che ne hanno troppe. Esse fanno diventare il matrimonio anche difficile da portare avanti. Esprime poi particolare preoccupazione per le famiglie destabilizzate o divise dall’immigrazione, e per quelli che vivono in estrema povertà.
Dopo aver descritto le molte sfide a cui la famiglia deve far fronte, il papa conclude dicendo: “Non c’è alcuno stereotipo della famiglia ideale, ma piuttosto un mosaico impegnativo formato da molte realtà diverse, con le loro gioie, le loro speranze e i loro problemi”.
Ed è proprio dalla visione d’insieme delle diverse esperienze delle famiglie che il papa cerca di riformulare la visione cattolica.
Nelle parti del documento che sono innegabilmente sue, Francesco cerca di comunicare la bellezza di un matrimonio che duri tutta la vita. Molto vicino e visibile nell’enciclica c’è un’acuta consapevolezza di quanto a molti questo ideale sia sospetto.
Nella sua visione la fedeltà è il punto centrale – fedeltà che è radicata nell’“esperienza di appartenere completamente ad un’altra persona” e nella sfida di “aiutarsi l’un l’altro, diventando vecchi insieme”. Sebbene sia apparentemente in contrasto con la passione, Francesco afferma che lo stesso amore chiede fedeltà. Non c’è il romanticismo naïve del “solo lui/lei”, e nemmeno il senso che una persona sola ci completi e ci renda interi.
Il papa insiste che ogni persona ha comunque la sua autonomia, e non deve vedere l’altro come “suo/sua”. Cita il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, che afferma che ogni coniuge deve essere realistico su quanto l’altra persona può dare e dice di “non aspettarsi da lui/lei qualcosa che è proprio solo dell’amore di Dio”.
Francesco non cerca di stabilire che la procreazione sia una condizione indispensabile del matrimonio, ma afferma che, comunque, l’amore è di per sé generoso. Le famiglie non sono “un rifuglio dalla società”. Piuttosto, l’impegno nei confronti degli altri accresce il loro amore.
Francesco cita i versi del poema “Te Quiero” dell’uruguaiano Mario Benedetti: “Ti amo, è perché tu sei/Il mio amore, il mio compagno e il mio tutto,/E per la strada, fianco a fianco,/Siamo molto di più che solo due”.
Conscio di come le persone possono ferirsi e deludersi a vicenda, il papa torna diverse volte sul tema del perdono. L’ammonimento di Martin Luther King di amare i propri nemici perché anche “chi ti odia di più ha del buono in sé” vale anche per il matrimonio, perché il papa esorta gli sposi a vedere Dio nei loro coniugi imperfetti, non importa cosa abbiano fatto.
La pratica del perdono è solo il tassello di una realtà più ampia: l’amore è gioia, ma la gioia “ha bisogno di essere coltivata”. L’amore è quello per cui siamo fatti, quello che desideriamo, e ciò che ci dà la felicità più grande, ma inevitabilmente significa anche “soffrire e lottare insieme” e “un impegno condiviso per crescere ancora di più in armonia”.
Non è un messaggio annacquato, o solamente la difesa di un modello patriarcale e eteronormato. Non è inclusivo come dovrebbe essere, ma letto in modo approfondito è un’esigente e avvincente visione d’amore.
* Julie Hanlon Rubio è un professore di etica cristiana alla St. Louis University (Stati Uniti). I suoi scritti e il suo insegnamento si concentra su matrimonio, famiglia, sesso e genere. È membro della redazione del settimanale cattolico americano National Catholic Reporter (NCR)
Testo originale: Pope offers compelling vision of love