Nell’Arcivescovado di Lucca incontrarsi per confrontarsi con Migliorini su “L’amore omosessuale”
Riflessioni di Giusi del gruppo Kairos di Firenze
A Lucca il 29 maggio si è svolto un incontro dal titolo “L’amore omosessuale” presso la sala principale dell’Arcivescovado della città. Una sorta di ossimoro mettere insieme le due ultime affermazioni, almeno fino a tempi recenti. Ad organizzare l’evento il gruppo di cristiani omosessuali di Lucca, “Camminando s’apre cammino”, nome che non a caso prende origine dalla celebre frase dell’altrettanto celebre lucchese Arturo Paoli. Relatore o interlocutore privilegiato della serata il giovane filosofo della religione Damiano Migliorini, a cui sono state rivolte, dopo un’introduzione-testimonianza incentrata su un percorso esistenziale tra omosessualità e fede, una serie di questioni ruotanti intorno a un testo da lui pubblicato alcuni fa, intitolato proprio “L’amore omosessuale”. Da cui il manifesto della serata.
Ossimoro fino a tempi recenti anche tale manifesto oggetto dell’evento, ricordando come in ambito medico e civile l’omosessualità sia stata depennata dall’elenco delle malattie psichiche dall’OMS nel 1990. Più lenti i progressi in campo religioso, specie entro la Chiesa cattolica, anche se sotto il pontificato di papa Bergoglio la questione omosessuale ha iniziato a trovare maggiore spazio, grazie alla spinta delle mutate condizioni di una parte delle società civile.
Da queste aperture dell’atteggiamento ecclesiale sono sorte una serie di domande testimoni di un desiderio di conoscenza, che tuttavia non prelude a cambiamenti dottrinali o a revisioni della teologia morale, per i quali sono richiesti tempi più lunghi di elaborazione, nonché il superamento delle forti resistenze che l’argomento fa emergere nell’ala più tradizionalista della Chiesa. Ne consegue che ogni forzatura potrebbe essere fra le cause di un possibile scisma, che il papa non desidera. Tuttavia il processo intrapreso appare irreversibile.
La questione più delicata interna alla dottrina cattolica si riferisce all’affettività omosessuale. Secondo la dottrina ufficiale, la persona singolarmente considerata può essere accettata e accolta, mentre problematica rimane l’accettazione pubblica della relazione affettiva. Solo di recente, specie in ambito giornalistico cattolico, essa è stata definita “amore”, perché usualmente la dottrina utilizza il termine “amicizia”.
Una possibile via di uscita è il riferimento all’espressione “castità coniugale”, dove si intende una rapporto che sia oblativo, nonché imperniato sulla fedeltà e caratterizzato dall’essere procreativo. Una relazione omosessuale mantiene le prime due specificazioni, naturalmente non la terza, a meno di non accettare forme di procreazione assistita. Tuttavia la realizzazione delle prime due forse basterebbe per poter parlare di “castità coniugale” anche per coppie omoaffettive.
Inoltre l’aver depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie psichiche permette di considerarla come una variante “naturale” dell’orientamento sessuale. Ad oggi la scienza ha potuto constatare un’origine psichica (manifestantesi fin dai primi attimi di vita) di tale variante che non sarebbe legata a caratteristiche fisiche.
Molto della vexata quaestio ruota intorno al termine “natura”: è applicabile all’ambito omosessuale, superando le semplificazioni biologistiche? La scienza ci dice che il corpo, strettamente connesso alla parte psichica, può essere portato a orientarsi “naturalmente” a relazioni omoaffettive, le quali acquisirebbero un carattere “sostanziale”, o più precisamente “ontologico”. Fermo restando che l’uomo non è solo un prodotto naturale, ma anche “culturale”.
In effetti, al termine dell’incontro, una precisa domanda è stata posta riguardo al fatto che se la persona omosessuale fosse tale per natura ne potrebbe risultare “naturale” anche la relazione omoaffettiva. Questione aperta, e difficilmente risolvibile, stante l’attuale dottrina cattolica.
Forse però bisognerebbe imparare a uscire dalle gabbie concettuali (di ogni provenienza) e comprendere come amare abbia un respiro universale, rifiutando per “natura” paletti identificativi.