Noi cattolici siamo qui! In veglia a Cremona per le vittime dell’omofobia
Intervento di Mauro Castagnaro letto alla veglia contro l’omofobia tenuta nella Chiesa di San Gerolamo di Cremona il 4 aprile 2008
Un anno fa si celebrava il funerale del giovane Matteo, suicidatosi perché non sopportava più le angherie di cui lo facevano oggetto i compagni di classe perché “effeminato”.
Noi oggi siamo qui a Cremona per ripetere col vescovo, mons. Dante Lafranconi (ndr Vescovo di Cremona) che l’omofobia è una causa ignobile e ingiusta, è crimine intollerabile contro l’umanità e contro Dio, quel Dio che, come Pietro scopre con meraviglia, “non fa preferenze di persone, ma gli è accetto colui che lo teme e osserva la giustizia” (At 10,34-35).
1. Sono onorato – e pure un po’ trepidante – che sia stato chiesto a me, un eterosessuale, di proporre una testimonianza/riflessione sulla discriminazione di omosessuali e transessuali. Mi pare un esemplare atto di generosità da parte di persone cui è ancora, non di rado, nei fatti impedito di “prendere la parola”. Ma forse è la più evidente smentita di quella “tendenza narcisistica” e all’esibizione spesso automaticamente attribuita a gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.
Certo, altri avrebbero meritato più di me di dire qualcosa stasera, ed essendo a Cremona non posso non menzionare don Goffredo Crema, che da molti anni, non sempre capito, accompagna il gruppo di omosessuali credenti La goccia.
2. Il riferimento alla testimonianza personale vuole limitarsi a raccontare che la mia vicinanza ai gruppi di gay credenti data da una decina d’anni, quando contribuii a promuovere il convegno “Le persone omosessuali nella Chiesa. Problemi, percorsi, prospettive ”, svoltosi a Milano nel 1999, del quale curai gli atti usciti nel volume “Il posto dell’altro”.
Tuttavia già qualche anno prima, come giornalista specializzato sulla Chiesa dell’America latina, ero entrato in contatto epistolare con un prete brasiliano, p. José Antonio Trasferetti, il quale aveva avviato una pastorale rivolta a gay, lesbiche e transessuali nella diocesi di Campinas, tanto che una trans, di nome Denise, era stata inserita nella Commissione pastorale diocesana della donna emarginata.
Che stava dietro a questo mio interesse? Lo dico con le parole di don Domenico Pezzini, perché le trovo di un’esattezza lapidaria: “La fatica a tollerare il fatto che nella Chiesa ci fossero degli esclusi e che il Vangelo, buona notizia, finisse con l’essere percepito come causa di profondo malessere”.
3. Ora, scorrendo le cronache nazionali degli ultimi due anni si ha la sensazione di un moltiplicarsi di episodi di violenza motivati unicamente dalla diversità sessuale della vittima: scritte volgari, offensive o minacciose, dileggi, casi di bullismo nelle scuole, aggressioni verbali e fisiche, pestaggi, distruzioni di luoghi di ritrovo, stupri, fino all’omicidio di gay, lesbiche e transessuali, contro i quali anche autorità civili hanno invocato la “pulizia etnica” e il “garrotamento”.
E quel che fa notizia è solo la punta di un iceberg fatto di soprusi quotidiani, non denunciati o non associati alla diversità sessuale per paura, per evitare di esporsi ulteriormente, per desiderio di dimenticare. Senza contare che in alcune nazioni la “sodomia” è punita con la pena di morte.
Un anno fa si celebrava il funerale del giovane Matteo , suicidatosi perché non sopportava più le angherie di cui lo facevano oggetto i compagni di classe perché “effeminato”.
Noi oggi siamo qui per ripetere col vescovo, mons. Dante Lafranconi (ndr. Vescovo di Cremona), che l’omofobia è una causa ignobile e ingiusta, è crimine intollerabile contro l’umanità e contro Dio, quel Dio che, come Pietro scopre con meraviglia, “non fa preferenze di persone, ma gli è accetto colui che lo teme e osserva la giustizia” (At 10,34-35).
Noi oggi siamo qui per ribadire con chiarezza che Dio, il quale ama tutti gli uomini e tutte le donne, ama anche tutti gli omosessuali e tutti i transessuali del mondo, e li chiama, uno per uno, ciascuno con la sua specifica identità di genere o il suo specifico orientamento sessuale, all’unica salvezza in Cristo.
Noi oggi siamo qui per dare un segnale di prossimità alle persone che sono vittime di violenza e di scherno a causa della loro diversità sessuale e ricordare loro che Dio è al loro fianco e ha a cuore il loro desiderio di autenticità e liberazione.
4. Purtroppo, come ha onestamente ammesso in questi giorni Anna Maffei, presidente dell’Unione delle Chiese evangeliche battiste italiane, “noi non siamo nelle nostre Chiese del tutto immuni da questo peccato e da questa violenza e abbiamo bisogno anche noi del perdono delle vittime e di Dio per la nostra incapacità di amare e di accoglierci gli uni gli altri come Cristo ci ha accolto”.
L’incomprensione e il rifiuto delle persone omosessuali o transessuali viene, infatti, non di rado da cristiani praticanti. La visione totalmente negativa e la condanna morale della diversità sessuale da parte delle Chiese rischiano di contribuire ad accrescere l’emarginazione sociale di chi ne è portatore, a volte addirittura apparendo legittimatrici di prassi omofobiche.
Anche nella Chiesa, che è chiamata a testimoniare l’amore di Cristo verso tutti coloro che hanno bisogno di aiuto e comprensione, molti gay, lesbiche e transessuali non si sentano accettati e sperimentano umiliazioni ed esclusioni, mentre l’induzione della vergogna e dei sensi di colpa alimenta angoscia e solitudine, influenza la configurazione della vita e l’immagine di Dio. Il suicidio di Alfredo Ormando, datosi fuoco in piazza San Pietro, a Roma, dieci anni fa, ne è solo l’esempio estremo.
La stigmatizzazione della diversità sessuale come malattia, vizio o devianza, l’invito al silenzio e al nascondimento, la proposta di presunte “terapie riparative” mostrano la difficoltà delle Chiese ad accogliere, accettare e amare le persone come sono, a riconoscerne la dignità di figli di Dio, ad aiutarle a vivere in modo positivo, riconciliato e gratificante il rapporto con loro stesse, con il prossimo e con il Padre.
5. L’escalation omofobica e transfobica cui mi riferivo prima sembra andare di pari passo con la progressiva “’uscita dall’armadio” di gay, lesbiche e transessuali e col loro affermarsi come soggetti anche sulla scena pubblica.
Mi viene allora spontaneo, oggi, evocare il 40° anniversario dell’assassinio di Martin Luther King, che testimonia come la rivendicazione della propria dignità da parte delle minoranze sia sempre esposta alla reazione violenta di chi non vuole o non riesce ad accettare la diversità.
Ciò vale a maggior ragione in questi tempi difficili e spaventati, in cui abbiamo tutti bisogno, come di un balsamo, di Qualcuno che ci dica “Non abbiate paura, non temete!” (Mt 10, 26. 28. 31) per superare le chiusure difensive, le aggressività, i risentimenti indotti dalla “società dell’incertezza”.
In questo senso sono convinto che gay, lesbiche, transessuali e transgender credenti debbano sforzarsi di essere soggetti presenti e attivi nella società e nella Chiesa, in particolare raccontando le loro esperienze di vita, mettendo a disposizione i loro percorsi di fede, comunicando le loro riflessioni su Dio, dando alle comunità cristiane il loro contributo specifico, con la consapevolezza che questo significa assumersi le proprie responsabilità di credenti adulti.
Così aiuteranno le nostre Chiese a diventare “segno” per eccellenza del Regno di Dio, l’espressione più evidente e radicale delle trasformazioni che l’entrata dello Spirito produce nel mondo quando è accolta, mostrando alla società che è possibile un ambito – la comunità cristiana – in cui ci si sente fratelli e sorelle, si privilegia sempre la persona, a partire dal più debole, si cerca la condivisione e la solidarietà, si ha per legge l’inclusione, l’andare incontro anche al nemico, il dono di sé gratuito, il servizio.
E suonerà vero il proemio della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
6. A gay, lesbiche, bisessuali e transgender mi sento quindi di dire: la ricerca di fede, spesso tormentata e sofferta, che accompagna le vostre storie personali, è indispensabile alla Chiesa per diventare davvero “esperta di umanità”!
E posso testimoniare di aver ammirato (e a volte persino un po’ invidiato) in molti di voi una spiritualità commovente, profonda e fine, spesso provata dalle espressioni rozze che nei vostri confronti ascoltate anche nelle nostre comunità cristiane.
Ma soprattutto sono convinto che la vostra presenza sia un tesoro inestimabile perché proprio la vostra specificità (al pari, naturalmente di tante altre, e con le luci e le ombre di ogni esistenza umana) può illuminare uno spicchio altrimenti oscuro del volto di Dio, il cui mistero supera la comprensione di ogni singolo credente e di ogni Chiesa.
7. Perciò non stancatevi di farvi sentire! Non abbandonate la Chiesa! E quando la vostra pazienza è messa alla prova dalle freddezze, dalle ipocrisie, dalle parole che feriscono anche nelle nostre Chiese, ricordatevi che sono molti i cristiani in tutto il mondo che cercano di camminare da credenti in Cristo senza negare la propria identità sessuale.
E valorizzate i segni positivi: le parole del vescovo che citavo prima, questa catena di veglie contro l’omofobia, il documento “Accogliere le persone omosessuali senza alcuna discriminazione” approvato in novembre dalle Chiese battiste, metodiste e valdesi italiane, gli stessi gruppi glbt credenti che nascono, muoiono e risorgono ormai da 25 anni anche in Italia e oggi pure in America latina.
Abbiate fiducia nelle Chiese, consapevoli che la loro comprensione del progetto del Dio di Gesù Cristo avviene nella storia ed è progressiva, come ricorda il n. 8 della Dei Verbum.
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