Noi cristiani LGBT+ da Papa Francesco. Quando udienza fa rima con Dioincidenza
Riflessioni di Paolo Spina, volontario de La tenda di Gionata
Non ho fatto fatica a trovare alcune Dioincidenze – così in molti chiamiamo quelle carezze troppo gentili per essere frutto del caso, troppo delicate per chiamarsi miracoli, eppure segni eloquenti della presenza di Dio nella nostra vita – che hanno impreziosito lo scorso mercoledì, già così luminoso e gioioso: sotto un cielo azzurro che di più non si poteva, il 21 settembre più di centodieci amici di cammino de La Tenda di Gionata si sono incontrati in piazza San Pietro, per ascoltare la catechesi di Papa Francesco in occasione dell’udienza generale del mercoledì.
Dopo tanti abbracci tra noi e i forti applausi al sentirci nominati nell’elenco dei gruppi presenti letto prima dell’arrivo del Papa, molti si sono visibilmente emozionati ascoltando i versetti biblici proclamati all’inizio della catechesi: “Pietro allora prese la parola e disse: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti” (Atti 10,34-36).
Sì: eravamo lì proprio perché crediamo che il Signore sia Dio di tutti, Dio per tutti, colmi di speranza perché anche il Papa, successore di Pietro e i vescovi, successori degli apostoli, possano aprire sempre più il cuore con un’accoglienza che non conosca confini o pregiudizi.
Già pregustavo come il Papa avrebbe commentato questi versetti, ma ascoltandolo mi rendevo conto che il protocollo, di ritorno da un viaggio apostolico, prevede che questo diventi il tema della catechesi. E cosa potrà mai c’entrare il Kazakhstan con la comunità LGBT+? C’entra, eccome! Sorridevo ascoltando Francesco: “Mi ha tanto rallegrato incontrare una comunità di persone contente, gioiose, con entusiasmo. I cattolici sono pochi in quel Paese così vasto. Ma questa condizione, se vissuta con fede, può portare frutti evangelici: anzitutto la beatitudine della piccolezza, dell’essere lievito, sale e luce contando unicamente sul Signore e non su qualche forma di rilevanza umana. […] Dunque piccolo gregge, sì, ma aperto, non chiuso, non difensivo, aperto e fiducioso nell’azione dello Spirito Santo, che soffia liberamente dove e come vuole”.
Anche noi assomigliamo a questo piccolo gregge; anche noi chiamati a essere lievito, sale e luce; anche noi fiduciosi nello Spirito che opera con libertà, nella verità.
Non potrò dimenticare come queste parole abbiano preso immediata concretezza: stringendo al mio fianco Domenico, il mio amato; ricevendo, entrambi, la carezza di Beatrice che, insieme a tutti i genitori (con figli LGBT+) a noi vicini, sono mamme e papà un po’di ciascuna e ciascuno di noi, e quella di don Fabio, esploso in un fragoroso: “Siete benedetti! Non sarò mica io, il primo, a benedirvi!”; sentendomi chiamare da qualche fila dietro, preoccupati del mio restare in maniche di maglietta, pronti a offrirmi una felpa… ma “non ci ardeva forse il cuore nel petto?”.
Sì: il cuore deve bruciare, perché la gioia di questi momenti possa essere piena; con cuore ardente come i discepoli di Emmaus, pronti a sentirci dire dal Papa, come scritto nella esortazione Christus vivit: “sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso… E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci”.
La virtù dei forti e la beatitudine dei piccoli sono la bussola di noi, che continuiamo a camminare, certi che camminando s’apre cammino.