Noi cristiani LGBT+ feriti dalle parole di papa Francesco
Articolo di Enrica Brocardo pubblicato sul settimanale GRAZIA n.27-28 del 13 giugno 2024, pp.35-36
Innocenzo parla della sofferenza di tanti fedeli. Mara ha un figlio omosessuale che si è allontanato dalla fede. Lorenzo ha subìto l’omofobia in seminario. Sono cattolici del mondo arcobaleno rimasti feriti quando papa Francesco ha usato l’espressione “frociaggine”. (Il settimanale) Grazia li ha ascoltati.
Ai Pride che per tutto il mese di giugno e oltre sfileranno in diverse citta italiane, a Roma il 15, a Milano il 29, ci saranno anche molti cristiani arcobaleno. «Perché se non andiamo noi a creare dei ponti, visto che la Chiesa ufficiale è assente, chi lo dovrebbe fare?», dice Innocenzo Pontillo, presidente della Tenda di Gionata, una delle associazioni più attive nella promozione dei diritti delle persone Lgbtqia+ all’interno della Chiesa.
Il termine offensivo per parlare di omosessualitá sfuggito a papa Francesco lo scorso 20 maggio in una conversazione a braccio con i vescovi – ha usato la parola “frociaggine” – ha “rovinato” il suo viaggio di nozze con il marito in Portogallo, con il cellulare che squillava in continuazione e le chat su whatsapp piene di commenti e reazioni.
«In molti si sono sentiti, ancora una volta feriti, presi in giro». A distanza di giorni, riflette con più calma: «La notizia è uscita da ambienti che volevano far passare per omofobo un papa che obiettivamente ha fatto molti passi avanti: prima di lui nella Chiesa non si parlava proprio di persone Lgbtq+».
Quanto alla parola incriminata? «Un termine sbagliato. Ma quello che voleva dire, e lo aveva gia affermato in passato, e che anche se non c’è preclusione all’ingresso degli uomini gay in seminario, secondo lui non troverebbero un luogo capace di accoglierli. Perché se sulle persone etero un minimo di confronto sul tema della sessualità c’è, omosessualità è un argomento che non viene affrontato in nessun modo.
Inoltre, esiste un documento emesso da Benedetto XVI e confermato da Francesco che, in sostanza, afferma che se un candidato ha “agito” il proprio orientamento omosessuale non può entrare in seminario. In sintesi: un pregiudizio c’è».
Pontillo cerca comunque di guardare al bicchiere mezzo pieno. «Francesco si è scusato, come ha fatto notare l’attivista Franco Grillini, e la prima volta che un Papa chiede ufficialmente scusa alla comunita Lgbtqia+». Conclude: «Sulle persone transgender, però, siamo all’anno zero. Secondo la Chiesa vanno accolte ma il loro percorso di transizione non va sostenuto perché ingiustificabile».
Mara Grassi, un figlio di 44 anni che ha fatto coming out una ventina di anni fa, racconta: «Confesso che quando ho letto la notizia ci sono rimasta malissimo. Anche perché, nel 2020, avevo consegnato a papa Francesco un libretto che parlava di noi genitori di ragazze e ragazzi omosessuali e ricordo ciò che mi aveva detto allora: “Dio li ama cosi come sono”». Adesso questa affermazione rischia di riportarci indietro? «Preferisco credere che possa essere l’occasione per sollevare una coltre sull’ipocrisia, perché nella Chiesa c’è tanta omofobia».
Continua: «Dopo il coming out, mio figlio si è allontanato dalla fede. Non si sentiva accolto e il giudizio che lo circondava lo faceva sentire sbagliato. Anche mio marito e io all’inizio non siamo stati capaci di accettare la sua omosessualita. In seguito ci siamo resi conto dell’errore, ma è stato un percorso lungo. Da donna, inoltre, vedo un collegamento tra il modo in cui la Chiesa tratta le persone Lgbtqia+ e certe chiusure nei confronti del mondo femminile. Peccato che cosi si tolga ricchezza alla Chiesa».
L’11 giugno scorso, Lorenzo Caruso, 22 anni, aspirante seminarista rifiutato in quando gay, si è visto arrivare la risposta di Francesco alla lettera che gli aveva inviato subito dopo aver letto l’esternazione del pontefice: «Fratello, vai avanti con la tua vocazione», c’è scritto. «Non dimenticherò mai l’incontro con il rettore del seminario di Genova che in sostanza mi consiglio di iniziare un
percorso con uno psicologo. Non ha mai parlato di terapia di conversione per le persone gay anche perché la Chiesa le vieta. Ma la mia impressione è che volessero capire se in me c’era un briciolo di eterosessualità.
La lettera del Papa mi ha ridato speranza, ma I’impressione, in generale, ¢ che alcune aperture siano solo di facciata. Faccio un esempio: negli ultimi documenti in cui si parla dei battesimi per le persone transgender si dice che sono permessi a patto che non creino troppo scandalo nella comunita parrocchiale. Una cosa orribile.
Che qualche passo avanti sia stato fatto, lo dimostra l’esistenza di sacerdoti come don Dino D’Aloia, direttore dell’ufficio di pastorale con le persone Lgbtqia+ della diocesi di San Severo, in provincia di Foggia.
Anche lui ha scritto una lettera al pontefice in cui gli ricordava come l’omosessualita non sia una scelta. «Con quel termine il Papa probabilmente non voleva
riferirsi a tutti gli omosessuali ma a coloro che, anche nel clero, ostentano in modo plateale il loro orientamento sessuale. Premesso questo, è stato un errore. E le scuse del Papa soddisfano a meta. Una maggiore schiettezza nell’ammettere la caduta di stile sarebbe stata più utile.
Comunque, non è una parola sfuggita di bocca a essere il vero problema. La questione semmai è che tanti cattolici hanno ancora molti pregiudizi del tipo: “Se è gay sicuramente sceglie il sacerdozio come comodo rifugio”».