Noi cattolici omosessuali davanti alle parole di esclusione urlate al family day
Riflessioni di Filippo del gruppo Kairos di Firenze
Che quelle che stiamo vivendo sarebbero state settimane complesse ce lo aspettavamo. Che avrebbero portato a galla i peggiori umori omofobi nascosti nella pancia di un paese che forse non crede più in se stesso e nel proprio avvenire, lo avevamo messo in conto. Ma per noi credenti omosessuali questi giorni hanno rappresentato qualcosa di diverso. Dopo la grande attesa, in parte delusa, del Sinodo di ottobre, e la tenera e calda accoglienza dei tanti pastori che condividono insieme ai nostri gruppi un percorso di fede, molti tra di noi, ed io con loro, eravamo convinti che qualcosa si fosse veramente rotta nel muro di ostinata chiusura della Chiesa nei confronti delle persone GLBT.
Non solo e non tanto nelle gerarchie, che così tanta fatica fanno ad accogliere le diversità che emergono, quanto in quella che negli anni fecondi della stagione del Concilio si sarebbe chiamata la Chiesa di base. Comunità piccole e grandi, gruppi di preghiera, devozioni ispirate a questo o a quel particolare carisma, che in questi anni hanno iniziato ad interrogarsi sull’esistenza delle donne e degli uomini cristiani omosessuali.
La veglia per le vittime dell’omofobia celebrata a Firenze lo scorso maggio nella quale mi sono trovato seduto accanto a due capi scout dell’AGESCI, per me cresciuto nell’associazione, sembrava quasi un presagio dei tempi nuovi che ci attendevano. E poi c’è stato il Family day.
Non importa quanti effettivamente fossero sabato al circo massimo; sempre tanti, troppi erano. Forse non nel numero ma nella qualità. Uomini e donne che si professano cristiani, accompagnati da pastori che magari in buona fede, li hanno condotti ad una moderna crociata, che non ha, dobbiamo dirlo con chiarezza, alcun fondamento teologico.
Quei volti che riempivano la piazza e che sono rimbalzati sugli schermi di tutte le televisioni con dichiarazioni tra l’assurdo e l’imbarazzante del resto li conosciamo bene; sono i catechisti che almeno una volta nella vita ciascuno di noi ha incontrato nella propria parrocchia, le pie donne che circondano gli altari di molte chiese, i giovani animatori dei cori domenicali.
I pilastri di una Chiesa che probabilmente ha smarrito la bussola, incapace non solo di confrontarsi con una società in continuo cambiamento, ma soprattutto di ascoltare ed accogliere tante sorelle e fratelli benedetti come loro dal dono della fede, ma che, differentemente da loro hanno un orientamento omo-affettivo. Perché diciamolo con chiarezza, aldilà delle enormità che abbiamo avuto la sventura di ascoltare in queste ore, è questo il cuore del problema; non sono i nostri costumi sessuali ad essere messi in discussione, ma la nostra affettività. La rigida dottrina sulla morale sessuale radicata da secoli in una chiesa maschilista e misogena, e cementata da un trentennio di woitilismo, non riesce più a concepire l’unione dei corpi, anche quella di due santi sposi etero, come atto d’amore. Figurarsi poi quella di due uomini o di due donne. Ma si può sapere che vogliono questi gay? Sul piano civile i diritti individuali sono garantiti dalle leggi vigenti, e la misericordia del popolo di dio per questi fratelli sfortunati che vivono nel peccato, non gli manca.
E no care sorelle e fratelli del Family day. Noi credenti omossessuali non siamo individui venuti male, partoriti per errore nel novero dei fedeli. Apparteniamo alla schiera del popolo di Dio, concepiti nel suo amore e inseriti a pieno titolo nel suo disegno di salvezza. Come voi abbiamo intrapreso un cammino di crescita nella fede, reso spesso più complicato proprio dal nostro orientamento affettivo. E per quelli più fortunati di noi, che hanno ricevuto il dono di una compagna o di un compagno, conosciamo la fatica di costruire nella quotidianità un rapporto di coppia che per chi crede significa specchiarsi nel messaggio di salvezza che ci ha lasciato “Colui che è venuto per servire e non per essere servito”.
Non si può non provare un sentimento di evangelica comprensione per tutti voi che non riuscite a cogliere l’autenticità cristiana di tali sentimenti. Il parlamento italiano troverà una soluzione di compromesso che forse non soddisferà nessuno e scontenterà tutti.
So bene che nessuna legge potrà mai cancellare dai vostri volti quel sentimento di indignazione e offesa quando ci incontrerete per la strada mano nella mano, o ci vedrete scambiarci un gesto di affetto.
Questo non cancellerà l’emozione che io il mio compagno proviamo quando, non tanto spesso quanto vorremmo, partecipiamo insieme alla celebrazione eucaristica.
Non smetteremo di sentirci Chiesa domestica, e di camminare sulla strada che il Signore ha tracciato per noi. E continueremo a soffrire per voi che non accettandoci rifiutate una parte del disegno di Dio di cui siamo segno concreto.