Noi donne in cammino nei gruppi di credenti omosessuali
Testimonianza tratta dal Bollettino Acqua di Fonte n.1, 16 Dicembre 1996
Era il mese di settembre dell’anno 1984 (sembra quasi l’inizio di una favola) quando per la prima volta ho partecipato ad un incontro di quello che allora era un gruppo senza nome, una specie di “Guado-Emilia”.
Vecchi appunti, frutto di un’abitudine a fissare sulla carta momenti di vita, mi rammentano che eravamo in 16: quindici uomini ed io. Come proporzione era un po’… sproporzionata, ma allora per me era importante ed urgente uscire dal guscio e dall’angoscia.
E poi… esser l’unica donna offriva i suoi vantaggi: quanti cavalieri a disposizione! Quante attenzioni e gentilezze! Un modo di stare con gli uomini senza doverne temere le avances, e questo per una donna (a cui tra l’altro quelle avances proprio non interessavano!) non era cosa da poco.
L’argomento che avevamo scelto era “la Chiesa e noi”, la sua morale, le nostre aspettative, i desideri: scontro o incontro?
Quanto bastava per una come me che cercava di star meglio con se stessa, con gli altri e con Dio. Che poi i compagni di cammino fossero tutti uomini non aveva un grosso peso in quel momento.
Qualche anno dopo la presenza femminile ebbe, grazie ad un paio di annunci su un giornale, un momento di gloria: ad una cena di Natale a Modena, “a palazzo” di uno del gruppo, eravamo addirittura quattro!
Questo surplus non è durato molto, la distanza ed altri interessi hanno ricondotto la proporzione alle origini, o quasi.
Avevamo allora introdotto l’uso di fare delle convivenze di più giorni, momenti autogestiti in cui ci si doveva occupare di tutto.
Servivano per amalgamarsi, affiatarsi, oltre che divertirsi e continuare quel cammino di conoscenza ed accettazione da cui avevamo tratto il nome.
Anche qui, per me, l’esser quasi sempre sola aveva i suoi vantaggi logistici: se c’era una singola era la mia (e senza sovrapprezzo!). Gli altri in letti più o meno a castello, tranne uno che veniva amorosamente “isolato” per ragioni di rumore: russava, e russa, con decibel da discoteca.
Allora riuscivo comunque a parlare di me, a trarre dalle esperienze degli altri giovamento per la mia, anche se quegli altri difficilmente erano donne e quindi… qualcosa di diverso c’era.
La mancanza di confronto alla pari ho iniziato a sentirla nel tempo, mentre le esigenze si affinavano edavevo occasione in incontri organizzati da altri gruppi, di sperimentare la compagnia e il confronto con altre donne in numero un po’ più consistente.
Spesso mi sono, anzi ci siamo chiesti il perché di questa presenza femminile cosi esigua. Forse in parte è dovuto al fatto che, anche se una donna arriva in un gruppo, si ritrova sola, non regge al disagio e se ne va. Cosi succederà alla successiva e così… avanti.
Una delle ragioni che mi hanno spinto a tener duro è stata proprio questa: qualcun’altra arrivando avrebbe scoperto di non essere sola e così… avrebbe deciso di rimanere con noi.
Dagli amici uomini ho sempre trovato solidarietà, hanno sempre pensato che una presenza più bilanciata non possa che giovare al cammino di tutti, a parte il piacere di conoscere l’altra metà… del cielo.
La gioia, da due anni a questa parte, è quella di una presenza femminile assidua più numerosa, presenza che spero non si faccia scoraggiare dalle difficoltà che ogni attività di gruppo può presentare. E’ bello sentire, agli incontri, voci diverse, toni femminili, esperienze di donne… con le gonne.
E spero non mi accadrà più, come in occasione di una cena di Natale organizzata nella saletta riservata di un ristorante del centro qualche anno fa, di passare per “la segretaria di una cooperativa di taxisti”! A proposito: non mi ricordo più se erano radiotaxi o no…!?