Non basta la compassione, con le persone transgender serve l’inclusione
Testo di Gene Robinson*, vescovo episcopale della Diocesi del New Hampshire (Stati Uniti), tratto da “Transgender Welcome: A Bishop Makes the Case for Affirmation“, edito dal Center for American Progress, gennaio 2016, liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata
Molte persone di fede sono pronte a mostrare compassione nei confronti delle persone transgender. Dicono: “Non voglio giudicare, voglio solo essere gentile”, oppure: “Dobbiamo trattare tutti con amore, anche se non comprendiamo del tutto la loro esperienza”.
La compassione è certamente un punto di partenza importante, ma non è sufficiente. Quando si parla di persone transgender, non si tratta solo di essere gentili o di “tollerarle”, si tratta di giustizia.
La giustizia non è un sentimento di pietà. La giustizia riguarda il riconoscimento della piena dignità di ogni persona e il diritto di vivere senza discriminazioni, senza paura, senza vergogna.
La giustizia nella Bibbia
Le Scritture parlano ripetutamente di giustizia. Nel libro di Michea troviamo un passaggio fondamentale:
“Uomo, ti è stato insegnato ciò che è bene e ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il tuo Dio.” (Michea 6:8)
Notiamo che qui la giustizia viene prima della misericordia. Questo ci dice che l’amore autentico deve includere la giustizia. Non basta dire: “Ti voglio bene anche se sei transgender”, bisogna dire: “Riconosco il tuo valore, il tuo diritto di esistere pienamente, il tuo posto nel mondo e nella comunità”.
La Bibbia ci chiama non solo a essere buoni con gli emarginati, ma a lottare per cambiare le strutture che li opprimono.
Dalla tolleranza all’affermazione
In molte comunità religiose, le persone transgender vengono “tollerate” a condizione che non disturbino troppo gli equilibri. Questo è inaccettabile. La vera accoglienza non è una tolleranza con riserva, ma un’affermazione chiara e gioiosa della loro identità e della loro dignità.
Quando guardiamo la storia delle persone LGBTQ+ nelle chiese, vediamo un modello ricorrente:
- Fase 1 – Esclusione totale: Le persone LGBTQ+ vengono rifiutate, condannate e bandite dalla comunità.
- Fase 2 – Accettazione con riserve: Si accetta che ci siano persone LGBTQ+ nella comunità, ma a condizione che non facciano troppo rumore.
- Fase 3 – Accettazione aperta: Si dice che possono essere parte della chiesa, ma ancora con qualche limite, magari senza accedere al ministero.
- Fase 4 – Inclusione piena: Le persone LGBTQ+ vengono riconosciute per quello che sono, senza riserve, senza condizioni.
Molte comunità di fede si trovano ancora tra la fase 2 e la fase 3. Ma il nostro obiettivo deve essere la fase 4: una piena inclusione e celebrazione della bellezza e della diversità delle persone transgender.
* Gene Robinson (nato il 29 maggio 1947 a Lexington, Kentucky) è stato il primo vescovo dichiaratamente gay e in una relazione stabile ad essere consacrato in una grande denominazione cristiana, la Chiesa Episcopale degli Stati Uniti. Ordinato vescovo della Diocesi del New Hampshire nel 2003, la sua elezione ha suscitato un dibattito globale sulla posizione delle chiese cristiane rispetto all’omosessualità, causando tensioni nella Comunione Anglicana.
Robinson ha vissuto la sua fede come strumento di inclusione, sostenendo con passione i diritti delle persone LGBTQ+ sia nella Chiesa che nella società. Autore di libri come “God Believes in Love”, ha raccontato il suo percorso personale e teologico, sottolineando l’importanza di una Chiesa accogliente. La sua eredità risiede nel coraggio di affermare che tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, sono figli di Dio, meritevoli di rispetto e dignità. La sua figura rimane simbolo di apertura e giustizia nella Chiesa contemporanea.
Testo originale: Transgender Welcome. A Bishop Makes the Case for Affirmation