“Non c’è altro corpo che il tuo”. Il cammino di Suor Derouen con le persone trans
Reportage di David Van Biema* pubblicato sul sito di Outreach (USA) il 19 agosto 2024 e liberamente tradotto da Luigi, Valeria e Ilaria de La Tenda di Gionata, prima parte
Suor Luisa Derouen è una suora cattolica della Louisiana che è diventata il principale operatore pastorale per le persone transgender nella Chiesa statunitense. Questa è la sua storia.
Fu un momento difficile per Maureen Rasmussen. Era l’agosto del 2018 e la Rasmussen, una devota cattolica che recita il rosario tutti i giorni, aveva avuto una conversazione sconcertante con un sacerdote che aveva cercato per chiedergli consiglio su un problema assolutamente personale.
Per gran parte della sua vita la Rasmussen aveva provato a venire a patti con il genere che le era stato assegnato alla nascita. Si era sottoposta a due anni di psicoterapia per chiarire il suo bisogno personale di transizione. Dopo i cinquant’anni, aveva iniziato a prendere gli ormoni che avrebbero modificato il suo corpo per renderlo più conforme alla sua radicata percezione di essere una donna. La terapia ormonale aveva funzionato. Aveva iniziato a sentirsi meglio come persona.
All’inizio, un sacerdote l’aveva incoraggiata nel suo percorso. «Sei a tuo agio nella tua pelle e Dio non commette errori», le aveva detto. Ma ora, prima di andare avanti: «Era importante esaminare ancora una volta l’aspetto spirituale della questione. Solo per essere sicura di aver fatto tutto per bene. Sarebbe stata una benedizione come una specie di ciliegina sulla torta, diciamo». Solo che questa volta non c’era stata nessuna benedizione.
La Rasmussen aveva detto al nuovo sacerdote, in un monastero del Maryland, che si stava preparando a comunicare la notizia della transizione a sua moglie. Il sacerdote aveva detto che le sue intenzioni erano un’offesa ai suoi voti matrimoniali e alla sua fede. Aveva indicato un crocifisso sulla parete e le aveva detto: «Non puoi fare la transizione. Questa è la croce che devi portare», ricorda Maureen.
«Uscita di lì mi sentivo come se qualcuno mi avesse sgonfiata come un palloncino. Quando le cose ti vanno male nella vita, e sono cose davvero dure da affrontare, attingi alla tua fede. Ma quando è la fede a scaricarti proprio nel mezzo delle difficoltà, dove altro puoi andare?».
La Rasmussen era andata al suo computer portatile e aveva avviato una ricerca che riprovava ogni tanto, nonostante non avesse mai funzionato. Aveva digitato “supporto per persone transgender cattoliche”. Tutte le volte, questa ricerca aveva prodotto come risultati solo polemiche incrociate e annunci che proponevano terapie di conversione.
Ma, stavolta, qualcosa di nuovo era spuntato. Era un profilo sul sito del giornale online Al Jazeera America. «Chiamatela suor Monica», si leggeva, «anche se non è il suo vero nome». Monica era una suora di una località non identificata che pregava per le persone transgender e le assisteva spiritualmente rispettando il genere in cui si riconoscevano.
Date le circostanze, la Rasmussen non volle farsi scoraggiare da uno pseudonimo. Contattò l’autore dell’articolo, che promise di inoltrare un’e-mail alla suora. Rasmussen scrisse: «Sono una cattolica praticante, vado ogni giorno a messa e sono una persona transgender. Prego ogni giorno per fare discernimento e prendere decisioni corrette secondo la volontà di Dio…». Chiese se Monica potesse aiutarla come guida spirituale. E concluse: «Sarai nelle mie preghiere… Ti auguro una giornata super». E un’emoji con la faccina sorridente.
«Abbracciateci. Non allontanateci».
La Rasmussen si veste sempre in coordinato. Oggi indossa pantaloni beige, un top blu e un maglione primaverile a righe che riprende entrambi i colori. Alla mano destra porta un piccolo anello a fascia con una pietra turchese che si intona con i suoi straordinari occhi blu. La donna molto più bassa seduta accanto a lei sul divano della hall di un hotel di Manhattan – dove stanno partecipando a un convegno – le prende l’altra mano. «Eri così angosciata! Da non crederci!», dice la seconda donna, suor Luisa Derouen, O.P. (Ordine dei Frati Predicatori)
«Quando ci parlammo per la prima volta, avevi bisogno di un’autorità religiosa. Mi dicevi ‘So di essere una persona transgender. Va bene per Dio? Non posso rompere il mio rapporto con Dio. Posso ancora essere fedele a Dio ed essere transgender? Posso essere fedele a Dio come cattolica?’».
La Derouen, minuta e snella, indossa un top nero di Talbots e pantaloni color tortora. («Non posso permettermi Talbots. È un vestito di mia cugina: prendo tutti ciò che lei non vuole più»). Porta un piccolo ciondolo smaltato con l’insegna delle Suore Domenicane della Pace: un ramo d’ulivo su uno scudo bianco e nero. E continua: «Ti ho chiesto: ‘Puoi non essere transgender?’. Tu hai risposto: ‘No’. Allora questo è ciò che sei. È così che Dio ti ha fatto, e tutto ciò che Dio ha fatto è prezioso e buono. E Dio ti ama così come sei. Essere fedeli a questa realtà non ti separa da Dio. Dà gloria a Dio».
Dice Rasmussen: «Non l’avevo mai considerata da questa prospettiva».
Suor Derouen le tiene ancora la mano. È una che ti abbraccia e ti tiene stretto. Usa la strategia del politico che ti stringe il gomito mentre ti guarda fisso negli occhi. Quando ci incontriamo ha settantanove anni, ma l’energia inarrestabile di una persona di decine di anni più giovane.
Derouen è in grado di passare da toni elevati a espressioni molto colloquiali: può scrivere saggi con la precisione e la padronanza che derivano dalle sue due lauree; oppure sfoderare battute da guru motivatore sullo stile di Ted Lasso (N.d.T. Ted Lasso è il personaggio di una serie televisiva statunitense), come «Il secondo nome di Dio è davvero Sorpresa!» o frasi ancora più incomprensibili come «Non mi riconoscerebbero dal gatto di Esmerelda». Irradia un allegro ottimismo, ma ha anche, e la cosa sconcerta un po’, quello che gli autori spirituali chiamano il “dono delle lacrime”, perché piange ogni volta che vengono fuori certi argomenti.
Le due donne chiacchierano e scherzano come sorelle, ma si sono incontrate faccia a faccia solo oggi, dopo anni di comunicazione a distanza. Forse il più grande risultato che hanno raggiunto insieme, una volta che la Rasmussen ha superato la notte oscura della sua anima, è stata la partecipazione a una videochat su Zoom con cinque vescovi americani incaricati di preparare delle linee guida per le organizzazioni sanitarie cattoliche sul trattamento delle persone transgender.
Suor Derouen pensava che nessuno di loro avesse mai (consapevolmente) incontrato una persona transgender. «Volevo che ascoltassero la sua storia», dice. «Maureen è davvero cattolica, per come lo intendono i vescovi. Cattolica secondo i loro parametri».
La Rasmussen, che fino a poco tempo fa era co-proprietaria di una fiorente azienda di illuminazione nel Maryland («illumino la vita delle persone») e faceva molte presentazioni, dice di aver capito che i vescovi la stavano ascoltando.
Quando ha finito il discorso che aveva preparato, uno di loro ha chiesto come avrebbe dovuto rispondere se un membro della sua congregazione gli avesse detto di avere un figlio transgender. La Rasmussen ricorda di aver risposto: «Tutto ciò che si può fare è cercare di accoglierlo. Non dovete accettare tutto, ma non chiudete la porta in faccia. Tanto non funziona».
Rasmussen è una persona realista. L’accettazione delle persone transgender da parte della gerarchia cattolica, dice, «probabilmente non avverrà nel corso della mia vita. Ma non possiamo risolvere tutti i problemi del mondo. Se facciamo anche solo un piccolo passo, non è già qualcosa?». Guarda suor Derouen. «Abbracciateci. Non allontanateci», dice.
Suor Derouen sorride raggiante.
*David Van Biema è stato il capo redattore della sezione religione per la rivista Time, dove ha lavorato dal 1993 al 2008. I suoi scritti sono apparsi su The Atlantic, America, Religion News Service e altri.
Testo originario: “No Body Now But Yours”