“Non è un rifugio. È una gabbia”. I preti cattolici gay si raccontano
Articolo di Elizabeth Dias* pubblicato sul sito del quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 17 febbraio 2019, prima parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Gregory Greiten aveva 17 anni quando quei preti organizzarono quel gioco. Era il 1982 e Gregory si trovava in ritiro con i suoi compagni del St. Lawrence, un seminario cattolico per liceali. I sacerdoti che guidavano il gruppo chiesero a ogni ragazzo che ruolo volesse interpretare: quello di un uomo con oltre il 90% del corpo ustionato, quello di un paraplegico oppure quello di un gay. Tutti scelsero le prime due opzioni: da nessuna bocca uscì la parola “gay”. Il gioco si chiamava “il gioco della vita”.
Gregory non dimenticò più la lezione. Sette anni dopo si sporse dalla finestra del dormitorio del seminario e fece penzolare una gamba nel vuoto: “Ma io sono gay!”. Padre Gregory Greiten, che oggi è sacerdote vicino a Milwaukee, ricorda il momento in cui disse a se stesso quelle parole: “Fu come una sentenza di morte”.
La Chiesa Cattolica, per quanto riguarda l’omosessualità, si aggrappa a una impossibile contraddizione. Per anni Papi e vescovi hanno coperto di vergogna i cattolici omosessuali e hanno insistito sul fatto che “le tendenze omosessuali” sono “disordinate”, eppure migliaia dei suoi sacerdoti sono gay.
Le storie dei preti gay non vengono raccontate, sono nascoste al mondo profano, di solito sono conosciute solo da una cerchia ristretta. Meno di una decina di sacerdoti, negli Stati Uniti, ha osato venire allo scoperto pubblicamente. Eppure almeno il 30-40% dei preti cattolici americani è gay, secondo moltissime stime dovute a istituti di ricerca e allo stesso clero. Alcuni sacerdoti stimano la percentuale vicina al 75%. Un sacerdote del Wisconsin una volta ha detto che dà per scontato che tutti i sacerdoti siano gay, a meno che non sia accertato il contrario. Un sacerdote della Florida invece la pensa così: “Un terzo è gay, un terzo è etero e un terzo non sa cosa diamine sia”.
Negli ultimi mesi un gruppo di circa 25 preti e seminaristi da 13 Stati hanno raccontato dettagli intimi della loro vita nel nascondiglio cattolico al New York Times. Sono stati intervistati nelle loro parrocchie prima della Messa, nei musei durante il weekend, nei loro appartamenti decorati con luci al neon color arcobaleno e durante le pause delle lezioni nei seminari. Alcuni hanno accettato di farsi fotografare. Quasi tutti hanno chiesto un alto grado di discrezione, per poter parlare senza timore di sanzioni da parte dei loro vescovi o superiori.
Ad alcuni di loro è stato espressamente proibito di fare coming out, e perfino di parlare apertamente di omosessualità. La maggior parte sono attivi nel ministero, e se si sapesse che sono gay potrebbero perdere più che il lavoro: la Chiesa ha quasi sempre il controllo dell’alloggio dei sacerdoti, della loro assicurazione sanitaria e del loro piano pensionistico; se un vescovo trova qualcosa da ridire sul comportamento di un sacerdote, questo potrebbe finire in mezzo a una strada, anche se è stato fedele alla promessa di celibato.
L’ambiente clericale scotta sempre di più per i sacerdoti gay. La caduta di Theodore E. McCarrick, il potente cardinale ridotto allo stato laicale per via dei suoi abusi sui giovanissimi, ha spinto molti commentatori a lanciare accuse violentissime contro i sacerdoti omosessuali, presunta causa dello scandalo abusi sessuali. Molti studi hanno confermato che non c’è collegamento tra l’omosessualità e l’abuso dei minori, eppure molti autorevoli vescovi hanno individuato la radice del problema nei sacerdoti gay e molti gruppi di destra hanno attaccato la presunta “sottocultura omosessuale” della Chiesa, la “mafia lavanda” o la “camarilla gay”.
Anche papa Francesco, negli ultimi mesi, sembra concedere sempre più credito a questi giudizi. Ha affermato che l’omosessualità sarebbe “di moda”, ha raccomandato che gli uomini con “questa tendenza profondamente radicata” non vengano accettati nei seminari e ha ammonito i sacerdoti gay perché siano “perfettamente responsabili e non cerchino mai di dare scandalo”. Questa settimana papa Francesco inaugurerà l’atteso summit sugli abusi sessuali, che vedrà la partecipazione di vescovi provenienti da tutto il mondo. Il dibattito probabilmente non riguarderà solamente le responsabilità dei vescovi, ma anche l’omosessualità stessa.
“La mia vita è così. È come se tutti oggi stessero facendo una caccia alle streghe per punire cose che non hai mai fatto” dice un parroco del Nordest [degli Stati Uniti]. Solo pochi anni fa, tutto questo era quasi inimmaginabile. Quando Francesco nel 2013 proferì la sua frase rivoluzionaria “Ma chi sono io per giudicare?” sembrava stesse per spalancarsi la porta del nascondiglio, e alcuni sacerdoti, molto cautamente, fecero capolino.
Ma se uno spiraglio si è aperto, ora lo scandalo abusi rischia di chiudere la porta a chiave. L’affannosa ricerca di capri espiatori ha spinto molti sacerdoti a nascondersi ancora di più. “La grande maggioranza dei sacerdoti gay non è al sicuro. Stare nel nascondiglio è peggio che divenire un capro espiatorio. Non è un armadio: è una gabbia” dice padre Bob Bussen, prete a Park City, nello Utah, che circa 12 anni fa ha subìto un outing, poco dopo aver celebrato una Messa per la comunità LGBTQ.
“Spesso ti insegnano a comportarti come un etero per poter sopravvivere”
Ancora prima di sapere che sono gay, i preti conoscono il nascondiglio. Il codice d’onore si insegna fin dai tempi del seminario: “Numquam duo, semper tres”, si ammonisce: “Mai in due, sempre in tre”. Andate in giro in tre, mai in coppia. Non si può passeggiare in due, né andare al cinema in coppia. I superiori non mancano di avvertire: le amicizie maschili sono troppo pericolose, potrebbe scapparci il sesso o diventare quelle che vengono chiamate “amicizie particolari”.
“Non si può avere un’amicizia particolare con un uomo, perché si finirebbe per essere omosessuali. E non si può stringere amicizia con una donna, perché si finirebbe per innamorarsene, e ambedue le cose vanno contro il celibato. Ma con chi si può avere una sana relazione umana?” si chiede un sacerdote.
Oggi, negli Stati Uniti, l’iter per diventare prete comincia all’università, oppure dopo la laurea, ma fino al 1980 spesso si cominciava il seminario ancora prima del liceo, quando si era adolescenti in preda alle tempeste della pubertà. A molti dei sacerdoti e vescovi che oggi hanno superato la cinquantina, quell’ambiente ha impedito un corretto sviluppo sessuale. I preti non possono sposarsi, perciò fin dall’inizio si inculcavano l’astinenza sessuale e l’obbedienza. La rivoluzione sessuale che stava avvenendo fuori dalle mura dei seminari poteva benissimo stare accadendo sulla Luna, e pietre miliari della lotta per i diritti omosessuali, come i moti di Stonewall, su Marte.
Un sacerdote di una diocesi rurale dice che queste regole ricordano i tempi in cui, nelle scuole elementari, si obbligavano gli scolari mancini a scrivere con la destra: “Spesso ti insegnano a comportarti come un etero per poter sopravvivere”.”Mi ricordo ancora di quella volta che vidi un mio compagno di seminario uscire dalla stanza di un altro alle 5 del mattino, e io pensai: Che bello, hanno parlato tutta la notte. Ero così ingenuo!” prosegue.
I preti americani tendono a confessare a se stessi la propria omosessualità molto più tardi della media nazionale degli uomini gay, che è di 15 anni. Molti di essi riferiscono di essere stati sballottati tra la negazione e la confusione, prima di uscire finalmente allo scoperto con se stessi dopo i 30 o i 40.
Padre Gregory Greiten aveva 24 anni quando capì di essere gay e accarezzò l’idea di saltare dalla finestra del dormitorio. Non lo fece, e confessò invece la sua disperazione a un compagno. Anche il suo amico, allora, uscì allo scoperto, e fu una rivelazione: c’erano altri gay in seminario, solo che nessuno ne parlava.
Avvicinò allora un suo ex professore, perché pensava che anche lui potesse esserlo. Il professore disse a padre Gregory: “Verrà un giorno quando guarderai indietro a questo momento e ti amerai, proprio perché sei gay”. Padre Gregory pensò che quell’uomo dovesse essere completamente pazzo. Aveva appena scoperto la strana ironia del nascondiglio cattolico, vale a dire, che non è per nulla segreto. “È come un nascondiglio aperto. [L’omosessualità] diventa un problema quando viene resa pubblica, quando se ne parla” continua padre Gregory.
Un sacerdote, che nessuno in parrocchia sapeva fosse gay, ricorda una festa in cui dei confratelli continuavano a parlare “in maniera vigliacca” di un vescovo gay; questo sacerdote intervenne, e confessò la sua omosessualità. Quella sera perse tre amici d’un colpo: “Confessando la mia omosessualità, ruppi il codice d’onore. Era una cospirazione del silenzio”. È una delle ragioni per cui questi sacerdoti escono allo scoperto con pochissime persone. Il telefono senza fili dice loro quali sono i sacerdoti gay della diocesi, di chi fidarsi e di chi no.
Tutti i sacerdoti hanno problemi con la promessa di celibato, e i pochi sacerdoti [gay] che hanno fatto pubblico coming out ci tengono a precisare che sono casti. Molti di loro, tuttavia, dicono di aver avuto rapporti con altri uomini per esplorare la loro identità sessuale; altri hanno usato la pornografia per capire cosa sia il sesso tra due uomini, ma riferiscono di averne ricavato più angoscia che piacere.
Un sacerdote ha avuto il suo primo rapporto a 62 anni, con un uomo incontrato online, ma la relazione è stata scoperta e riportata al vescovo: da allora il sacerdote non ha più avuto rapporti sessuali. A un altro sacerdote ho chiesto se avesse mai preso in considerazione l’idea di un compagno: non sapeva nemmeno cosa questo volesse dire. Dopo una pausa, ha parlato di un amico molto speciale: “Mi sono innamorato di molti uomini, ma sapevo fin dall’inizio che non poteva durare”.
* Elizabeth Dias è inviata a Washington per il New York Times per le tematiche politiche e religiose. Precedentemente aveva un incarico simile per il settimanale Time, per il quale ha seguito le elezioni presidenziali del 2012 e del 2016. Ha conseguito un diploma in teologia al Wheaton College e un master nel medesimo campo al Princeton Theological Seminary. Twitter: @elizabethjdias
Testo originale: ‘It Is Not a Closet. It Is a Cage.’ Gay Catholic Priests Speak Out