Lettera di Gesù ai cristiani: “Non è questa la Chiesa che sognavo”
Riflessioni di John Pavlovitz (Stati Uniti) pubblicate sul suo blog il 28 marzo 2015, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Cari cristiani dell’Indiana (e cristiani di altri luoghi che mi leggeranno) ho visto cosa sta accadendo di recente da voi. In realtà vi sto osservando da sempre e devo davvero dirvi qualche cosa, nel caso abbiate capito male: questo non era nei miei piani. Non era questa la Chiesa per la quale preparai la tavola. Non era questo il sogno che avevo in serbo per voi quando pronunciavo quelle parabole sul Regno: sul mio Regno. Nei miei piani era tutto molto diverso. Doveva essere un “lievito nella pasta” pervasivo, bello e inesorabile, che doveva permeare il pianeta; un virus incurabile di compassione e pietà che si diffonde da persona a persona e non ha bisogno di governi, di leggi e di forza pubblica. Doveva essere il più piccolo e apparentemente insignificante dei semi, che esplode nel modo più saldo e glorioso con il potenziale realizzato della mia sacra presenza e diventa un luogo sicuro e un riparo per tutte le genti. Doveva essere qualcosa di preziosissimo, un tesoro di valore inestimabile, che avrebbe fatto pensare a chiunque l’avesse scoperto e vissuto che valeva la pena vendere tutto quello che avevano per possederlo.
Doveva essere il mio stesso corpo, qui nella vostra stessa carne. Voi eravate designati a fare ed essere questo. La mia mansuetudine, la mia bontà, il mio perdono: voi eravate stati creati per essere il mezzo di trasporto di tutto questo. Eravate stati fatti per consegnare la più grande buona notizia a un mondo che l’aspettava disperatamente. Questo amore selvaggio ed eccessivo per il mio popolo, questo amore che stravolge il mondo era progettato per viaggiare dal mio cuore dolente, attraverso le vostre mani tremanti, al mio popolo dolente.
Questa è sempre stata la vostra vocazione. Questo è sempre stato il vostro scopo. Lo è ancora, in questo stesso istante. Vi ho posti qui, in questo luogo preciso e in questo momento della storia della creazione, non per difendermi, perché non ne ho bisogno, non per proteggermi, perché ho già volontariamente deposto la mia vita, non per giudicare gli altri a nome mio, perché non ne sareste assolutamente in grado e io non ve l’ho comandato; miei amati, ho posto qui voi non per difendermi, o proteggermi, o sostituirmi, ma semplicemente per riflettermi. Questo è sempre stato il mio comandamento più arduo e il vostro obbligo più pressante; amare Dio e amare gli altri. Pensavo di essere stato chiaro su questo quando venivo interrogato.
Vi ho mostrato come muovervi in questo mondo. Ho avuto la compagnia di sacerdoti e prostitute. Ho toccato lebbrosi, ho lavato i piedi e cenato con peccatori, palesi e nascosti. Ho servito miracolosi pasti gratis a masse affamate, ho permesso a me stesso di essere toccato e baciato e tradito e ingiuriato e picchiato e assassinato… e non ho mai protestato.
Tutto quello che sta accadendo in questi giorni, tutto l’atteggiarsi e il dibattere e il lamentarsi; vi sembra davvero amore? Pensate davvero che queste esibizioni, questo lanciarsi insulti e prendere partito abbia qualcosa a che fare con me? Credete davvero che il risultato delle vostre fatiche di questi giorni sia una Chiesa che perpetua in maniera chiara il mio carattere nel mondo? È questo il Vangelo che vi ho affidato? Voglio essere sincero con voi: io non lo vedo. Come avete fatto ad allontanarvi tanto dalla missione? Come siete diventati così arrabbiati, così aggressivi, così meschini, così arroganti, così prepotenti? Quando avete cominciato a scrivere il vostro copione per questa storia? Quando l’avete trasformata nella vostra storia?
Figli miei, ecco cosa forse non capite, troppo vicini come siete alla faccenda. Forse non siete più in grado di vederla chiaramente. Voi certamente non vedete da dove vedo io, e da qui, dal mio punto di osservazione privilegiato, io vedo che state allontanando la gente da me. Che siete diventati una barriera invalicabile tra me e coloro che più hanno bisogno di me. Che state trasmettendo un’eredità di danni, dolore e isolamento lungo il vostro cammino. Che state dichiarando ad alta voce non il mio amore bensì le vostre preferenze. State vincendo quelle piccole e violente battaglie e state perdendo la gente; non per l’Inferno o il Peccato ma per tutti quei luoghi all’infuori di voi, dove la gente va a ricevere la gentilezza, il decoro e la bontà che voi dovreste mostrarle.
Questa vita non consiste nel vostro diritto di rifiutare qualcuno. Se avessi voluto evitare di servire coloro in cui avevo trovato dei difetti morali, avrei ignorato completamente il pianeta. Io sono venuto per servire. La vostra fede in me non può essere una scappatoia per evitare di imitarmi. Difendere i vostri diritti non è mai stato più grande del seguire il mio esempio. La vostra libertà religiosa non è mai stata più importante dell’amare i minimi. La vostra causa fondamentale dovrebbe essere non smettere mai di conformarvi a me e assomigliarmi, a dispetto degli inconvenienti e del disagio che ciò arreca. Quando vi ho comandato di rinnegare voi stessi mi riferivo ai momenti in cui farlo è più difficile, quei momenti in cui il “noi stessi” ci distrae di più, quando è più pericoloso, quando più assomiglia a un idolo. Obbedire a me di solito si accoppia con il sacrificio di voi stessi.
Non posso obbligarvi a riflettere su queste parole, non posso farvi vivere come io ho vissuto o amare come io ho amato. Non è mai stato il mio modo di operare, e mai lo sarà. Posso solo dirvi che avete sicuramente sviato dal sentiero in cui vi avevo messo, e come è spesso il caso nei lunghi viaggi è una divergenza che si rivela nel più piccolo dei dettagli, quasi impercettibile nel momento in cui accade. Ecco perché quello che a voi sembra una vittoria è in realtà un altro piccolo ma deciso scivolamento lontano da me e dal motivo stesso per cui siete qui.
Poco dopo aver camminato sul pianeta, mentre la mia Chiesa stava appena cominciando a sbocciare e il mio Regno stava irrompendo, uno scrittore greco di nome Aristide scrisse queste parole su coloro che allora portavano il mo nome:
“Sono i cristiani, o Imperatore, che hanno cercato e trovato la verità, perché riconoscono Dio. Essi non tengono per se stessi i beni a loro affidati. Non concupiscono ciò che appartiene ad altri. Mostrano amore al loro prossimo. Non fanno agli altri ciò che non desiderano sia fatto a loro. Parlano con gentilezza a chi li opprime e in questo modo li rendono loro amici. È diventata la loro passione fare del bene ai loro nemici. Vivono consapevoli della loro piccolezza.
Chiunque di loro possiede qualcosa dà di buon grado a chi non ha niente. Se vedono un forestiero che viaggia, lo ospitano sotto il loro tetto. Gioiscono di lui come di un vero fratello, perché non si chiamano l’un l’altro fratelli secondo la carne ma sanno di essere fratelli nello Spirito e in Dio. Se vengono a sapere che uno di loro è imprigionato o oppresso per la causa di Cristo, si fanno carico di tutte le sue necessità. Se possibile, lo liberano. Se qualcuno tra loro è povero o in difficoltà e loro stessi non possono dare nulla, digiunano due o tre giorni per lui. In questo modo possono procurare a un povero il cibo di cui ha bisogno. Questo, o Imperatore, è la regola di vita dei cristiani, questo il loro modo di vivere.” (Aristide, 137 d.C.)
Ai cristiani dell’Indiana e a quelli al di là dell’Indiana che ancora oggi ascoltano: fareste bene a ripetervi ogni giorno queste parole come specchio per le vostre vite individuali e per l’espressione di me che date in questo luogo. È questo che vedete quando guardate voi stessi? È questo che il mondo vede quando vi guarda? Nelle vostre parole e nei vostri comportamenti, Chiesa: vedono me? Se non vedono me, a prescindere da quello che sembra a voi, non avete vinto nulla.
Possa essere questa la verità che davvero vi rende liberi.
.
Testo originale: A Letter To Christians In Indiana, From Jesus