“Non possiamo dire ai nonni che il loro nipote è gay, li ucciderebbe!”
Testo di Mary Ellen e Casimer Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay),Trafford Publishing, 2003, capitolo 5, pp.42-45, libera traduzione di Diana
“Non possiamo dirlo ai nonni, li ucciderebbe!”. I coniugi se lo dicono l’un l’altro, ma anche i figli gay e i loro fratelli/sorelle etero dicono questo dei loro nonni. I genitori lo hanno ripetuto spesso anche nelle riunioni dell’associazione dei genitori con figli LGBT. Ma dove viene questo stereotipo sui nonni disinformati, incapaci di capire le cose, fisicamente deboli ed emotivamente impreparati?
In base alla mia esperienza, la maggior parte dei nonni è in contatto col mondo. Guardano la TV, vanno al cinema, leggono i giornali, le riviste, dei libri. Molti di loro, anche se in pensione, conducono una vita attiva o fanno volontariato. Sono esseri umani intelligenti e sanno cosa succede nel mondo. Hanno i loro punti ciechi? Certamente, hanno pregiudizi come tutti. Ma l’ignoranza e il pregiudizio non sono una parte inevitabile del processo di invecchiamento, non sono caratteristiche dell’età avanzata. Ma, semplicemente per aver vissuto più a lungo e aver sopportato più conflitti e perdite, possono avere invece una miglior visione di ciò che è realmente importante nella vita.
Dato che la ma indagine sui genitori cattolici con figli LGBT non ha indagato i sentimenti dei nonni, in questo caso devo basarmi sulla mia esperienza. Mio padre, il nonno materno di mio figlio Jim, con l’età si è addolcito. Aveva sempre avuto una mentalità conservatrice, autoritaria con sentimenti e opinioni ben definite sulla maggior parte degli argomenti. Non avevo fretta di affrontare questo argomento con lui.
Viveva in Oregon (Stati Uniti) a migliaia di miglia di distanza e non era mai stato particolarmente interessato alla mia vita dopo il mio matrimonio. Non eravamo estranei, semplicemente non avevamo molto in comune ed eravamo troppo presi dalle nostre vite. Rimanevamo in contatto con lettere e telefonate, forse ci vedevamo ogni due anni. Mantenni informato mio padre della crescita dei miei figli e della loro uscita di casa per andare al college e dell’inizio della loro nuova vita. Raramente entravo in dettagli.
Tuttavia nell’autunno del 1992 lo stato dell’Oregon fece una proposta di referendum che, se fosse passato, avrebbe proibito alle contee di quello stato di promulgare le leggi di protezione dei diritti civili per gay e lesbiche. Questo fu il motivo per cui dissi a mio padre che suo nipote era gay. Non potevo lasciare che mio padre votasse senza sapere che il suo voto poteva, in un modo o nell’altro, colpire migliaia di uomini e donne come suo nipote. Così ai primi di ottobre del 1992 scrissi una lunga lettera a mio padre dicendogli che Jim era gay.
Passarono le settimane e non ci fu risposta, così il fine settimana precedente le elezioni gli telefonai e gli chiesi se aveva ricevuto la mia lettera e se aveva delle domande. Disse di averla ricevuta e che avrebbe chiesto direttamente a Jim per porgli eventuali domande. Dissi che andava bene e che ero sicura che Jim sarebbe stato felice di parlare con lui. Poi con voce agitata disse: “So solo una cosa. Non sono nati così”. Il suo tono di voce mandava un chiaro messaggio, che essere così era sbagliato, che non era una cosa buona. Non penso comprendesse il disprezzo insito nella sua affermazione.
Mi disprezzava forse per non essere stata una buona madre, per aver cresciuto un figlio che aveva “scelto” di essere omosessuale. Pensavo di essere preparata ad una risposta negativa, ma sentii la mia rabbia crescere e sentii uscire dalla mia bocca, a denti stretti e nel modo più calmo possibile: “Papà sei su un terreno minato”. Sentii allora la mia voce al telefono dire: “Noi amiamo Jim”. Ecco tutto quello che ricordo di quella conversazione. Non so cosa mio padre abbia poi votato. Non glielo chiesi mai. Non parlammo più del fatto che Jim era gay. Mio padre morì nel 1994.
Invece i nonni paterni di Jim sono una storia completamente diversa. Vivevano a parecchie miglia di distanza, ma era abbastanza vicini da poter visitare spesso i loro nipoti mentre crescevano. Ma la distanza rendeva più semplice non comunicare la “notizia” di Jim. All’inizio Jim non era pronto a dirglielo, ma poi col passare del tempo divenne più facile lasciar cadere la cosa.
Cosa c’era da guadagnare dicendoglielo, pensavamo. Non sarebbe stato bello. Gli avremmo solo dato un motivo in più di preoccupazione. E questa strategia funzionò abbastanza bene finché mio marito Casey e io fummo coinvolti nel Ministero Familiare per i Cattolici omosessuali della nostra diocesi. Divenne così difficile spiegargli perché eravamo così occupati col “volontariato”, senza dirgli in cosa consisteva il nostro lavoro. Alla fine mantenere il segreto divenne più difficile che dire la verità, perciò parlammo con Jim perché lo dicesse anche a loro. All’epoca immagino che Jim avesse sufficiente fiducia in noi da chiederci di fare gli onori di casa.
Prima di dirlo ai genitori di mio marito Casey, io e i miei figli discutemmo se già non lo sapessero. Sò come i genitori possono usare il rifiuto come un mezzo efficace per evitare di occuparsi di una situazione che vorrebbero far sparisse, e sospettavamo che i nonni avessero la stessa facilità nell’usare questa tecnica.
Lasciatemi illustrare il progetto di tesi di laurea di Jim, che prese la forma di una commedia da lui scritta e diretta. L’opera s’intitolava David e Jonathan, parlava di uno studente del college che faceva il coming out ai suoi genitori. Jim descrisse una famiglia immaginaria, ma noi avemmo momenti di disagio – anche comici – quando ci sedemmo in teatro e capimmo di cosa, e di chi, parlava quella commedia. Per tutto il tempo sperammo che il pubblico ritenesse tutto una finzione. I nonni di Jim si unirono a noi ad una delle rappresentazioni, noi pensammo che questo fosse un modo particolarmente doloroso per affrontare la questione e di parlare di Jim.
Veramente immaginammo di non doverglielo dire, che lo avrebbero capito dalla commedia appena l’avessero vista. Ricordo di aver parlato con nostra figlia subito dopo la rappresentazione, chiedendogli se lo avessero o meno capito. La sua risposta ironica fu: “Non penso mamma. Ho appena parlato con nonna e mi ha chiesto se l’assistente del direttore è la ragazza di Jim.” (Se solo lo avesse saputo! L’assistente del direttore, una buona amica di Jim, era invece lesbica). Alla fine perdemmo il coraggio e restammo tutti in silenzio.
Quando finalmente glielo dicemmo, non fu un grosso problema. La nonna fece poche domande, talvolta aveva delle domande provocate più da qualcosa che aveva sentito o letto sul tema. Il nonno rimase silenzioso, benché sospettassi che molte delle domande della nonna venissero da lui.
Pochi anni dopo averglielo detto tenemmo una lunga riunione di famiglia. C’erano la mamma e il papà di Casey con suo fratello, insieme ai nostri figli con i loro coniugi e gli “amici speciali” che Jim aveva portato, oltre a Ed, un suo buon amico da parecchi anni. Alla fine della settimana, mentre ci scambiavamo baci e abbracci per salutarci, fui testimone di una scena che rimarrà sempre nel mio cuore. Il nonno, in modo diretto, diede la mano a Ed e disse: “Ed ora prenditi cura di Jim.”
Se non lo avessimo detto ai genitori di mio marito Casey, non avrei questo ricordo. Jim non conoscerebbe la pienezza della conferma dell’amore e forse, cosa ancora più importante, i nonni non avrebbero avuto l’opportunità di poter amare Jim in modo così pieno.
Conclusione
“Le famiglie fortunate” – mamme e papà, fratelli e sorelle, nonni, zii e zie e cugini – non esistono nel silenzio e nel segreto. Condividono la verità di chi sono e, come i fratelli e sorelle di Jim e i loro nonni, ogni membro della famiglia compie il suo viaggio verso la comprensione.
L’amore di Dan, Linda e Andy per il loro fratello Jim, che è gay, modellerà nei loro figli un amore e una comprensione che, col tempo, cambieranno il mondo. Da parte nostra, mio marito Casey e io speriamo che quello che facciamo – non per Jim, ma grazie a Jim – aiuterà a fare la differenza. Nei nostri pensieri c’è sempre l’idea che quanto facciamo ora, renderà la vita un po’ più semplice a quel nipote che scoprirà in futuro di essere gay o lesbica. L’amore, il supporto e la comprensione di tutti i nostri figli, sono solo un altro tassello che rende la nostra una famiglia fortunata.