Non scoraggiamoci! Guardiamo ciò che non si vede (II Corinzi 4,16-18)
Sermone su II Corinzi 4,16-18 del pastore valdese Giuseppe Ficara, Chiesa Valdese di Palermo, 29 aprile 2012
Cari fratelli e sorelle, si tratta di una riflessione sul senso della vita e della morte quella che l’apostolo paolo ci propone nel brano della seconda lettera ai Corinzi.
Prende in considerazione la debolezza dei credenti, le difficoltà reali, fisiche, che riguardano forme diverse di persecuzione, di intolleranza e di discriminazione nei confronti dei credenti.
L’apostolo cerca di dare coraggio ai credenti che vivevano in quelle realtà, egli stesso è pure in difficoltà a motivo della testimonianza del Vangelo, conosce, dunque, la sofferenza ed è perfettamente consapevole del peso delle sue affermazioni.
L’apostolo prende in esame la debolezza della vita umana e la mette in contrasto con chi è la fonte della via, Dio, il quale illumina di una forte luce l’interno della nostra esistenza che, a dispetto di ogni sofferenza, dolore, debolezza, acquisisce un valore nuovo e autentico.
Dio permette di vedere in modo corretto la vita. La fede che Dio offre in dono, relativizza le difficoltà della vita, esse diventano piccole, il senso che prima era predominante, come una montagna ai nostri occhi, diventa una pietruzza, un sassolino, lungo la nostra strada, il nostro cammino.
Per l’apostolo, la fede permette di dare una corretta interpretazione agli eventi della vita che ogni giorno di accadono, permette di dare loro il giusto peso, il senso corretto.
Ma tutto ciò non accade in sé, ma paragonando la nostra realtà di ogni giorno con la realtà di Dio che irrompe nel nostro presente, una realtà che ci raggiunge nell’amore di cui ci sentiamo amati da Dio. La realtà dell’amore permette di non disperarsi, di non scoraggiarsi, di non abbattersi, ma permette di vedere una speranza che è certezza in qualcosa che non possiamo vedere.
Non possiamo vedere con gli occhi fisici, ma solo con gli occhi della fede.
Quando Paolo parla dell’uomo esteriore, sta riferendosi alla vita che ogni giorno viviamo in mezzo alla gente, una vita di alti e bassi, di sofferenze e tensioni, sconfitte e fallimenti.
L’uomo interiore invece è la vita che nasce dalla speranza di cui abbiamo parlato, una speranza che nasce dal rapporto con Dio, che trasforma ogni giorno il nostro essere, che quindi è sempre in “divenire” mai statico, fermo, ingessato; l’apostolo dice che il nostro uomo interiore è da Dio “rinnovato di giorno in giorno”, cresce ed è reso più forte, fino a non scoraggiarsi davanti alle difficoltà.
Dunque non ciò che gli occhi fisici ci permettono di vedere ogni giorno è importante, non conta ciò si vede e si vive nella realtà umana, ma ciò che non si vede se non con gli occhi della fede e dell’amore di Dio.
«Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi», diceva la volpe al piccolo Principe rivelandogli il segreto della vita, di una vita autentica, in cui il prossimo e le cose, assumono il corretto significato, riguardo agli affetti, ai legami, ai rapporti umani.
«L’essenziale è invisibile agli occhi». L’aveva già affermato l’apostolo Paolo quando nel nostro brano scrive: «Abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono son eterne».
Ciò che vediamo con gli occhi fisici ci impaurisce e ci fa spesso arretrare e scoraggiare, si tratta di una realtà fugace, precaria ed effimera, non certamente buona e degna di tutte le attenzioni.
Ma sbirciare all’interno di ciò che non si vede, significa ricevere la capacità di vedere al di là del proprio naso, al di là di un orizzonte limitato, piccolo, circoscritto. Significa vedere al di là delle apparenze per scoprire un realtà nuova in cui Dio è Re e Signore che sostiene e guida l’esistenza dei credenti.
Quando ero piccolo avevo un microscopio che mi affascinava enormemente perché trovavo sorprendente il fatto di riuscire a vedere particolari che ad occhio nudo è impossibile vedere. Quelle cose che vedevo al microscopio esistevano davvero all’interno di fiori, animali, cose, ma nessuno poteva vederle ad occhio nudo.
L’apostolo ci rivela l’esistenza di una lente attraverso la quale possiamo vedere ciò che non si vede e ci invita a farlo e a vivere in una dimensione in cui l’essenziale, ciò che conta veramente per noi è scoperto e vissuto al di là dell’esteriorità, al di là dei fenomeni.
Vedere l’essenziale, ciò che conta è andare al di là della pelle nera o bianca di chi incontro e con il/la quale sono chiamato a condividere la mia esistenza.
Vedere oltre, avere “lo sguardo intento alle cose che non si vedono” significa avere la capacità di perdonare, di non ritirarmi dentro il mio guscio per paura, ma di confrontarmi serenamente, senza timore, significa intessere rapporti, vivere il senso della riconciliazione, dell’armonia, della solidarietà con gli ultimi.
Significa vedere l’altro/a in modo diverso da come lo/a vedono tutti. «Non si vede bene che col cuore», ripeteva il piccolo Principe per non dimenticarlo, imparando una grande verità che trasforma i rapporti umani, la società in cui viviamo e l’umanità intera.
L’apostolo ce lo insegna perché sia sempre un modello di vita che genera nuova vita e una umanità liberata dal se stessa e dalla sua miopia. Amen!
II Corinzi 4,16-18
“Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno.
Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne”.