In tempi miserrimi e calamitosi come gli attuali, su gay e lesbiche sembra essere piovuta una maledizione.
L’uomo medio – borghese – in senso pasoliniano, non marxista – l’uomo medio, reazionario, gretto, violento – d’una violenza sorda e lenta, esangue, torva, e quindi assoluta, rappresentato oggi dalla classe al potere, ha trovato un nuovo trastullo su cui riversare le proprie negligenze e irresolutezze.
Nell’afasia di idee e nel bailamme di opinioni, che fluttuano disancorate in un torpore di maschere urlanti, l’ilota smarrito, da sempre abituato a guardare fuori di sé, si aggrappa ancora una volta all’ordine, al precostituito, alla crociata. Pronto a digrignare i denti, a dilaniare chi non si integra nel suo cieco orizzonte.
Ognuno si difende come può. Oggi nessuno, o molti meno, sono per fortuna disposti a offrirsi in olocausto. Del resto, è sufficiente ribattere al cieco muro con insipienti sciabordate in senso contrario? Pensiamo alla stolida e paradossalmente antiquata provocazione “artistica” bolognese (utilizzare lo sperma, derivato del sangue, come materia vile significa assumere, rovesciati, gli stessi parametri etici dei farisei), da cui hanno preso le distanze anche molti omosessuali; pensiamo ai cosiddetti, altrettanto vacui “Dieci comandamenti gay” .
Tali manifestazioni, lungi dall’incentivare una seria riflessione, producono piuttosto reazioni di rifiuto su cui prontamente specula il populismo bigotto della destra e dei nostalgici censori dell’arte degenerata.
E non potrebbe essere altrimenti, poiché si tratta di reazioni isteriche e incontrollate, quindi deboli e facilmente attaccabili. Inutile del resto nascondere che a certi estremisti, gay o clericali, l’immagine dell’omosessuale “libertino” non dispiace, perché costituisce un alibi per non mettersi in discussione, per non ragionare da adulti sui propri pregi e limiti.
Risulta quindi più adatto un linguaggio inattuale, e perciò sacro – ricorro ancora al lessico pasoliniano -, risolutivo e immutabile, per andare all’essenza delle cose.
Un linguaggio dove alla parola “gay” non corrisponde necessariamente il vocabolo “laico”, o forse laicista, come si tende a fare oggi. I gay sono laici o religiosi né più né meno di tutti gli altri esseri umani; confinarli fuori degli steccati della religione è un’operazione cara ai fondamentalisti d’ogni tipo, ma del tutto priva di consistenza, veridicità e attualità.
E’ quanto devono aver pensato i ragazzi e le ragazze del gruppo Kairos di Firenze programmando, il
28 giugno scorso, la prima veglia ecumenica per le vittime dell’omofobia. Una domanda di senso che già racchiude, in sé, una risposta. E consiste nella integrità della profferta umana, nell’aspirazione all’alto e all’assoluto, nella preghiera fattasi carne.
Gli omosessuali cristiani si presentano come uomini e donne completi, e dietro di loro c’è soltanto un cuore e un corpo, spesso ferito. Non sono, non vogliono essere sinonimi. Non incarnano, tutti indistintamente, la trasgressione, il materialismo, la frivolezza, lo sguardo terreno, come, per opposti motivi, vorrebbero il Papa e i militanti esacerbati.
La loro
iniziativa , estesasi alle maggiori città italiane – Firenze, Milano, Roma, Rimini, Napoli , Padova (Gruppo Emmanuele), e alla quale ha aderito anche l’Associazione culturale umanista Color Porpora assieme a molte altre, ha spalancato porte d’oro su un mondo minimo e sterminato, fervido e sommerso, vitale e trepido, anelante di offrire al mondo un cosmopolitismo d’etica.
E’ più d’un orgoglio, travalica il semplice emozionalismo, supera la spontaneità irrazionale. E’ lirica, o forse soltanto poetica e ancestrale, tesa com’è verso l’ineffabile. Va alla radice del problema: “Ma tu, o uomo, e tu, o Dio, cosa puoi rispondermi? E cosa ho da donare io, in verità, al mio prossimo?“.
Dell’evento, che gli organizzatori vorrebbero trasformare in appuntamento annuale, i grandi media, tranne qualche lodevole eccezione, non si sono minimamente occupati. Anch’essi infatti, alla stregua di molti politicanti (si pensi ai De Corato, alle Moratti, ai Casini, ai Berlusconi…) considerano più spendibile, e probabilmente più lucrativa,l’immagine del gay in paillettes, edonista e amorale, provocatore e irreligioso, dedito a pratiche turpi. Si è trattato, invece, di un importante momento di fratellanza e sorellanza, d’un’occasione di scambio molto proficuo, oltre che di ecumenismo.
E poiché la preghiera è dinamismo e non auto-commiserazione, c’è chi ha lodato Dio per il “talento” dell’omosessualità, che gli ha permesso di essere più concreto, più attento e altruista.
Un particolare importante: le veglie, pur se organizzate da cattolici, si sono tenute tutte in templi metodisti e valdesi. Per molti gay era importante ritrovarsi in un luogo di culto, specie se cattolico. Purtroppo non è stato possibile; e ciò dimostra la falsità di quella doppia morale per cui la gerarchia condannerebbe gli atti, ma non le persone.
Questa leggenda metropolitana, alimentata ancora una volta da mons. Bagnasco sulle pagine di “Repubblica”, dev’essere smentita una volta per tutte. Fosse davvero così, visto che in questo incontro – animato a Milano da una pastora valdese e a cui hanno partecipato varie confessioni religiose, laici, etero e omosessuali – non si è discusso sui cosiddetti valori “non negoziabili”, ma semplicemente di dignità umana, le nostre chiese accoglierebbero senza indugio questi fratelli e sorelle in preghiera.
Invece, l’ingresso resta loro precluso (non più di una settimana fa
mons. Matarrese ha tuonato dal pulpito che i gay “non possono essere considerati cristiani” e non ci risulta sia stato richiamato da Bagnasco, secondo cui “nella Chiesa non c’è omofobia”. Evidentemente non ha mai letto una mezza riga dei tanti scritti del Papa in materia). Gli organizzatori sanno che solo col paziente lavorio degli innamorati – benché respinti – e con l’aiuto di gruppi diocesani amici potranno, in futuro, cambiare le cose.
Tuttavia poiché Bagnasco, incalzato dall’intervistatore, ha risposto che, davanti a una richiesta di incontro da parte degli omosessuali credenti, la Chiesa non respingerebbe nessuno, sarebbe opportuno prenderlo in parola: così si potrà verificare sul campo se alle buone intenzioni corrisponde la volontà.
Finora non mi sembra che la gerarchia vaticana abbia mai accettato il minimo dialogo. Può darsi che ora abbia cambiato parere: mai dire mai. Bene, ci provino. E ci tengano informati.
Se intendiamo, tutti, lottare davvero contro l’omofobia, possiamo negare a questi ragazzi una preghiera, un aiuto, un pensiero? Sia il nostro parlare sì, sì; no, no. Senza inganni per nessuno.