“Non sono la costola di nessuno!”. Il mito di Eva come causa di ogni male
Dialogo di Katya Parente con Paola Cavallari
Eva vista come l’archetipo del peccato e la causa della caduta. Per millenni lo stigma del male ha segnato la donna. La messa in discussione del patriarcato e dei suoi corollari ha portato ad un nuovo approccio al racconto biblico. Un contributo in questa direzione è quello che arriva dal volume curato da Paola Cavallari “Non sono la costola di nessuno. Letture sul peccato di Eva”, uscito l’anno scorso per i tipi della Gabrielli.
Un libro variegato. Perché la necessità di una così vasta pluralità di voci?
L’esperienza dell’ecumenismo fa parte della mia storia. L’ appartenenza al femminismo appartiene invece alla mia preistoria. Tra il mondo del femminismo e il mondo dell’ecumenismo – e delle religioni in generale – non ci sono molti scambi, ci si guarda con sospetto, a volte con sufficienza, per non dire con venature di intolleranza.
Volevo – come del resto mi impegno a fare come fondatrice e presidente dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne (O.I.V.D.) – che questi mondi si conoscessero e magari si potessero parlare. La questione della parità di genere, delle costruzioni di genere, delle prescrizioni normative e dei pregiudizi in queste materie sono trasversali a tutti gli ambienti. Depatriarcalizzare è un obiettivo comune.
Il titolo del libro qualifica i capitoli come “letture”. Si tratta di saggi, in qualche modo, a sé stanti? Qual è il fil rouge che li unisce?
Sono collegati, ovviamente, il fil rouge è un invito a rileggere la figura di Eva con una prospettiva “liberata” dalle incrostazioni clericali, e soprattutto con una ermeneutica consapevole della valenza differenziale dei sessi e delle costruzioni culturali dualistiche che gravano sulle identità e corpi sessuati.
Eva è stata caricata nei secoli di maledizione e disprezzo proprio perché era una donna, così come Pandora è stata rappresentata come cifra dell’inganno e della seduzione che conducono l’uomo al peccato. È un pregiudizio sessista, nato nell’economia dei beni simbolici segnati da cultura patriarcale, perché nel testo genesiaco il pregiudizio non c’è! Ho raccolto sei «contro-narrazioni» su Genesi 2-3, a partire dalla consapevolezza che su quei capitoli si è edificato un «monolite» che ha generato la colpevolizzazione delle donne e il silenziamento delle loro soggettività e desideri .
A che tipo di lettore è rivolta l’opera?
A un lettore e una lettrice curiosi ma prima di tutto aperti, disponibili a mettere in discussione dogmi e tradizionalismi asfittici, e anche distorcenti. A persone interessate a decodificare i modelli di una cultura sessista, modelli che condizionano anche oggi, anche se appaiono appannati. A persone che si impegnano per processi trasformativi in vista di una “vita piena”.
Il titolo è una provocazione. Che portata può avere la rilettura della Scrittura alla luce della teoria queer e del femminismo?
A mio avviso, la portata è rivoluzionaria, ma del resto Gesù non era certo uno che si piegava ai tradizionalismi, e che non contestava le interpretazioni della Torah opprimenti per le persone. Il Regno era la vita piena, non la vita asservita a schemi trasmessi dagli indottrinamenti normalizzanti delle gerarchie.
In particolare, per le donne credenti (ma anche le agnostiche) può essere una occasione per non sottostare più a logiche colpevolizzanti ed escludenti. In questo libro è stato risignificato il mito genesiaco che prefigura il “peccato originale” e le letture stereotipate del mito di Eva; esse contenevano la rappresentazione di una donna come origine di ogni male, una donna che trascina l’uomo nella trasgressione; donna che sarebbe derivata da lui, maschio, che sarebbe quindi ontologicamente “minore” già nel disegno divino. Questo libro afferma che si può e si deve “smontare” quelle interpretazioni tradizionalistiche, per sottrarre la figura dell’archetipo femminile a questa condanna millenaria.
La minorità della donna a livello sociopolitico è ormai storia passata – o almeno dovrebbe esserlo, per lo meno in occidente. Quando sarà così anche in ambito ecclesiastico?
Scopri> La versione di Katya. Il mondo LGBT+ oltre le etichette