“Non sono una checca, sono gay”. Quando il machismo irrompe nella comunità omosessuale
Testimonianza di Julián Salamanca pubblicata sul sito Sentiido (Colombia) il 18 gennaio 2016, liberamente tradotto da Federica Ottaviano, parte prima
Molti degli omosessuali che si vantano di essere “virili”, o del fatto che il loro orientamento sessuale “non si nota”, disprezzano i gay che giudicano come “palesemente gay” o effeminati. Li chiamano “froci” o “checche” e si riferiscono a loro al femminile, usando un tono di superiorità.
Sembrerebbero essere infastiditi dall’idea che questi ultimi abbiamo la faccia tosta di essere se stessi, di rendere evidente il fatto di non sentire attrazione per le persone del sesso opposto e di mescolare maschile e femminile nei loro gusti, nell’abbigliamento e nel comportamento.
Molti degli omosessuali che si definiscono come “molto virili”, oltre a ringraziare il cielo, la palestra e la loro dieta, ringraziano per aver avuta la fortuna di essere tanto “machi”, tanto che nei social e nelle app di incontri si affrettano a dichiararsi “mascolini, attivi, seri e per niente checche”.
Percepiscono gli uomini effeminati come una minaccia alla loro categoria, come se costituissero un tentativo per ridicolizzarli o disprezzare un bene tanto prezioso come la mascolinità. Hanno evidentemente imparato molto bene i precetti della cultura in cui sono cresciuti: tutto ciò che è femminile vale meno.
Julián Salamanca, un ragazzo ventiduenne di Bogotà, è l’esempio perfetto di ciò su cui si scaglia loro indignazione, e lui lo sa: “I gay virili mi vedono come un reietto o un disertore della mascolinità, a me invece piace molto sbandierare la mia omosessualità. Del resto, chi l’ha detto che non posso essere serio in questo?”.
Studente di comunicazione sociale e scienze politiche all’università di Bogotà, Julián se identifica come “frocio”, termine che definisce come un individuo omosessuale effeminato.
Una delle sue scommesse è proprio rivendicare l’uso di parole come “finocchio”, “frocio”, “butch”: “Quando mi dicono così, io rispondo con un generoso ‘grazie’. Il mio obiettivo è quello di appropriarci di questi termini, di sentirci a nostro agio quando ci etichettano in questo modo e di non ricorrere alla violenza”.
Battendosi contro gli omosessuali che si vantano di non sembrare tali, Julián costruisce la sua immagine in base a ciò che più gli piace.
Nelle app di incontri si descrive “decisamente passivo” e si mostra per ciò che è, in modo che tutti possano capire fin dall’inizio chi è: “Per molti dei machisti essere passivo significa assumere un comportamento tipicamente femminile, e quindi il problema di fondo è che questi pensano che il ruolo femminile sia relegato ad una categoria subalterna. Orgogliosi, sbandierano il fatto di essere attivi e dominanti, come se ciò li rendesse in qualche modo meno gay. A loro importa solo il fisico, e sono convinti che le ‘checche’ siano solo coloro che scendono in strada a protestare e a battersi per l’uguaglianza”.
Julián o Miss Finocchio
A Julián, fervido credente delle relazioni aperte, non dà fastidio né quando si rivolgono a lui maschile, né quando lo fanno al femminile: “Per un certo periodo mi sono fatto chiamare Miss Finocchio [Mary Conazo in spagnolo, n.d.t.], mentre ora non possiedo nessun nome particolare”.
Delle lettere che formano la sigla LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans), si identifica con la “T” perché vi attribuisce il significato di “transito”, non come una categoria fissa in cui una persona è qualcosa di specifico per tutta la vita, ma al contrario, un qualcosa che permette una trasformazione costante: “Il mio discorso deriva da ciò che sento dire ogni giorno”.
Alcune donne trans gli dicono che gli “effeminati” come lui prima o poi finiscono per diventare come una di loro. Julián non condivide questa idea, al contrario, vuole legittimare tutti gli stadi intermedi: “Sembra che non esistano o che non possano esistere. Invece esiste chi vuole, come me, mescolare il maschile e il femminile”; “Ancora mi vengono a chiedere perché non mi metto due protesi al seno, o perché non divento finalmente una donna”.
Lui non crede che “per essere una donna nel vero senso della parola” debba ricorrere alla chirurgia: “Potrei esserlo anche senza tette e con la barba, del resto chi è che decide chi è uomo e chi è donna, o ciò che è maschile e ciò che è femminile?”. Per questo motivo, una delle cause per cui si batte è proprio “la rivoluzione delle checche”. Molto spesso, per esempio, indossa i tacchi o vestiti che lasciano mostrare le gambe, ma non lo fa perché pensa che questo sia un comportamento che ci si aspetta da una donna, ma semplicemente perché gli piace.
Per un certo periodo ha portato i capelli molto lunghi, e per questo molte persone lo classificavano come “donna trans”. E non potrebbe essere diversamente, dato che in molte culture portare i capelli lunghi è sinonimo di femminilità. In quel periodo, una volta andò in un bar di un quartiere di Bogotà frequentato da omosessuali: non lo lasciarono entrare, perché “non era un posto per trans”. “Ah, e quindi sarei una trans? Grazie per avermi informato” fu la sua risposta.
Quando decise di tagliarsi i capelli, alcune donne trans lo guardavano intimorite: “Ero uscito dagli stereotipi legati al mondo femminile, da cui pure molte donne scappano. Molte rincorrono quell’ideale di donna che la società ci ha venduto: seni voluttuosi, lunga chioma e vitino di vespa. Negli ambienti trans si fa addirittura la gara a chi tra loro è più donna”.
Meno spiegazioni
Al contrario, c’è stato pure chi gli ha detto che il suo gesto di tagliarsi i capelli era una provocazione. Ma Julián non pensava affatto a lanciare una provocazione: “Ho tagliato i capelli perché volevo farlo. È noioso pensare che in ogni azione debba nascondersi un concetto filosofico. Se un giorno volessi vestirmi come un pagliaccio lo farò e basta, senza dare nessuna spiegazione”.
A volte, dice, dentro la “T” di LGBT qualcuno cerca filosofia, politica e sovversione, mentre a volte si tratta solamente di guardarsi allo specchio e decidere come a uno piace vedersi. Ciononostante, Julián è preoccupato dal falso mito che vuole che alle donne trans non si debba notare la loro transizione di genere, per evitare che subiscano violenza: “Più sembrano donne, meno probabilità hanno di subire aggressioni, e allo stesso modo, più effeminati si mostrano gli omosessuali, più violenza subiscono”.
In molti bar, per esempio, alle donne trans non viene permesso l’ingresso, a meno che non sia possibile notare che lo sono: “La spiegazione che viene loro data è che hanno avuto precedenti penali nel locale, quando invece è la prima volta che entrano”. Perciò, uno degli obbiettivi di Julián è fare in modo che certe situazioni non si verifichino più, e che non venga mai più chiusa la porta in faccia ad una trans.
Ma Julián sa benissimo che la discriminazione esiste anche tra gli stessi membri della comunità LGBT: “Buona parte dei ‘machisti gay’ criticano le donne trans perché vanno alle manifestazioni LGBT facendo vedere le tette, perché per loro le cosa più importante di una persona è la sua conformazione fisica. Le donne tran semplicemente escono in strada mostrando al mondo come sono, e sono gli altri a vederci qualcosa di negativo”.
In certe occasioni la gente giudica come “trasgressive” o “rivoluzionarie” le trans del mondo accademico, o quelle che hanno raggiunto un certo successo, ma non dicono lo stesso delle trans del quartiere di Santa Fé (a Bogotà): “Queste ultime non possono che essere sex-workers che hanno fatto la transizione di genere, gente che non conta nulla. A ciò si aggiungono gli abusi della polizia, gli sguardi diffidenti e il rifiuto della società. Mi dà fastidio il fatto che una donna trans che ha studiato all’università, o che ha un buon lavoro, debba valere più delle altre”.
Julián è convinto (ed è una delle sue lotte) che una delle scommesse della Colombia è quella di approvare una legge per l‘identità di genere, nonostante sappia benissimo che ci vuole ancora molto lavoro perché la si raggiunga: “Per prima cosa, bisognerebbe domandarsi: quante donne trans sanno in cosa consiste questa iniziativa?”.
Più iniziative trans
Il diritto alla salute è un altro dei vuoti legislativi che bisogna affrontare: “Il problema inizia dal portiere del centro di salute [Empresa Promodora de Salud – EPS] o dell’ospedale locale [Institución Prestadora de Salud – IPS], quando si rivolge con ‘signore’ verso una donna trans o con ‘signora’ ad un uomo trans. Non riconoscere l’identità di qualcuno è un gesto molto violento”.
Bisogna anche considerare che in alcune città colombiane le associazioni LGBT hanno un forte orientamento assistenziale: “Propongono corsi per parrucchiera o indicono concorsi di bellezza perché le donne trans si sentano realizzate, ma non c’è dietro alcun processo concreto. È soltanto un modo per farle contente, e tutto finisce lì”.
Julián ringrazia l’esistenza del decreto trans approvato dal governo colombiano, che permette di cambiare il sesso nei documenti di identità. Ma nonostante ciò, comprende bene chi dice che questo decreto obbliga la scelta tra due opzioni: o uomo o donna, o M o F, senza dare spazio ad altre possibilità. E che succede a chi non si identifica in nessuna di queste due alternative, e preferisce essere riconosciut* come una donna o un uomo trans? “La cosa migliore sarebbe eliminare totalmente la casella che indica il sesso nei documenti di identità.”
Secondo Julián, il fatto di essere nato con un pene lo ha condannato per gran parte della sua vita a dover usare un abbigliamento maschile e ad assumere determinati comportamenti. Eppure, già in giovane età, si sentiva “qualcosa in più” rispetto a sua madre e alle sue due sorelle.
“Sono sempre stato effeminato, ma non sono così perché sono cresciuto in un ambiente femminile, è un falso mito questo. Sono così perché sono fatto così.”
Nell’adolescenza indossava vestiti maschili, ma adattati al suo gusto. Poi ha cominciato a provare abiti femminili, finché intorno ai quindici anni ha deciso di indossare esattamente quello che voleva, senza più far caso al sesso indicato sui vestiti. Se gli piaceva una camicetta di sua sorella, ne comprava una identica: “Mi è sempre piaciuto sentirmi a mio agio, non come uomo o come donna, ma come persona, e ho voluto trasformarmi in quello che per la società vuol dire essere donna. Voglio essere me stesso, e vestirmi esattamente come più mi piace”.
Testo originale: “No soy marica, soy mariconcísimo”