Non sparate su papa Francesco
Riflessioni di Valerio Merlo*
Trovo veramente eccessivo lo scandalo che è stato montato a proposito dell’uso, in un contesto colloquiale privato, del termine “frociaggine” da parte di papa Francesco, forse non pienamente consapevole dei suoi molteplici usi e risvolti nella lingua italiana.
Si tratta certamente di una parola volgare (che sarebbe stato meglio evitare), ma non si può fingere di ignorare che essa fa parte del gergo largamente impiegato, con intenti auto-ironici e non dispregiativi, in seno alla comunità degli omosessuali.
Il termine “frociaggine” non è sinonimo di omosessualità, ma si riferisce ad una particolare modalità di manifestare la condizione omosessuale. Non riconoscendosi in questi comportamenti, molti omosessuali non esiterebbero a qualificarli, senza malevolenza e nel rispetto delle scelte altrui, come “frociaggine”.
A questa situazione allude il regista D’Amelio nel film sul caso Braibanti: al giovane studente che si stupisce del comportamento troppo eccentrico ed esuberante dei partecipanti ad una festa tra omosessuali, il professore replica: “Io non sono come loro, ma posso essere come loro”.
Si può aggiungere che è dato di osservare un po’ di “frociaggine” anche nelle pose ed atteggiamenti di persone eterosessuali, del tutto estranee al mondo gay.
Certo, da parte di persone ignoranti che identificano l’omosessualità con la “frociaggine”, questo termine viene spesso e volentieri utilizzato a scopi omofobi, ma non si può attribuire al papa una simile intenzione.
Premesso tutto questo, non mi sembra che gli omosessuali credenti debbano sentirsi particolarmente offesi dalle parole del papa e aggiungersi al coro di coloro che, non sempre in buona fede, protestano ed invocano scuse per una improprietà di linguaggio che viene scambiata per un attacco umiliante al mondo gay.
Vero è che la presunta “gaffe” del papa rivela la necessità di sviluppare una riflessione sulla terminologia più corretta che, soprattutto in ambiente cattolico ed ecclesiale, dovrebbe essere utilizzata nell’affrontare la problematica omosessuale.
Dobbiamo dare proprio per scontato e ineluttabile che l’omosessuale sia identificato con il gay? Ricordo che Zeffirelli, a conclusione della sua autobiografia, si ribellava all’impiego del termine gay e scriveva (cito a memoria): “Chiamatemi come vi pare (ed elencava le decine di epiteti dispregiativi con cui i dialetti italiani definiscono l’omosessuale), ma per favore non chiamatemi gay”.
Forse è troppo tardi per rinnegare il termine gay, ma è proprio inevitabile l’adozione dell’acronimo LGBT, ecc., ecc., cui ormai ricorrono anche sacerdoti che si occupano, per l’appunto, della “pastorale LGBT”?
Non è questa la sede per elencare le incongruenze che, dal punto di vista di un omosessuale credente, quella sigla presenta, ma una riflessione nel merito va fatta, come anche sui termini più appropriati con cui indicare i membri di una coppia omosessuale unita civilmente.
Dobbiamo stare attenti a non fare la figura di quella signora che aveva sposato un filatelico e che, orgogliosa del fatto che suo marito si dedicava alla raccolta di francobolli, raccontava a tutte le sue amiche che era la moglie di un sifilitico.
Riguardo al tema dell’accoglienza dei giovani omosessuali in seminario, mi limito ad osservare che non raramente la condizione omosessuale si presenta associata ad elevate aspirazioni morali e spirituali e che ciò spiega forse la presenza di omosessuali tra i seminaristi e i sacerdoti. Ma è ingenuo pensare che qualcuno entri in seminario allo scopo di poter praticare più agevolmente l’omosessualità, come qualcuno insinua.
Come lamentava lo scrittore omosessuale cattolico Julien Green, il problema si pone perché la Chiesa non è ancora disposta a considerare il peccatore omosessuale (sia esso seminarista, prete o laico) alla stessa stregua del peccatore eterosessuale, ma vede in lui un reietto da tenere lontano.
Ma non avremmo avuto la cappella Sistina se quei papi avessero escluso e cacciato Michelangelo in quanto notoriamente omosessuale.
*Valerio Merlo, nato nel 1947, è laureato in sociologia, vive a Roma. Tra le pubblicazioni più recenti: In cerca di salvezza. Wittgenstein e la religione (Lindau), Santi, eroi e brava gente.Sociologia della devianza virtuosa (Castelvecchi), La sociologia integrale di Pitirim A. Sorokin (Armando) e il volume Julien Green, scrittore cattolico nel secolo gay Omosessualità e vita cristiana nel “Journal Intégral” (1919-1950).