Normali o sovversivi? Un confronto tra bibbia e filosofia
Riflessioni di Yvan Bourquin* tratte dal blog Carrefour de Chretiens inclusifs (Francia), 10 maggio 2013, liberamente tradotte da Marco Galvagno
– Cos’è la “normalità”? Chi è incaricato di fissarla? Quali sono le maggioranze e le minoranze. Il vocabolario tecnico e critico del filosofo André Lalande fa osservare molto giustamente il carattere “molto equivoco e che si presta molto alla confusione” della parola NORMALE.
“Ora designa un fatto constatabile scientificamente, ora un giudizio di apprezzamento sul suo conto”. Lo scivolamento da un senso all’altro è facilitato dalla tradizione realista, secondo la quale le caratteristiche generali osservabili sono il segno di un’essenza o di un’Idea. In altre parole, ciò che è normale in una determinata specie, appartiene all’Idea di quella specie.
Sul piano sociologico è facile osservare che spetta a chi detiene il potere fissare la “normalità”: in maniera molto generale,si può affermare senza tema di sbagliare che è sempre appannaggio della maggioranza.
Esempio concreto: l’uso della parola “setta” per designare un movimento religioso minoritario (all’inizio, il cristianesimo stesso è una setta – i “nazareni”, i “cristiani”; poi la religione o confessione dominante decreta che tutte le altre sono settarie, cosa che le getta nell’anormalità, e di conseguenza nell’esclusione).
– La nozione di “norma” rimanda, in un modo o nell’altro, alla questione della “natura umana”. Riflettiamo nella linea pascaliana su “costume e seconda natura”. Riprendiamo, per centrare meglio il nostro discorso, la questione della “natura umana”. Questo concetto è stato l’oggetto di una critica pungente da parte di Blaise Pascal. “Il costume è una seconda natura che distrugge la prima”.
Pascal vuole impedire all’idea di natura la possibilità di avere una N maiuscola. “Ho un gran timore che questa natura sia essa stessa un primo costume, come il costume è una seconda natura.” Sappiamo quale impatto questo sviluppo sulla natura umana ha avuto in seguito nella corrente esistenzialista, per la quale, precisamente, l’esistenza precede l’essenza.
– Sul piano religioso, se ci atteniamo strettamente a norme fisse, bisogna applicarle integralmente. Ora, se seguissimo quelle del Levitico o del Deuteronomio giungeremmo a fare cose assurde…
L’esempio classico è quello del trattamento riservato al figlio ribelle: “Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della città: Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore. Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà.” (Deuteronomio 21:18-21)
Oggi nessuna persona sensata si sognerebbe di applicare il trattamento descritto ai propri figli. Nemmeno quelli che fanno una lettura fondamentalista della Bibbia si arrischierebbero a farlo! Allora perché batterci per fare rispettare prescrizioni di cui dobbiamo riconoscere il carattere transitorio?
– Per un approccio diverso, fondato sull’immagine di Dio che veicoliamo. Qual è l’immagine di Dio che portiamo in noi e che trasmettiamo con il nostro atteggiamento e i nostri discorsi? Questo punto mi sembra decisivo, molto più di tutte le dottrine, di tutti gli articoli di fede o di tutti i precetti della morale.
Per esprimerlo in modo più sfumato, il credo e l’etica acquisiscono importanza solo grazie al volto di Dio che ne emerge. Attraverso la mia fede per come si traduce nella mia vita concreta, quale immagine di Dio veicolo? Un’immagine che dà la voglia di conoscerlo? O un’immagine che non è la sua, un’immagine che lo disonora e lo tradisce?
A proposito della parola di Gesù “Se non vi convertite, perirete tutti nella stessa maniera”, Daniel Marguerat precisa “Come interpretare quel “nella stessa maniera”? Gesù minaccia forse i non convertiti di una morte altrettanto tragica?
Un’altra lettura è possibile a partire dal senso etimologico di “metanoeô” (convertirsi), che implica un riorientamento, un cambiamento di ottica su Dio e sul mondo. Gesù afferma solennemente: se voi non cambiate ottica su Dio, se non cessate di vederlo come il carnefice dei peccatori, la vostra vita sarà oppressa da questo Dio-carnefice e morirete nel terrore di quel Dio; ma convertirsi significa scoprire il volto del Dio amico dei peccatori.”
– In che senso questa posizione resta sovversiva. È importante rilevare fino a che punto Gesù stesso appare come sovversivo.
1. Nei confronti della donna samaritana, Gesù sconvolge tutte le pratiche sociali, tutti i pregiudizi (si rivolge a una donna, che come se non bastasse è straniera e poco frequentabile agli occhi dei benpensanti).
2. Nelle sue controversie giustifica le proprie pratiche devianti: è venuto ad occuparsi dei malati e non dei sani, non si mette il vino nuovo negli otri vecchi, il sabato è stato fatto per l’uomo e non il contrario, niente di quello che penetra dall’esterno può rendere l’uomo impuro.
Del resto, ci dimentichiamo troppo spesso che la parola tradotta come “Inizio della Buona Novella” all’inizio del Vangelo di Marco significa anche “principio”, “norma”… Avremo dunque qui una norma che assomiglia così poco a una norma e che non è che l’inizio della Buona Novella, alla quale spetta a noi scrivere il seguito! Non è forse questa una sfida molto… sovversiva?
* Yvan Bourquin è autore di “Marc, une théologie de la fragilité : Obscure clarté d’une narrationBrossura”,Editore Labor et Fides 2005, 466 pagine
Testo originale: Table ronde du 10 mai 2013