Nuove famiglie. Mamma più mamma
Articolo di Vanna Assumma tratto da D, la Repubblica delle Donne del 26 novembre 2007
Si può crescere felici e sereni con due genitori dello stesso sesso? Le ricerche dicono di sì. Molti obietteranno che i bimbi non si fanno molte domande, diventando grandi invece si scontrano con "gli altri" e cioè con una realtà sociale che fa fatica ad accettare le variazioni dalla norma, le cosiddette "diversità". Ma, paradossalmente, più ci si avvicina al diverso più ci si accorge che è uguale. Le storie di "diversa" normalità che abbiamo raccolto lo confermano. Leggiamole insieme.
Una bambina racconta al nuovo amico: "Io ho due mamme e tre cani". E il piccolo, di 4 anni, esclama allibito: "Tre cani?". Sembra una battuta, eppure la dice lunga su come i bambini vivono oggi le loro famiglie: con assoluta normalità, anche se composte da genitori dello stesso sesso.
Molti obietteranno che i bimbi in età prescolare non si fanno molte domande, ed è vero, perché hanno una facilità di accettazione e una propensione alla scoperta senza alcun pregiudizio: tutto va bene purché sia positivo e armonioso.
Diventando grandi invece ci si scontra con "gli altri" e cioè con una realtà sociale che fa fatica ad accettare le variazioni dalla norma, le cosiddette "diversità". Ma, paradossalmente, più ci si avvicina al diverso più ci si accorge che è uguale.
Entriamo in casa di Giuseppina e Raphaelle, due donne che si amano. Giuseppina dà un bacio a Lise Marie, di 4 anni. Si coccola la sua bambina e questa, contenta, si allontana e si mette a canticchiare, gira su se stessa un po' di volte, e poi si butta nelle braccia di Raphaelle.
È allegra, solare, assorbe e vive quotidianamente l'amore che unisce i suoi genitori. Ancora non sa di quello che si chiede la gente: "Ma la piccola non fa confusione? Come le chiama? Mamma e co-mamma? Mamma-1 e mamma-2?". Verrebbe da rispondere: perché, i bimbi non hanno normalmente due nonne e non sono perfettamente in grado di distinguerle?
"Nostra figlia", racconta Giuseppina, "è un vero miracolo. L'amiamo tantissimo, l'abbiamo desiderata sopra ogni cosa. È stata una gravidanza "preziosa", anche perché non è stato facile concepirla. E adesso le diamo la solidità di una famiglia che l'ha cercata, e mai l'avrebbe voluta diversa da com'è". Giuseppina è una donna agguerrita, presidente dell'associazione Famiglie Arcobaleno che vuole dare visibilità e dignità ai nuclei omogenitoriali.
"L'importante", continua, "per far crescere serenamente un figlio in una famiglia di sole donne è che i genitori abbiano accettato la propria omosessualità, cioè che non vivano una sorta di omofobia interiorizzata. Gli omosessuali sono sempre stati oggetto di luoghi comuni: si parla di loro come di persone solo dedite all'edonismo, senza alcun senso di responsabilità. Ed è fuorviante perché in realtà facciamo una vita assolutamente normale".
Parlando con Giuseppina e Raphaelle, così come con altre coppie, ci si rende conto che non hanno voluto un bambino per "puro egoismo", come a volte si sente dire, ma che anzi si sono poste il problema del "bene dei figli", si sono chieste come possa crescere un individuo senza la figura paterna, se sia o meno necessaria, e in che termini.
Conferma Virginia, che vive da sette anni con Martina: hanno un bimbo di 15 mesi, Luca, e un altro in arrivo: "I nostri figli non hanno un padre, ma la nostra famiglia non parte con l'idea di una figura mancante, bensì con la pienezza di due adulti che si amano, di due importanti persone di riferimento, complementari tra loro anche se sono entrambe figure femminili".
Virginia e Martina sono andate in Danimarca a fare l'inseminazione artificiale e attraverso la riserva di seme sono riuscite ad avere ognuna un bambino dallo stesso donatore. Di fatto sono fratelli, anche se per la legge italiana non hanno alcun legame. Cosa diranno ai figli quando inevitabilmente chiederanno come sono nati?
"Gli diremo che li abbiamo desiderati tanto. Che in Danimarca un signore ci ha dato un seme da cui loro sono cresciuti.
Quello per noi è davvero solo un seme, non è certo un papà. Pensiamo che sia corretta questa precisazione, proprio nel rispetto per i padri: se considerassimo il donatore un papà, sviliremmo il senso e il valore della figura paterna che non è solo generatrice di vita ma è soprattutto colui che ama il bambino, lo segue, l'ha desiderato e se ne assume le responsabilità.
Per il resto, cerchiamo più contatti possibili con gli uomini. Abbiamo molti amici etero con figli, con i quali ci vediamo di frequente. Il nonno inoltre è un importante punto di riferimento per il nostro bimbo e lo portiamo spesso da lui. Quando crescerà, cercheremo di trovare figure maschili autorevoli, per esempio l'allenatore sportivo o l'insegnante".
Quanto allo sviluppo psico-affettivo dei figli di famiglie omogenitoriali, recenti ricerche hanno evidenziano che la possibilità che questi bambini diventino anch'essi omosessuali è bassissima, o di poco superiore alla probabilità che hanno persone cresciute in una famiglia tradizionale (vedi box nella pagina seguente).
"Il fatto è", osservano Claudia e Francesca, mamme di tre bambini, "che l'identificazione è molto complessa ed è un mix di più fattori. Per esempio Filippo, di 7 anni, è molto maschile, gli piacciono i Power Rangers e le spade, mentre Nicola, di 5 anni, è più "tranquillo", più timido, ama dar da mangiare al bambolotto della sorella".
Ogni bambino richiede quindi un'attenzione specifica, mirata alle sue personali esigenze. Un presupposto di partenza per tutti i genitori, sia che facciano parte di realtà tradizionali o di nuovi tipi di famiglie, che oggi non sono solo quelle omosessuali, ma anche i nuclei allargati e ricostituiti, i single con prole, le unioni di fatto.
Per quanto riguarda le famiglie omosex, il percorso per arrivare alla genitorialità non è sempre uguale: in alcuni casi i figli sono stati desiderati all'interno della coppia, in altri provengono da un precedente rapporto.
Il che significa che hanno un padre. È il caso di Elena i cui bimbi, quando si è separata dal marito, avevano 8 e 12 anni. "Mi sono innamorata di Irene ed è stato difficile parlare con i bambini della mia scelta. Non l'ho fatto subito perché avevo paura di non essere accettata. A un certo punto, però, mi sono rivelata perché mi sembrava di prenderli in giro. Ed è stato bello.
I bambini hanno capito che alla base del mio rapporto con Irene c'è un forte sentimento e per loro è questo che conta. Il grande mi ha detto: "L'avevo intuito, ma sono felice che tu me ne abbia parlato. Ora mi spiego la rabbia del papà e capisco la tua scelta di andartene". Devo dire che i bambini hanno una capacità incredibile di accettazione.
L'anno scorso mi ha chiamato un'emittente televisiva per parlare della mia situazione familiare. Io ho allora chiesto ai miei figli se a loro potesse dare fastidio vedere la mamma esporsi pubblicamente con la sua compagna. "Vai mamma, è la tua vita, ti guarderemo anche noi", è stata la loro risposta. E mentre eravamo in trasmissione ci è arrivato un sms che diceva: "Mami e Irene siete fantastiche. Noi vi vogliamo tanto bene".
Certo, a volte il piccolo tornava a casa lamentandosi che a scuola hanno parlato male di me: non è facile affrontare il mondo esterno, ma loro ci riescono perché hanno accettato la situazione. Ora il piccolo ha 15 anni e per il suo compleanno ha voluto fare la festa con i compagni di classe nel bar che gestiamo io e Irene, che di sera è frequentato da sole donne. Gli ho detto che forse i suoi amici non avrebbero apprezzato e invece lui ha insistito. Alla fine si sono trovati tutti bene, addirittura i suoi compagni sono tornati al bar più volte, chiacchierando con noi in tutta tranquillità".
Meno intolleranza del previsto, dunque: "Temevamo di essere emarginate, essendo la nostra una famiglia atipica", osservano Claudia e Francesca, "e invece, il più delle volte, riceviamo solidarietà da parte delle persone.
Addirittura alcune insegnanti dei nostri figli sono andate al convegno che è stato organizzato recentemente da Famiglie Arcobaleno, per capire meglio la realtà dei nuclei omosessuali. Per le maestre quello che conta è che i bambini stiano bene.
Loro ci considerano genitori attenti, che seguono i figli. Sanno che se ci sono problemi gliene parliamo, diamo sempre la nostra disponibilità per fare dei lavoretti a scuola, quando viene richiesto: c'è davvero una forte stima reciproca".
È chiaro insomma che la tendenza sessuale non ha niente a che fare con il ruolo genitoriale: ciò che conta per la crescita di un bambino è la qualità di vita e delle relazioni all'interno della famiglia.