Mondi nuovi. Il mio viaggio di transizione
Dialogo di Katya Parente con lo scrittore Zen Bertagna
Ho già avuto l’occasione, e il piacere, di intervistare per un progetto l’ospite di oggi: Zen Bretagna, ora responsabile del gruppo trans di Arcigay Varese. Parliamo con lui della sua storia.
Tra non molto raggiungerai un traguardo importante per la tua vita. Ci racconti qual è e, per sommi capi, la storia che c’è dietro?
Semplificando, posso dire di essere stato un bambino fin da bambina. I primi ricordi risalgono al mio utilizzo di un nome diverso da quello assegnatomi alla nascita. Tutto è stato estremamente naturale e spontaneo. Le difficoltà e i problemi sono arrivati dopo.
A quell’epoca non avevo le capacità, e non c’erano nemmeno le possibilità di poter comunicare tutto questo. Gli insegnanti non erano preparati (nonostante alle elementari scrivessi i temi parlando di me al maschile), e in generale era poca sia la conoscenza che la volontà di ascolto.
La pubertà è stata devastante, perché i ruoli, le forme del mio corpo e ciò che il mondo si aspettava da me non trovavano nessuna corrispondenza nel mio sentire. Mi chiusi parecchio, e smisi di mangiare. Era un modo per scomparire. Divenne fondamentale un percorso in una comunità terapeutica, perché quello fu il primo passo per svestirmi di tutto ciò che non mi apparteneva.
Ci tengo a dire che la psicoterapia è stata ed è per me fondamentale, ma credo fortemente nella possibilità di autodeterminasi senza l’obbligo di specialisti. Deve essere sempre una libera scelta.
Da due anni ho iniziato la terapia ormonale e finalmente h ottenuto la rettifica anagrafica.
La transizione è un viaggio, possono esserci mete, ma aderire al proprio sentire ed essere autentici penso sia fondamentale per tutt*, indipendentemente dalla propria identità di genere o orientamento. È una possibilità di vivere nella maniera più autentica possibile.
Ti definisci “transgender” non binario e “transfemminista”. Ci puoi spiegare meglio cosa significa?
La mia visione del genere non è mai stata binaria. Posso utilizzare il termine “ragazzo transgender”, ma per me è un maschile completamente svuotato dalla percezione binaria così come viene concepita. È un modo di vivermi fuori da quelle categorie.
Nello stesso tempo, non penso sia possibile separare il principio di autodeterminazione dalla lotta femminista, e anzi, transfemminista. La libera gestione del proprio corpo, del proprio vissuto, è un viaggio individuale, ma collettivo e interregionale al tempo stesso, e penso che questo sia molto transfemminista
Cos’è, secondo te, l’attivismo?
Parto dal presupposto che il personale è politico. Fare attivismo è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, un modo di stare nel mondo. Fare attivismo per me significa portare il proprio vissuto, il proprio corpo, le proprie conoscenze, ma anche le proprie domande e sperimentazioni, nella società.
Significa creare alleanze intersezionali e fare cultura per cercare di rendere il mondo un luogo più accogliente per tutt*. Dare voce e parola, concretizzare esistenze e proteggere ogni preziosa fragilità. Credo che fare attivismo sia un atto di costruzione e resistenza per rendere prevista ogni esistenza.
Sei uno scrittore. Ci parli un po’ delle tue produzioni letterarie?
Scrivo sin da piccolino. La scrittura è sempre stata un modo per comunicare al mondo, per sentirmene parte, ma anche per crearmi il mio. Amo le parole e la loro capacità di saper toccare e disegnare ogni cosa. Scrivere è anche un termometro per misurare le cose che mi accadono fuori e dentro.
Ho un racconto pubblicato in un antologia della ex casa editrice Il Dito e la Luna, ho vinto un concorso con una sceneggiatura per la rivista di cinema Ciak.
Ho scritto articoli e racconti, ma in prevalenza penso di scrivere “immagini”, perché questo penso sia il nome giusto della mia espressione letteraria. Attualmente sto unendo queste “immagini” e spero di pubblicarle in un libro.
La stampa locale ha dato parecchio rilievo alla tua vicenda. Anche se sei già molto conosciuto nella comunità queer varesina, come ti senti ad essere ancora di più “pubblico”? Ci sono state reazioni poco piacevoli?
Abito in un paesino piccolo, dove si conoscono tutti. Non ho mai nascosto fin da bambino me, il mio sentire e le mie fragilità. Ho sempre pensato fosse un atto di liberazione personale, ma anche politico, e quindi collettivo.
Sono contento se il mio vissuto può essere una piccola bussola in questo mondo. Devo dire di non aver ricevuto reazioni particolarmente spiacevoli, e anzi, di aver trovato il sostegno anche di chi non pensavo. Credo nelle rivoluzioni gentili.
Cosa consiglieresti a chi si trova in una situazione simile alla tua?
Di credere. Sembra una cosa banale, ma non lo è. Di credere anche in quello che non si vede. Di tenersi aperti il più possibile al mondo, perché può regalare incontri e condivisioni fondamentali. Di essere gentili con se stessi, e che si è validi e previsti sempre, anche quando non si sa dare o darsi un nome. Di provare e sperimentare, e di non aspettarsi istruzioni o mete, ma di viversi il viaggio. Ho vissuto momenti in cui il vivere pareva impossibile, e invece sono qui.
Una delle mia frasi preferite è quella che dice “Se vivi in un mondo in cui non riesci ad adattarti, è perché sei nat* per crearne uno nuovo”. È una frase che mi ha sempre dato coraggio. Ogni esistenza è preziosa.
Grazie a Zen per averci aperto il suo cuore. Credo che persone come lui siano un valore aggiunto per tutti noi: ci dà speranza e ci fa sentire, nel profondo, che non tutto è perduto.