Oltre i luoghi comuni: ‘Evviva la neve. Vite di trans e transgender’
Intervista di Silvia Lanzi del 14 febbraio 2011
Un pomeriggio, un anno e mezzo fa, accendo la televisione su Rai 3. Sta andando in onda “Racconti di vita”. L’argomento è interessante: si parla di genitori che scoprono di avere un figlio omosessuale.
Tra gli ospiti mi colpisce una persona particolarmente gentile e pacata, che affronta il dibattito in studio con intelligenza e sensibilità, competenza e forza. Si tratta di Delia Vaccarello, scrittrice e giornalista de L’Unità.
Mi documento e scopro che Delia è da sempre in prima linea per quanto riguarda il mondo lesbico, gay, bisex e trans (LGBT), è quella che si può definire un’attivista – anche se guardandola, sentendola parlare, mi rendo conto che è lontana anni luce dai soliti cliché. Ora, dopo tanto tempo ho la fortuna di intervistarla.
Infatti lo scorso anno, in autunno, infatti è uscito il suo ultimo libro ‘Evviva la neve, vite di trans e transgender ‘(Mondadori, Collana strade blu, 2010), e i volontari del progetto Gionata mi hanno chiesto di farle qualche domanda: sono tante quelle che mi frullano nella mente e vorrei rivolgerle, ma so che l’articolo, per forza di cose, deve essere contenuto.
Ecco cosa ci siamo dette.
Anzitutto Delia, qual è la genesi del libro?
Il libro nasce per indignazione. Mi indigno quando una realtà viene deformata volutamente danneggiando la vita di molti. Nasce per il desiderio di far comprendere concetti e valori alti che sono alle radici della nostra società, ma che spesso restano nascosti.
La persona umana è un mistero, solo accostandoci con rispetto e desiderio di condividere le sue esperienze uniche possiamo comprendere le situazioni offese dai pregiudizi. La transessualità è stata oggetto di un pronunciamento della Consulta. La legge che regola il cambiamento di sesso, la 164 dell’82, è stata considerata costituzionale.
La sentenza, firmata da Leopoldo Elia, politico cattolico e giurista di altissima levatura, condivide una “concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando … il o i fattori dominanti”.
Il sesso per la Corte garante della Costituzione italiana non è fatto di soli genitali, non è “materia muta”.
Ci rendiamo conto? Il sesso è equilibrio, comunicazione, complessità. Riflettiamo sulla immagine che i media hanno veicolato del sesso e delle persone trans, soprattutto in occasione del “caso” Marrazzo: immagini di persone che esercitano la prostituzione, ricercate per una compresenza di attributi maschili e femminili, per i corpi fatti di tette e pene. C’è un abisso.
Un abisso tra la realtà delle persone trans, il dettato delle nostre leggi, e la deformazione che i media operano sposando i pregiudizi anziché, come sarebbe loro compito, dissolverli.
Questo è per me motivo di indignazione. Ed è pungolo: occorre documentare e mostrare l’autenticità di ciò di cui si parla.
Hai avuto difficoltà nel trovare persone disposte a raccontarsi?
E’ stato necessario tessere una rete di rapporti e costruire la fiducia. Molte persone hanno donato attraverso il libro il racconto di aspetti molto intimi della propria esistenza.
Lo hanno fatto nella speranza che in futuro accada meno, o non accada più, quello che è toccato a loro. Subire rifiuti, incomprensioni, giudizi. Subirli “a prescindere”, solo perché si è trans, è la quintessenza della mortificazione.
Dunque, le persone hanno fatto dono di sé sperando di porre un freno ai pregiudizi. In alcuni casi non hanno avuto il coraggio di comparire con il loro nome e cognome.
E poi, perché l’esigenza di raccontare i trans?
Le mie narrazioni ruotano intorno a un concetto ignorato e fondamentale: il concetto della identità di genere. Ho cercato di fare chiarezza.
Tale concetto è alla base della esperienza trans. Non è naturale essere trans, ma è culturale, perché il concetto di identità è culturale. Ciascuno di noi interpreta il genere in maniera propria. Non ci sono due donne uguali, né due uomini fotocopia.
L’identità di genere segnala il senso di appartenenza al genere di un individuo. Dunque la transessualità si comprende a partire da concetti che illuminano la vita di ciascuno di noi.
Se invece delle persone trans (meglio dire persone e non “i trans”) noi facciamo una categoria a parte, una sorta di apartheid sociale, creiamo nuovi razzismi.
Se sappiamo che cos’è il colore della pelle, possiamo comprendere a fondo che tra bianchi e neri ci può essere solo uguaglianza di diritti e non differenza.
Allo stesso modo dobbiamo comprendere cosa è l’identità di genere per non fare delle persone trans oggetti del peccato o fenomeni da baraccone.
Nel libro c’è una lunga chiacchierata con Giovanni Bachelet, che mi sembra abbastanza duro contro le idee della Chiesa rispetto alla transessualità. Puoi spiegare, brevemente, qual è il pensiero delle gerarchie vaticane circa il concetto d’identità di genere?
Per le gerarchie cattoliche il concetto di identità di genere equivale al sesso biologico. Nei pronunciamenti sui media, finora, il sesso alla nascita è ciò che appare come elemento fondante del destino personale e sociale di un individuo.
Parlano di “ancoraggio innanzitutto biologico della differenziazione sessuale”. Un sesso che rimanda a precisi ruoli e alla sessualità vissuta come elemento finalizzato solo alla procreazione. Un sesso naturale che diventa cardine della famiglia.
Questo irrigidimento pone le gerarchie fuori dalla possibilità di comprendere la realtà autentica delle persone transessuali, ma in fondo anche quella della modernità.
Dice in “Evviva la neve” Giovanni Bachelet: “I capi della chiesa ingaggiano una lotta culturale, convinti che alcune cose siano sbagliate alla radice e che quindi vada fatta una battaglia di principio anche sulle parole.
Si pretende, in virtù della rivelazione ebraica e cristiana, di conoscere la natura meglio di tutti gli altri. Si ritiene di poter derivare dalle leggi della Natura la vera e immutabile essenza dell’uomo.
E di poter quindi dettare unilateralmente non solo verità di fede, ma anche leggi civili.
Questo procedere, senza una definitiva e completa accettazione del metodo democratico, rischia però di riportarci all’assolutismo”.
Diventa molto più fertile, umana, compassionevole la posizione di alcuni parroci che parlano di “mistero” dinanzi a ciò che non è possibile comprendere fino in fondo. E’ molto più gioioso parlare di persone, con la loro ricchezza, e non di “sesso biologico”.
Nonostante esempi in senso contrario – quelli che citi nel tuo libro e quello più “medializzato” di Vladimir Luxuria – perché trans fa sempre rima con prostituzione?
Oggi si fa molta fatica a comprendere le ragioni del sentire. Della persona trans in linea con i pregiudizi della società, non dissolti dall’irrigidimento della Chiesa, si vede soltanto il corpo.
Per l’opinione diffusa la persona trans è corpo e basta.
E dunque nell’era del trionfo dei beni materiali trans diventa trastullo con il corpo, frontiera della trasgressione.
Raccontando le vite delle persone trans, recandomi in sala operatoria ad assistere ad un intervento per comprendere fino in fondo, ho capito che la radice della transessualità è il sentire. E’ il sentirsi femmina o maschio che spinge molte persone a un cammino per il raggiungimento della felicità.
Il sentire è più forte del corpo, ma non è separato dal corpo, infatti le persone trans vogliono “adeguare” il corpo al genere sentito come proprio. Ma il motore di tutto è il sentire.
Perché è così difficile per la gente pensare che una persona non si sveglia semplicemente una mattina e dice “non so che fare oggi. Cambio sesso!”, ma che questa decisione giunge alla fine di un percorso difficile e spesso doloroso?
Ritenere che un diritto sia un “capriccio”, che una sofferenza profonda e le strategie per attenuarla siano una “passeggiata” sono gli strumenti tipici che adotta chi vuole sminuire il percorso di vita di un individuo.
Sofferenza e dolore scompaiono se sono il corredo di un capriccio, perché di un capriccio si può fare a meno, e dunque è inutile soffrire per un capriccio. Meglio rinunciare, no? I percorsi difficili svaniscono se sono solo tappe di un viaggio intrapreso per motivi fatui, leggeri, inconsistenti.
Ci puoi accennare qualcosa a proposito?
Si tratta di un profondo disagio avvertito dalla più tenera età, di una persistente identificazione nel sesso opposto, di un grave danno nelle relazioni e nel rapporto con se stessi. Spesso si fa una grande fatica a comprendere che è in gioco l’identità di genere.
Le persone che hanno vissuto questo disagio hanno vissuto lunghi anni in una sorta di isolamento “invisibile”. Vivevano con gli altri, nascondendo una parte fondamentale. Una volta compreso e accettato che si tratta di transessualità occorre affrontarla. La presa di coscienza che è liberatoria non sempre trova pronti amici, partner, parenti.
Per adeguare il corpo al genere desiderato occorre poi consultare dei medici o dei centri specializzati che danno il via alla terapia ormonale. Nei casi in cui c’è un profondo rifiuto del corpo alla nascita, si inizia una transizione che può condurre all’intervento chirurgico.
Molte persone nate donna ma che si sentono maschio mi hanno detto: “ho avuto il coraggio di andare al mare soltanto dopo l’asportazione del seno.
Vedermi con il seno era insopportabile”. Ciascuno di noi che ama il proprio corpo può comprendere quanto deve essere forte il disagio perché si viva con liberazione l’asportazione di organi sani ma rifiutati.
Perché tanti pregiudizi e tanta ostilità?
Perché è più facile cedere alla paura, a un modo di vedere che cerca solo rassicurazioni. Ciò che non conosciamo suscita in noi profondi timori, ci chiede di rivedere la nostra vita. Il contatto con gli altri, quello vero, ci impone dei cambiamenti.
La nostra società spesso preferisce rifiutare o far finta di accettare, in una parola: non comprendere. L’altro che è vivo quanto me, ma non è come me, mi impone un percorso di crescita. Non sempre siamo disposti a crescere, preferendo piuttosto rapporti in cui si celebra l’omologazione.
Naturalmente finché tutto questo è possibile. Quando impattiamo con la differenza dobbiamo cambiare: essere trans, omosessuali, immigrati, poveri, ammalati vuol dire essere costretti a ripensare la gerarchia dei valori. Si tratta dell’eterno dissidio tra potere e libertà: per essere liberi occorre essere informati, sensibili, forti perché capaci di comprendere.
Per essere “sudditi” e non cittadini basta solo intorpidirsi, chiudersi, rispecchiarsi in schiere di individui somiglianti. Oggi informazione, sensibilità, forza di comprensione non sono valori condivisi. Proprio per questo occorre impegnarsi. Per conquistare le espressioni nobili del vivere di cui come civiltà possiamo essere capaci.
Credi che il tuo libro riuscirà a cambiare qualcosa?
Ricevo molte lettere che mi testimoniano il bisogno che c’è di leggere pagine come quelle di Evviva la neve. Sono lettere di ringraziamento.
Chi ha presentato Evviva la neve – e parlo di docenti universitari, giornalisti, avvocati, scrittori, medici, politici -, ha espresso ringraziamenti perché il libro “apre finestre nella mente”.
E’ un libro ponte tra reportage e romanzo, utilizza l’empatia degli scrittori e la documentazione dei saggisti.
Un libro così non c’era, hanno detto, definendolo un esempio di profonda, documentata e umana comprensione della realtà. Si può riassumere con l’immagine di un gesto: è una mano tesa che esige rispetto.
Ringrazio anch’io Delia per aver pubblicato quest’ultimo libro, e per avermi dato la possibilità di intervistarla.
Mi piace chiudere con questo aforisma: “il sesso è quello che hai tra le gambe, il genere è quello che hai tra le orecchie”. Assolutamente da meditare.
Delia Vaccarello, Evviva la neve. Vite di trans e transgender, Mondadori, 2010, pp. 180
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