Oltre il Corano. Essere gay nel mondo islamico
Dialogo di Luca del Progetto Gionata con Pier Cesare Notaro del progetto MOI* (Musulmani Omosesessuali in Italia)
Il rapporto tra la propria sessualità ed il proprio credo è un tema che tocca profondamente ogni credente nel corso della sua esistenza, ciò è ancor più sentito dalle persone omosessuali credenti che desiderino trovare la strada possibile per vivere serenamente con il proprio Dio e con sè stessi. In ogni cultura e contesto la questione è molto differente.Grazie alle parole di Pier, membro del progetto MOI* (Musulmani Omosesessuali in Italia), abbiamo cercato di avere una piccola istantanea di quella che la realtà omosessuale nel mondo islamico, realtà che si è rivelata essere assai più vasta ed eterogenea rispetto a quanto avremmo potuto supporre.
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Innanzitutto: che cosa stiamo dicendo quando parliamo di musulmani e di Islam?
Se tenessimo conto che i musulmani sono circa un miliardo e 600 milioni, non faremmo fatica a ricordarci che non è corretto parlare di islam – e per il cristianesimo vale lo stesso discorso – come di un oggetto monolitico, dal momento che è una religione con profonde differenze interne che accomuna persone diverse con culture diverse in nazioni diverse. Per esempio, tra il modo di vivere e di pensare di un marocchino, di una indonesiana, di un tedesco di origini turche, di una cilena convertita all’islam e di un giordano troveremo più differenze che somiglianze, e questo vale anche per il rapporto con la sessualità in generale e con l’omosessualità in particolare.
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L’idea che va per la maggiore è quella di stati che condannano l’omosessualità anche per legge…
Ed è un’idea corretta, purtroppo: tra gli stati con una maggioranza musulmana, sono più quelli che considerano i rapporti omosessuali un reato di quelli che invece li ritengono legali. E lo stesso si può dire per i rappresentanti religiosi per così dire “istituzionali”, in tutte le principali correnti. Le situazioni nazionali però sono però molto diverse e le leggi a volte ci raccontano solo una parte, spesso minima, del rapporto tra tolleranza e repressione.
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Cosa intendi dire?
In alcuni stati l’omosessualità è ancora considerata un reato, ma è sostanzialmente tollerata: è il caso, per esempio, del Libano, dove esistono locali di incontro e associazioni molto combattive e visibili, e dove anche la magistratura ormai disconosce la punibilità penale dei rapporti omosessuali.
Al contrario l’Iraq, che pure non ha leggi specifiche, è considerato il paese più pericoloso al mondo per gli omosessuali. Neppure l’Egitto ha norme contro l’omosessualità, ma il regime lancia maxi-retate contro gay e transessuali ogni volta che c’è qualche scandalo nell’aria, che le tensioni sociali aumentano, che la repressione politica si intensifica, che – per dirla in poche parole – serve un capro espiatorio per distrarre la popolazione.
Le leggi, poi, non ci raccontano come in molti paesi (non solo musulmani) la linea di confine tra tolleranza e repressione sia in realtà soprattutto una linea di classe: per esempio, in Arabia Saudita molti poveri migranti del sud-est asiatico vengono condannati a morte con accuse inattendibili di sodomia, mentre i luoghi di incontro per i ricchi omosessuali sauditi non subiscono alcuna repressione, nonostante siano piuttosto noti.
Per complicare il quadro, teniamo anche conto che anche la tolleranza ha spesso i suoi limiti e in molti casi si riduce alla regola del “si fa, ma non si dice”: in molti contesti, infatti, i rapporti omosessuali possono anche essere tollerati, ma magari sono accettati solo prima del matrimonio o comunque non devono diventare pubblici.
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Ma un musulmano che non si sposa crea o ha problemi a livello di integrazione sociale?
Anche qui dipende dai contesti. In generale, la spinta al matrimonio è molto forte: se ti sposi, hai figli e hai cura della tua famiglia, si può anche chiudere un occhio su certi comportamenti sessuali poco “ortodossi”. Ma questo è un atteggiamento che ha ben poco a che fare con la religione: funzionava così anche in Italia fino a tempi piuttosto recenti, e per tanti funziona ancora così.
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Ci sono caratteristiche che accomunano le persone omosessuali musulmane?
Se la statistica non ci inganna, ci dovrebbero essere almeno 80-160 milioni di persone al tempo stesso omosessuali e di fede islamica, sparse in tutto il mondo: è molto difficile parlare di caratteristiche comuni.
E’ persino difficile parlare di caratteristiche comuni legate alla stessa identità sessuale. In alcuni paesi il modello concettuale dell’orientamento sessuale è utilizzato per definire la propria identità, proprio come in Italia, ma altrove la sessualità è interpretata secondo schemi diversi.
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Cosa intendi dire con schemi diversi?
Partiamo dal riconoscere che anche per noi il concetto di orientamento sessuale non è sempre chiarissimo. Per esempio, chi è una persona eterosessuale? Chi ha rapporti sessuali con persone del sesso opposto? O chi desidera averli? O chi prova un’attrazione sentimentale per persone del sesso opposto? O chi interpreta questa attrazione come una parte fondante della propria identità? Lo stesso discorso si può ovviamente fare per omosessuali e bisessuali.
Secondo alcuni studiosi, prima dell’era moderna la sessualità non era interpretata come una serie di identità (quello che ti fa dire, per esempio: “Io sono omosessuale”), ma come una serie di comportamenti (il che ti faceva dire, semplicemente: “Io faccio sesso con altri uomini”, o “Io ho un ruolo sessuale attivo/penetrativo o passivo/ricettivo”). Altri studiosi, invece, riconoscono anche in epoca pre-moderna la presenza di identità sessuali (a questo proposito consiglio la lettura de “Le trasgressioni della carne”, a cura di Umberto Grassi e Giuseppe Marcocci), ma comunque identità sessuali diverse da quelle che conosciamo noi oggi.
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Quali sono gli schemi interpretativi nel mondo musulmano?
In realtà nelle diverse realtà culturali e nazionali esistono modi diversi di interpretare la sessualità e le sue varianti. In genere, si accetta che il desiderio sessuale possa essere rivolto verso chiunque, al di là del suo sesso, mentre la condanna si limita alla traduzione del desiderio in un’azione: teniamo conto che nell’islam il desiderio non costituisce peccato.
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Parlando di persone immigrate in Italia, una maggiore forma di tutela da parte del nostro paese potrebbe aiutare i musulmani omosessuali a uscire da quello che può essere un problema nascosto e in alcuni casi anche sofferto?
Certamente l’integrazione delle persone migranti in generale, alimentando i contatti tra le culture e gli stili di vita ed evitando forme di emarginazione sociale o di chiusura nelle proprie comunità etniche di provenienza, avrebbe conseguenze molto positive per le persone LGBT appartenenti a tutte le minoranze religiose ed etniche. Purtroppo all’interno della stessa comunità LGBT spesso è presente un atteggiamento di diffidenza, paura, pregiudizio, oltre che di rifiuto frettoloso del sentimento religioso.
E’ invece molto importante ricordare una buona notizia che non tutti conoscono: per quanto riguarda la concessione dell’asilo alle persone perseguitate per orientamento sessuale e identità di genere, l’Italia ha una politica migliore di molti altri paesi europei, anche grazie all’ottimo lavoro degli sportelli che aiutano i richiedenti asilo (qui tutti gli indirizzi: ilgrandecolibri.com/migranti).
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* Il progetto MOI è nato nel 2011 per rompere l’invisibilità e il silenzio ostile che circondano le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali (LGBTQI) di fede islamica, per smontare i pregiudizi omofobici e islamofobici in cui siamo immersi, MOI, ossia “Musulmani Omosessuali in Italia”, è il primo progetto italiano di media-attivismo, cultura, ricerca ed informazione rivolto tanto alle persone LGBTQ* di religione, cultura o famiglia musulmana, nate o immigrate in Italia, quanto a chiunque creda nel rispetto per ogni essere umano, indipendentemente dall’orientamento sessuale e religioso.