Oltre il corpo. La multiforme realtà transgender
Dialogo di Katya Parente con lo psicologo e gruppoanalista Luciano Di Gregorio
Le persone transgender sono sempre state il fanalino di coda della comunità queer, forse perché numericamente sono inferiori rispetto agli altri. Ma, ed è solo una sensazione mia, credo che le persone T siano le più marginali di un gruppo già di per sé marginale. A fare sentire ulteriormente la loro voce ci ha pensato Luciano Di Gregorio con il volume “Oltre il corpo. La condizione transgender e transessuale nella società contemporanea”, edito nel 2019 da Franco Angeli. L’autore è psicologo e gruppoanalista, svolge attività di psicoterapia e di formazione (principalmente in Toscana) e ci ha dedicato qualche minuto del suo tempo rispondendo alle nostre domande. Iniziamo con la prima.
Perché alcune persone rifiutato il loro sesso biologico?
Perché lo vivono come non corrispondente al loro sentire interiore, allo loro identità psicologica di genere, che può essere differente da quella biologica. Quello che prevale, ad un certo punto dello sviluppo psicofisico di una ragazzo o una ragazza, ma anche sempre più spesso in bambini e bambine, è il sesso psicologico, assieme al desiderio di assumere le caratteristiche sessuali corrispondenti a ciò che si sente di essere interiormente.
Il transessualismo è spesso (stato) presentato come un’aberrazione. A che punto è il discorso scientifico su un fenomeno un tempo etichettato come malattia mentale?
Il DSM V, dal 2013 in poi, ha eliminato il disturbo dell’identità di genere, GID, che prima compariva tra i disturbi dell’identità, e lo ha derubricato definendolo disforia di genere, che in sostanza significa non corrispondenza tra genere biologico e genere psicologico, ma la tendenza in altri Paesi europei, penso ad esempio al Belgio, all’Olanda o alla Danimarca, ma in parte anche qui da noi, è quella di collocare il problema della disforia di genere tra i problemi inerenti la salute dell’individuo, per togliere ogni forma di stigmatizzazione e di potenziale ostracismo nei confronti dei trans*, cercando però, al tempo stesso, di garantire le varie forme di assistenza di cui hanno bisogno i soggetti in crisi di identità di genere.
Facendole rientrare nelle categorie del disagio psico-sociale, si può permettere a tutti coloro che ne hanno bisogno di poter usufruire delle prestazioni che sono offerte dal Servizio Sanitario Pubblico, come ad esempio essere seguiti dai Centri per il cambiamento dell’identità di genere, senza etichettarli in alcun modo.
La persona transgender è un individuo che non si trova bene nel proprio corpo (disforia). Allora come mai, spesso, ci sono percorsi di transizione molto differenti, che non comportano una completa trasformazione radicale dei caratteri sessuali primari e secondari?
All’interno del concetto ombrello “Transgender” rientrano varie tipologie di disagio riguardante il corpo, le proprie caratteristiche sessuali e i propri organi genitali; il rifiuto del proprio corpo sessuato può essere vissuto cioè in molti modi, e non sempre è un rifiuto radicale del sesso biologico, per cui quando poi il soggetto decide di avviare un percorso di transizione di genere si possono presentare soluzioni differenti, e percorsi molto variegati di transizione di genere.
Ciascuno si muove come meglio crede; c’è chi vuole cambiare solo in parte la sua sessualità e adottare delle caratteristiche esteriori del sesso prescelto, come può essere eliminare i peli per un ragazzo che si sente donna, o ridurre il più possibile il seno per una ragazza che vuole essere uomo; in tal senso, magari, avviano delle cure ormonali per ottenere questo tipo di trasformazioni corporee, ma lasciano i genitali come sono, cioè non arrivano magari mai all’intervento chirurgico per cambiare le caratteristiche sessuali genitali; c’è chi sceglie anche di restare in un’ambiguità sessuale, in cui le caratteristiche maschili e femminili coesistono, altri scelgono di esser agender, cioè rifiutano qualunque definizione sessuale di sé. È per questo motivo che si definiscono anche ragazze/i arcobaleno.
Cosa pensa dei bambini ancora in pieno sviluppo fisico-psichico che presentano disagio per il proprio corpo? Sono già abbastanza maturi per capire che quanto provano è accostabile alla disforia di genere?
La disforia di genere infantile, che si sviluppa cioè in età precoce, di solito a partire dai 5/6 anni, può essere soggetta a sviluppi molto differenti, può scomparire in età più adulta oppure persistere e portare a cambiamenti di caratteri sessuali, o anche a orientamenti sessuali omosessuali senza l’aggiunta della disforia, per cui si tende ad intervenire con l’aiuto dei genitori cercando di rimandare il più possibile le decisioni riguardanti i cambiamenti del genere; questi stati psicologici di disagio infantile possono mutare molto con l’avanzare dell’età, e risultare anche vissuti temporanei. Solo quando ci si accorge che la disforia persiste anche nel corso della pubertà e nella prima adolescenza si può parlare di non corrispondenza di genere (Gender Identity Disorder), e quindi sostenere il giovane nel suo progetto di cambiamento.
Nel libro porta testimonianze di vite vissute. Cos’è che, pur nelle differenti vicende, accomuna le persone trans*?
Il desiderio di stare bene con se stessi, di voler trovare la propria autenticità. Per raggiungere questo obiettivo molti giovani e adulti sono disposti a fare sacrifici enormi, oltre che rischiare di confrontarsi con l’esclusione sociale e la violenza transfobica.
C’è differenza tra “transgender” e “transessuale”, o si tratta solamente di una preferenza linguistica?
Il termine transgender è, come dicevo prima, un termine ombrello, sotto il quale possono confluire diverse tipologie di trans*, ma fa comunque riferimento alle persone che vivono un disagio con il proprio corpo biologico, e che cercano dei rimedi a questo disagio; quando si parla di transessuale si dovrebbe intendere il soggetto che, partendo dalla propria condizione transgender, cioè il rifiuto del corpo biologico, ha già avviato un vero e proprio percorso di transizione di genere, che può raggiungere stadi di transizione differenti, che variano molto da soggetto a soggetto. Il transessualismo si inquadra in un’etica molto femminile, dolce, un’etica della possibilità: chi si mette in cammino arriva dove è possibile per lui/lei, senza dover per forza arrivare a soluzioni obbligate, definitive, forti, maschili appunto!
Queste poche parole ci hanno dato modo di sbirciare oltre ad un termine che nasconde una realtà solo a prima vista granitica, o quantomeno univoca. Un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, che il mondo è meravigliosamente complesso, e che, una volta intravista tale complessità, è impossibile tornare indietro.