Oltre l’orientamento sessuale insieme contro l’omofobia
Intervista di Silvia Lanzi al teologo Christian Albini, 16 maggio 2013
Questo è il mese dedicato alle veglie contro l’omofobia. Un po’ dappertutto, da Bolzano a Catania, ci sono preghiere e fiaccolate a sostegno delle vittime. Ogni anno decine di gay, lesbiche e transessuali vengono letteralmente martirizzati da chi, benpensante, crede con supponenza di essere il solo ad essere nel giusto e che tali “devianti” debbano essere neutralizzati.
La veglia allora diventa un grido di sofferenza, ma anche di speranza.
Un modo per raccontare la nostra presenza; qualcosa non tanto di autoreferenziale, ma un evento volto anche e soprattutto a sensibilizzare gli “altri”, gli eterosessuali, su questo scottante tema. L’intervista che segue è quella che mi ha concesso il teologo cremasco Christian Albini, che omosessuale non è.
Come mai tu, sposato con tre figli, ti occupi così tanto di tematiche omosessuali? Quale è il tuo cammino di vita e di fede, personale e comunitario?
Per me è stato determinante il constatare di persona il disagio e la sofferenza di chi si sente non compreso e non accettato in famiglia, nella società, nella comunità cristiana. Il mio cammino di vita è semplicemente quello di una persona che sperimenta le gioie e i dolori della nostra condizione umana.
Viviamo dentro una contraddizione: la nostra volontà di felicità e le sofferenze con cui dobbiamo misurarci. Quando queste sofferenze sono inflitte dagli altri, è un male che raddoppia, che si moltiplica.
Il mio cammino di fede è quello molto normale di una comunità parrocchiale che però ha sempre cercato di innestarsi nel solco del Concilio Vaticano II. Mi è stata insegnata una fede che non si nutre di risposte preconfezionate, ma di ascolto della Parola di Dio in cui l’uomo Gesù racconta con la sua vita, morte e risurrezione la vicinanza del Padre a tutti i nostri dolori. Gesù non ha mai inflitto sofferenze o pronunciato condanne, ma ha sempre praticato un’umanità ospitale verso tutti quelli che incontrava, facendo scoprire loro la benedizione di Dio sulla propria vita.
La nostra vita, la nostra persona, hanno valore. Dio dice bene di noi. Di tutti noi. Questo vuol dire porsi dalla parte delle vittime e scegliere la via del camminare insieme. Quando Gesù si è acceso di collera, lo ha fatto sempre nei confronti delle persone religiose per il loro cuore indurito, a cominciare dagli stessi apostoli.
Considero la riflessione un modo per cercare di far comprendere oggi questa vicinanza ospitale del Signore nei confronti delle persone che non la avvertono o si sentono rifiutate. La teologia per me non è un fatto libresco, ma di accompagnamento nella vita e nella fede.
Come hai scoperto le veglie contro l’omofobia? Vi hai mai partecipato? Se sì, con quali sentimenti e speranze?
Sono stato invitato a una di queste veglie a Cremona, nel 2009. La preghiera è fondamentale. Pregare è entrare in uno spazio di incontro con Dio che è sempre incontro con gli altri. Per me vale quanto ha detto papa Francesco la scorsa settimana, in un’omelia:
“La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi”.
Ma come “possiamo riconoscere le piaghe di Gesù in cielo?” – si chiede il Papa – “Dov’è la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione? C’è un altro esodo da noi stessi verso le piaghe dei nostri fratelli: dei nostri fratelli e elle nostre sorelle bisognosi”: “Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù.
Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”.
Secondo te quale messaggio importante lanciano le veglie a tutti i credenti delle nostre chiese?
Il messaggio delle veglie è quello di scoprire delle persone omosessuali non come “casi etici” da giudicare, ma innanzitutto come persone portatrici di un desiderio di felicità e di una ricerca di fede, persone a cui sentirsi uniti nella comunione e nella fraternità/sororità. E’ questo l’unico punto di partenza di un discorso e di un’esperienza cristiana da cui tutto il resto discende.
Hanno favorito un cambiamento nelle persone che hanno condiviso con te questo momento? Se sì, quale?
Non mi sento in grado di fare valutazioni. Vorrei solo ribadire quanto la preghiera è fondamentale. Fa parte della conversione che è un cammino di tutta la vita, una ricerca senza fine, di inizio in nuovo inizio. Che cosa cerchiamo? Vogliamo credere all’amore e imparare ad amare.
Questa è la vita cristiana. Questa è anche, alla radice, la vita umana. Questo significa imparare a riconoscere le nostre zone d’ombra, le nostre infedeltà, i nostri limiti, nella fiducia che il Signore ci ama come siamo, ci perdona e ci sostiene nel crescere. Non è facile. Nessuno può dirsi arrivato. E’ da questa coscienza che può nascere nelle persone e nelle chiese un atteggiamento diverso nei confronti delle omosessualità.
Sembra che “preghiera”, “conversione” e “felicità” – nel loro significato più profondo – siano le parole chiave di questa riflessione e ciò che dovrebbe caratterizzare tutti i credenti, direi più ampiamente, tutti gli uomini e le donne di buona volontà – etero o omo che siano.