Omofobia, veglie per le vittime ovunque ma non a Genova
Articolo di Luca Kocci* pubblicato su Il manifesto del 17 maggio 2015
In questi giorni, e soprattutto questa sera – giornata internazionale contro l’omofobia –, in decine di città italiane ed europee si svolgono veglie per le vittime della violenza dell’omo-transfobia promosse da gruppi di omosessuali credenti, parrocchie, comunità cattoliche, chiese valdesi, metodiste e battiste. Ma a Genova no. La curia diocesana, guidata dal card. Bagnasco, arcivescovo della città e presidente della Dei, all’ultimo momento ha negato il permesso a don Fernando Priveranno, parroco della Sacra famiglia, di ospitare la veglia in programma per il 20 maggio. La motivazione addotta è tutta politica: le «imminenti elezioni regionali» in Liguria il prossimo 31 maggio.
Un pretesto – le elezioni si svolgono in sette regioni, e nessuno ha pensato di proibire le veglie – che rivela la volontà del cardinale, alfiere della crociata contro la cosiddetta “teoria del gender” («pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un transumano», ha detto Bagnasco al Consiglio permanente della Dei di marzo), di vietare agli omosessuali l’ingresso in una parrocchia. «Per la prima volta dal 2009 non sarà possibile svolgere la veglia in una chiesa cattolica», spiega Laura Ridolfi, referente del gruppo Bethel (cristiani lgbt della Liguria), ospitato per anni da don Andrea Gallo a San Benedetto al Porto. «Con l’avvento di papa Francesco mai avrei pensato di dover fare i conti con un no. E invece il no è arrivato» (la veglia si terrà comunque, il 26 maggio, presso il centro civico “Remigio Zena”, uno spazio comunale).
A parte Genova, nelle parrocchie e nelle chiese di oltre 25 città italiane si sono svolte e si svolgeranno veglie ed iniziative per le vittime di omofobia: nei giorni scorsi a Grosseto, Parma, Palermo (nella chiesa del Gesù, con una fiaccolata fino a piazza Pretoria dove è stata consegnata al sindaco Orlando una lettera per chiedere iniziative di contrasto all’omofobia), Bologna, Trieste, Pavia; stasera a Catania, Napoli, Torino, Venezia, Pescara, Pistoia, Pinerolo, Roma (a Sant’Andrea al Quirinale, chiesa dei gesuiti), e in mattinata culti contro l’omofobia nelle chiese evangeliche a Firenze, Milano, Padova e Rimini; la prossima settimana, mercoledì, a Firenze (veglia ecumenica nella chiesa battista di Ognissanti e fiaccolata per la città), il 28 a Milano, nella centralissima chiesa cattolica di San Francesco di Paola. E in Europa: Siviglia (nel centro Arrupe dei gesuiti, dopo che l’anno scorso la veglia fu vietata dal vescovo), Amsterdam, Cracovia (la città dove fu arcivescovo Wojtyla, prima di essere eletto papa), Barcellona, Malta.
Un’iniziativa, quella delle veglie per le vittime dell’omofobia, che è uscita dalle “catacombe” degli inizi, anche se questo non basta per dire che l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le persone omosessuali sia cambiato in profondità. C’è stata la famosa affermazione di papa Francesco («Chi sono io per giudicare un gay?») che ha consentito a molti preti, parrocchie e comunità di uscire allo scoperto, come spiega Innocenzo Pontillo, di Gionata, portale su fede e omosessualità: «Mentre prima ad organizzarle erano solo gruppi di credenti omosessuali che difficilmente trovavano ospitalità nelle strutture cattoliche, adesso ci sono preti, religiosi e religiose, parrocchie, comunità, gruppi scout che partecipano e promuovono le veglie, con il consenso dei propri vescovi».
Ma le resistenze sono ancora molte, sia in alto che in basso: non è cambiata la dottrina (gli atti omosessuali sono considerati «gravi depravazioni», «intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale»), il Sinodo dei vescovi finora non ha fatto alcun passo in avanti (si vedrà nell’assemblea conclusiva di ottobre), l’ambasciatore francese presso la Santa sede (omosessuale dichiarato) non ha ricevuto il placet dal Vaticano, anche se la situazione dovrebbe sbloccarsi a breve. «Quella di Francesco per ora è una rivoluzione solo semantica, importante ma non ancora sufficiente», spiega Andrea Rubera, presidente del gruppo romano di credenti omosessuali Nuova proposta.
Ambivalenze del pontificato di Francesco, che ha modificato il clima ma non ha prodotto cambiamenti strutturali, e continua a camminare sul filo dell’equilibrismo di una pastorale più aperta e inclusiva e di una dottrina immutata.
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* Articolo più ampio, nel finale, rispetto alla versione pubblicata sul giornale cartaceo del Manifesto, tratta dal blog del giornalista Luca Kocci.