Cercando di essere fedeli alla Scrittura
Testimonianza di Fabrizio Oppo (Cagliari) del 23 settembre 2007
La comunità (Battista) di Cagliari, negli anni Ottanta, affrontando il tema dell’omosessualità, si è posta, giustamente, il tema della fedeltà alla Scrittura e della radicalità della testimonianza evangelica. Questa passione di fede, presente in tutte e due le parti che poi si divisero, fu ciò che rese il dibattito acceso e, a volte, cruento.
La differenza tra le posizioni non separava un attaccamento “forte”, da una parte, e un attaccamento “debole”, dall’ altra, alla Bibbia. L’autenticità della fedeltà alla Parola non poteva essere messa in discussione.
Coloro che si pronunciarono per l’accettazione e il battesimo di un omosessuale, non tentarono di adattare la Bibbia alle situazioni sociali o alle richieste d’emancipazione del movimento gay. La riflessione che fecero potrebbe oggi essere riassunta e riformulata come segue:
1. La sessualità, la fecondità, l’amore, il piacere, sono aspetti così profondi, e la loro esperienza così intimamente coinvolgente da dover essere espressi con un linguaggio fortemente simbolico. Lo spazio in cui si situano è normalmente lo spazio del sacro. La sessualità è sicuramente una struttura antropologica del sacro, abisso sempre misterioso.
2. Questa sacralità diventa naturalmente discorso religioso. Le religioni trattano i fini ultimi e quindi gli abissi dell’ anima e del corpo, danno parola alla dimensione sacrale.
3. Ma che il sacro sia la dimensione della fede cristiana, il suo terreno costitutivo e il suo orizzonte; che il giusto rapporto con Dio, o la rottura di tale legame, si debbano esprimere attraverso il suo linguaggio è incerto e discutibile.
Questi punti rappresentano un nodo che va tenuto presente in una lettura obbediente e fedele della Scrittura. L’ambito antropologico e sacro in cui si legge la sessualità (naturale o innaturale, ordinata o disordinata, cosmica o caotica) costringe il credente a chiedersi se la visione della sessualità presente nella Bibbia faccia parte del “cielo e della terra” che passeranno, o di quelle “parole” che non passeranno. E’ un compito difficile che esige rigore, fedeltà, interrogazione e preoccupazione.
Nella comunità di Cagliari, la parte “intransigente” ha trovato difficoltà a riconoscere che il problema presentato sopra nasceva dalla volontà di una lettura seria, esigente e fedele. Si diceva che il tentativo finiva per oscurare i passi “scomodi” della Bibbia, e per giustificare tendenze libertarie contemporanee.
Ricordo che il dolore con cui ho attraversato quei momenti nasceva dal fatto che io non cercavo di difendermi o di giustificare con la Bibbia la mia situazione esistenziale. Io desideravo testimoniare la mia fede, mostrare l’ attaccamento alla mia vocazione cristiana ed esprimere questa nella comunità. Volevo essere pienamente e felicemente credente, radicato nella Parola insieme a tutti i miei fratelli e a tutte le mie sorelle, senza sconti né concessioni.
Mi addolorava non essere creduto nella serietà e nella radicalità della mia fede, nella testimonianza che volevo esprimere alla persona di Gesù Cristo, il cui nome, fin dall’infanzia, ho portato nella mia bocca e nel mio cuore, e che è l’aria che respiro, lontano dal quale io non vivo. Non credevo di essere meno esigente o radicale dei miei fratelli e delle mie sorelle.
Ecco perché ho detto che il dibattito, drammatico, che si sviluppò nella mia comunità non era un confronto tra l’ala “radicale” e quella “accomodante” della chiesa. Ricordo qui due persone che capirono molto bene questo fatto. Piero Bensi, che intervenne sul problema specifico e sull’ecclesiologia con energici richiami di natura profetica.
E Pino Mollica. Il nostro incontro fu tra due credenti. Uniti nel riconoscimento della propria creaturalità, e allo stesso tempo intransigenti nei confronti della propria testimonianza e della fedeltà alla Parola, senza doppiezza o leggerezza. Sinceri nella ricerca e sempre sostenuti dalla speranza.