Omosessuali, divorziati-risposati: una benedizione offerta a tutti
Articolo di di René Poujol pubblicato sul blog Cath’lib (Francia) il 22 dicembre 2023, liberamente tradotto da www.finesettimana.org
Avvertimento: Questo articolo è stato messo on line il 22 dicembre in una prima versione. L’indomani ho saputo della presa di posizione della Conferenza episcopale del Camerun che decideva di proibire ogni benedizione di “coppie omosessuali” nella Chiesa camerunense.
Da allora, questa posizione si è estesa ad altre Chiese d’Africa, ma anche di paesi d’Europa come la Polonia. Allo stesso tempo altre Conferenze episcopali europee prendevano posizione a favore del testo. Quindi qui si trova una seconda versione del testo, attualizzata per Golias Hebdo. Che tiene conto degli ultimi sviluppi della questione.
Un testo inatteso…
Una dichiarazione pubblicata il 18 dicembre in Vaticano apre ormai ai ministri del culto cattolico “la possibilità di benedire le coppie in situazione irregolare e le coppie dello sesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio”. Ecco un testo che intende fondare teologicamente la scelta pastorale di papa Francesco di manifestare l’amore incondizionato di Dio per gli esseri umani, anche se peccatori. Rappresenta una vera svolta nello sguardo della Chiesa sulle persone e le situazioni. A rischio di far vacillare una concezione più tradizionale della pastorale in cui l’esercizio della carità resta subordinato ad una esigenza di verità. Al “va e non peccare più” del Vangelo sembra qui sostituirsi un “andate e crescete nell’amore di Dio”. Lo scalpore si è subito manifestato!
La pubblicazione di quel testo ha sorpreso, giungendo proprio nel periodo tra due sessioni del sinodo sulla sinodalità. Si sarebbe potuto pensare, evidentemente a torto, che il papa si sarebbe astenuto durante questo periodo da ogni decisione relativa a temi in dibattito. Potrebbe darsi che ce ne saranno altre da qui all’ottobre 2024 quando si terrà la seconda sessione plenaria. Ma, in fondo, non è un atteggiamento così diverso da quello di Paolo VI che istituiva “a sua unica discrezione” il sinodo dei vescovi nel settembre 1965, prima ancora che il Concilio avesse eventualmente avuto il tempo di dare un altro volto alla collegialità in corso di discussione.
Dalla benedizione liturgica alla benedizione pastorale in risposta a una richiesta
Il testo approvato da papa Francesco offre una riflessione interessante sulla polisemia della parola benedizione. A seconda, ad esempio, che si benedica Dio per i benefici che ci offre o che si invochi sugli esseri umani la sua benedizione… “Ritroviamo il dono divino che ‘scende’, l’azione di grazie dell’uomo che ‘sale’ e la benedizione data dall’uomo che ‘si estende’ verso i suoi simili”. La Dichiarazione opera una seconda distinzione al di fuori di questo contesto. “Da un punto di vista strettamente liturgico, la benedizione esige che quello che si benedice sia conforme alla volontà di Dio come si è espressa negli insegnamenti della Chiesa”.
Ora, si sa che la Chiesa ritiene unica legittima la coppia eterosessuale impegnata in e da legami di un matrimonio sacramentale indissolubile. Il che esclude sia i divorziati risposati che le coppie non sposate e le unioni tra persone dello stesso sesso, tutte considerate “in situazione irregolare”.
Peraltro, sottolinea il testo, papa Francesco nelle sue risposte ai cardinali che avevano formulato dei “dubia” (dei dubbi) nei confronti del suo insegnamento su questi temi, aveva sottolineato che la richiesta di benedizione, indipendentemente dalla situazione delle persone che la formulano, doveva essere interpretata “come una richiesta di aiuto rivolta a Dio” alla quale non si può rispondere con un rifiuto. E metteva in guardia gli uomini di Chiesa contro la tentazione di “costituirsi a giudici che non fanno che rifiutare, rigettare, escludere”.
È possibile benedire le coppie in situazione irregolare e le coppie omosessuali
“Nell’orizzonte qui delineato – precisa il testo – si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. In questi casi, si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente, ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero, di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo”.
Questa benedizione esclude quindi ogni rituale preciso. Ciò sembrerebbe istituirla sotto forma di celebrazione, lasciando campo libero al ministro ordinato che la pronuncia e che dovrà, in futuro, essere formato a questo tipo di atteggiamento pastorale. Essa deve imperativamente situarsi al di fuori di ogni contesto di unione civile. Può trovare il proprio spazio in un contesto privato: l’incontro con un prete, una visita di santuario o un pellegrinaggio.
Il testo è quindi perfettamente chiaro sulle sue intenzioni: non si tratta affatto di legittimare delle situazioni “non conformi” all’insegnamento della Chiesa ma di non escludere nessuno dall’amore incondizionato di Dio. E il testo ricorda questo passo di Evangelii Gaudium (n° 44) in cui papa Francesco dichiarava già nel 2013: “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà”.
La coppia omosessuale, riconosciuta ma non giustificata nella sua esistenza
Non si tratta quindi con questa Dichiarazione di un’apertura a un qualsiasi matrimonio religioso per gli omosessuali. Cosa che ad alcuni dispiacerà. Ma è comunque una evoluzione significativa da parte della Chiesa. Fino ad ora, il discorso ufficiale era che si potevano benedire le persone omosessuali individualmente. Eventualmente l’una e l’altra di una stessa coppia. Non si poteva benedire la coppia che costituivano insieme, giudicata moralmente illegittima. Ci ricordiamo perfino che il termine di coppia era proscritto da certi documenti di Chiesa direttamente ispirati dal prete e psicanalista Tony Anatrella. Il termine “coppia” doveva essere riservato, secondo lui, ai soli eterosessuali.
Quindi, per gli omosessuali si era pregati di parlare di “paio” o di “duo”. Ci si può quindi solo rallegrare che la Chiesa abbia finito per rendersi conto dell’impasse scandalosa e sprezzante a cui portavano quelle parole e quei ragionamenti. Il fatto che ormai prenda atto, come la società civile, dell’esistenza differenziata di coppie eterosessuali e omosessuali, anche se pensa di non poter conferire loro lo stesso valore, costituisce un reale progresso, una presa in considerazione della dignità delle persone, che non ha nulla a che vedere con una qualunque resa alle idee e allo spirito del tempo.
Possiamo por fine al concetto di stato di “peccato permanente” o di “situazione di peccato”?
È una seconda evoluzione portata da questo testo, ancora più significativa. Si noterà che il testo non sottopone questa benedizione delle coppie “in situazione irregolare o dello stesso sesso” a nessuna condizione preliminare. Si tratta di una benedizione incondizionata. “Quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale”. Non si potrebbe essere più chiari. Questa posizione sarà tanto più criticata in certi ambienti di Chiesa in quanto sembra andare al di là della pratica stessa di Gesù nel Vangelo che subordina sempre il suo perdono – ma qui non si trata di perdono, ma di benedizione – ad un “va e non peccare più”. Si può comprendere perché. Questa ingiunzione è oggi molto semplicemente umanamente irricevibile dalle persone che si trovano nelle situazioni dette.
“Non peccare più” rivolto ad un divorziato risposato significa, nell’attuale insegnamento del magistero separarsi definitivamente dal proprio congiunto poiché l’unione in cui si trova impegnato, considerata adulterio, costituisce agli occhi della Chiesa uno stato di “peccato
permanente”. Anche se nei loro riguardi, in quel matrimonio che segue un fallimento, si può testimoniare la totale conformità della loro vita all’insegnamento della Chiesa. Questo testo, dopo Amoris Laetitia, che apriva già loro la possibilità di accedere ai sacramenti, sembra de facto interrogare il concetto stesso di situazione di peccato (1).
“Non peccare più”, per una coppia omosessuale significa, sempre nello stato attuale dell’insegnamento del magistero: impegnati a vivere per sempre nella continenza. Il che è percepito, dalla maggior parte delle coppie omosessuali, come un’esigenza totalmente irrealistica. Anche qui, se l’atto omosessuale resta agli occhi della Chiesa un peccato da confessare, il fatto di vivere in coppia omosessuale eventualmente attiva non sembra più assimilato ad uno stato di peccato permanente che sarebbe un ostacolo al ricevimento di una benedizione. È in sé una forma di rivoluzione. Ma è possibile che questa interpretazione “ottimista” sia respinta da alcuni come non pertinente (2).
Il timore di alcuni che l’apertura pastorale diventi una rimessa in discussione dottrinale…
Tutto questo non è sfuggito ai detrattori di papa Francesco contrari alle sue “audacie pastorali”. Con sempre lo stesso argomento: non ci sarebbe vera carità senza rispetto della Verità che sostiene l’indissolubilità del matrimonio e il divieto delle relazioni omosessuali. Con sempre lo stesso timore, ai miei occhi giustificato, che l’apertura pastorale finisca per incidere sulla dottrina.
C’è in questo una evidenza, in particolare in ciò che riguarda l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità che si fonda su una lettura, oggi messa in discussione da diversi teologi, del racconto della Genesi. Che il “progetto di Dio” sugli uomini e sulle donne sia presentato a partire dalla “coppia primordiale” mitica di Adamo ed Eva, come un progetto che offre come sola alternativa il matrimonio eterosessuale monogamo o la continenza, non è più “ricevuto” dai credenti. Perché l’esperienza stessa della loro vita, nella fede, ha fatto percepire loro un’altra lettura del messaggio evangelico. Questo spiega in parte la crisi che attraversa la Chiesa nei paesi di antica cristianità.
Il secondo motivo di rifiuto della Dichiarazione in certi ambienti cattolici viene dal suo stesso statuto, precisato in tutta onestà dal cardinale Fernandez, prefetto del Dicastero della dottrina della fede, nella sua Presentazione. Fernandez scrive: “Dato che «la Curia romana è in primo luogo uno strumento di servizio per il successore di Pietro» (Cost. Ap. Praedicate Evangelium, II, 1), il nostro lavoro deve favorire, insieme alla comprensione della dottrina perenne della Chiesa, la ricezione dell’insegnamento del Santo Padre”. Ecco ciò che, per alcuni, è irricevibile. Questo modo di procedere “ascendente” è ormai al cuore del Sinodo sulla sinodalità: essere in ascolto delle attese del Popolo di Dio – qui la richiesta di benedizione – e discernere sulla sua compatibilità con la fede ricevuta dagli Apostoli. È questo discernimento che opera qui papa Francesco.
Levata di scudi in Africa
Nel giro di pochi giorni, la dichiarazione Fiducia supplicans ha provocato una vera levata di scudi da parte di certi episcopati. È il caso della Polonia e dell’Ungheria, ma soprattutto in Africa diverse Conferenze episcopali hanno deciso di proibire la sua applicazione: Camerun, Ghana, Nigeria, Malawi, RDCongo, Togo, Zambia e Ruanda dove il cardinale arcivescovo di Kinshasa, membro del Consiglio dei cardinali vicino a papa Francesco e presidente del Simposio delle conferenze episcopale dell’Africa e del Madagascar invita alla disobbedienza l’insieme del continente.
Disobbedienza tanto più ambigua in quanto il testo del Vaticano non dà nessun obbligo di benedire le coppie in situazione irregolare o formate da persone omosessuali, ma apre semplicemente la possibilità pastorale di farlo.
Ci si può o preoccupare per questa ribellione e vedervi un rischio per l’unità della Chiesa e un indebolimento dell’autorità del Papa, o esprimere l’ipotesi che qui saremmo già, alla fine, nel dopo- sinodo sulla sinodalità, in cui alle Chiese continentali o a certe Conferenze episcopali sarebbe offerta la libertà di decidere per quanto le riguarda su questo tipo di questioni pastorali strettamente legate alle “culture” locali, anche nel caso in cui fossero contrarie ad una certa concezione dei diritti umani (3). Non è detto che il papa non vi trovi conferma della fondatezza del suo percorso sinodale di
ricerca di autonomia degli episcopati… talvolta contestata da quegli stessi vescovi che adesso qui la rivendicano.
All’opposto di quegli “obiettori di coscienza”, alcuni episcopati si sono pronunciati apertamente a favore della attuazione di Fiducia supplicans. È il caso della Conferenza episcopale tedesca, nel prolungamento del proprio cammino sinodale; considerando che il testo “è pienamente in linea che l’auspicio dei vescovi”. Per ora c’è il silenzio più totale da parte della Conferenza episcopale francese. Ed è poco probabile che esca da tale silenzio. Una nuova testimonianza delle differenze di sensibilità episcopali che impediscono ogni consenso e rinviano ogni vescovo alla propria libertà di fare o di non fare, di parlare o di tacere (4). E lasciano le coppie che richiedono benedizione nell’incertezza sull’accoglienza che sarà fatta localmente alla loro richiesta.
Il limite, rivendicato, del pontificato di Francesco
L’iniziativa, positiva, di questo testo può anche essere letta alla luce di questa riflessione di padre Antoine Guggenheim che molti condivideranno: “La Chiesa non si può accontentare di una pastorale della misericordia individuale senza compiere un lavoro di radicamento e di rinnovamento dell’antropologia cristiana” (5). Sarà quello il limite, da lui rivendicato, del pontificato di papa Francesco: offrire tutta l’apertura pastorale possibile senza toccare in nulla la dottrina. Il che, evidentemente, è un vicolo cieco. E presagio, considerando le critiche e i rifiuti attuali, di un “dopo Francesco” ancora più vertiginoso e incerto per l’unità della Chiesa.
- Ho riferito in uno dei miei libri la testimonianza di un amico che aveva sposato una donna divorziata da cui aveva avuto un figlio. Un prete gli aveva rifiutato l’assoluzione. Lo aveva invitato a separarsi dalla donna con la quale viveva “in stato di peccato permanente”.
- Non molto tempo fa, due omosessuali che viveva in coppia non erano stati ricevuti come catecumeni nella diocesi di Parigi, a meno che non si impegnassero solennemente alla continenza, poiché veniva considerato, come i divorziati risposati, in situazione di peccato permanente.
- Trentadue paesi africani ritengono l’omosessualità un reato, spesso con il sostegno della Chiesa.
- Si può leggere senza sorpresa e con interesse la longue note de Mgr Aillet vescovo di Bayonne. La sua argomentazione sarà sicuramente ripresa da molti vescovi reticenti al passo in avanti pastorale di papa Francesco. Egli chiede ai suoi preti di attenersi all’accoglienza incondizionata e alla benedizione delle persone omosessuali, ma non della coppia che esse costituiscono, non conforme al disegno di Dio.
- Antoine Guggenheim, nell’opera collettiva Synode sur la vocation e la mission de la famille, Bayard 2015.
Testo originale: Homosexuels, divorcés-remariés : une bénédiction offerte à tous