Omosessuali e transgender alla ricerca di Dio
Presentazione di don Gian Luca Carrega* tratta dal libro di Adrien Bail, Omosessuali e transgender alla ricerca di Dio, editrice Effatà, luglio 2016, pag.5-9
Raccontarsi è un’esperienza apparentemente contraddittoria che deve conciliare due aspetti in conflitto: il pudore che avvolge la propria storia personale e il desiderio di farla conoscere all’esterno per sottoporla alla conoscenza e, implicitamente, al giudizio degli altri. Questo spiega perché sia un’operazione al tempo stesso penosa e liberante, dolorosa e catartica. E per decidere di venire allo scoperto servono motivazioni convincenti che possono essere di vario tipo, dall’egocentrismo alla testimonianza edificante, in diversi casi non si tratta neppure di una scelta, ma di una necessità: si sente che è arrivato il momento di rendere pubblico qualcosa che è maturato nel silenzio per lungo tempo e che in maniera quasi naturale chiede di venire alla luce.
Coloro che affrontano un lungo travaglio alla ricerca della propria identità sembrano anche più predisposti a condividere, a un certo momento del loro percorso, questi risultati, come se questo rappresentasse una tappa necessaria del loro cammino e come se la rimozione di questo passaggio lasciasse qualcosa in sospeso. Le persone omosessuali credenti vivono una condizione che le indirizza a questa analisi perché il faticoso percorso di una ricerca della propria identità personale si interseca con un cammino altrettanto complesso, quello del rapporto con la fede.
In una società nella quale la religione ha ancora un legame significativo con le istituzioni sociali è inevitabile che l’allontanamento da un modo di vivere comune alla maggioranza della comunità si riverberi anche sull’esperienza comunitaria del rapporto con Dio che si vive concretamente nella Chiesa. E per i cattolici questo processo è ulteriormente complicato dalie condanne magisteriali degli atti omosessuali e del transessualismo. Un credente omosessuale o transessuale impiega poco tempo per capire che la sua posizione nella Chiesa non viene riconosciuta come tale, obbligandolo a un percorso di pericoloso avvitamento su se stesso.
La non accettazione porta al nascondimento. Il nascondimento porta all’invisibilità. L’invisibilità genera la sensazione di non esistere. Ciò che non esiste non viene considerato. Punto. Per rompere questa catena perversa occorre spezzare qualche anello e far emergere il diritto di essere ascoltati, se necessario anche mettersi a gridare come fece Bartimeo in mezzo all’ostilità dell’entourage di Gesù. Fortunatamente non mancano negli ultimi tempi inviti autorevoli a non rimuovere la condizione omosessuale o transessuale dagli interessi pastorali delle comunità cristiane. Nella recente esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco invita ad un accompagnamento rispettoso «affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (n. 250).
Le testimonianze raccolte in queste pagine (Adrien Bail, Omosessuali e transgender alla ricerca di Dio, editrice Effatà, luglio 2016) sembrano presentare un comune denominatore, un percorso di ridefinizione della propria identità sessuale che ha comportato un ripensamento del rapporto con Dio. Come se avere fatto chiarezza dentro di sé avesse sortito l’effetto di un approfondimento della questione religiosa.
E in effetti capita spesso di assommare questa confusione: non so chi sono io e non so chi è Dio, in un ordine reversibile. Come operatore pastorale – seguo il cammino spirituale delle persone omosessuali nella Diocesi di Torino – sono particolarmente interessato alle modalità con cui si ricuce il rapporto dei protagonisti di questo libro con la Chiesa.
Il tratto che accomuna queste esperienze così diverse è una forte esperienza di Dio nella preghiera, al punto che mi domando se la provocazione più forte che riceve il lettore di questo testo sia costituita dall’orientamento sessuale degli intervistati o dalla centralità della preghiera nella loro vita. Chiaramente dietro a questo modo di vivere la preghiera c’è la forte esperienza di Taizè che ha accompagnato i primi passi della Comunione Betania e l’ha indirizzata su questo cammino.
Mi pare sia uno dei tratti più marcatamente transalpini di questa esperienza. L’altro è l’acceso dibattito sul Mariage pour tous (ndr matrimonio per tutti) che ha suscitato la pronta risposta del Manif pour tous, con una logica di contrapposizione che ha lasciato strascichi non indifferenti nella Chiesa francese.
In Italia le cose vanno diversamente? Sul versante politico, il dibattito sulle unioni civili non ha scaldato particolarmente i cattolici. L’ala movimentista si è mobilitata con una grande manifestazione che però ha raccolto pochi consensi nella maggioranza cattolica. L’impressione è che, a patto di salvaguardare la specificità del matrimonio e di escludere l’adozione per le coppie gay, le stesse gerarchie siano favorevoli ad una forma di riconoscimento civile pubblico per le unioni di persone dello stesso sesso. Ben più complessa, invece, mi pare la questione religiosa.
A fronte di un attivismo di gruppi nati per raccogliere l’esperienza di cristiani omosessuali a partire dagli anni Settanta, la pastorale ordinaria sembra paurosamente indifferente alla questione. In tutta la penisola sono appena tre le Diocesi che hanno nominato ufficialmente un referente per accompagnare le persone credenti omosessuali nel loro cammino di ricerca spirituale. Il dato è alquanto preoccupante perché indica che non c’è nessuna volontà seria di integrare la presenza degli omosessuali nella vita comunitaria parrocchiale e nelle attività ordinarie di una Diocesi.
Ovviamente la nomina di un referente specifico non è l’unica via praticabile per questo scopo, potrebbe essere tranquillamente un ambito di pertinenza dell’Ufficio di Pastorale Familiare presente obbligatoriamente in tutte le Diocesi. Ma è ben noto come questi uffici siano oberati di lavoro nel seguire le normali iniziative rivolte alla famiglia, dai percorsi per fidanzati all’accompagnamento delle coppie in crisi, situazione che lascia poche energie per settori che invece richiederebbero grossi investimenti (cristiani in nuova unione dopo un matrimonio naufragato, coppie omosessuali, ecc.). Il coinvolgimento diretto delle Diocesi nell’accompagnamento delle persone omosessuali è un passaggio necessario per un salto qualitativo della proposta cristiana che viene loro presentata. I gruppi autogestiti hanno un ruolo fondamentale, soprattutto nell’accoglienza delle persone che vivono una fase di turbamento interiore e necessitano di un ambiente “protetto” dove poter sviluppare la propria identità senza sentirsi giudicati e potendo confrontarsi con altri che hanno affrontato lo Stesso itinerario. Ma il posto di un cristiano è nella Chiesa, non in un ghetto preparato apposta per lui. Diventa perciò urgente che siano impartite istruzioni perché le comunità parrocchiali siano attrezzate nel valorizzare la presenza al loro interno di persone omosessuali che possano mostrarsi per quello che sono, senza doversi nascondere o giustificare.
L’amore incondizionato che Gesù mostra nei vangeli per ogni uomo e donna che si accosta a lui è il modello da riprendere nella nostra pastorale. La comunione che il popolo di Dio crea attorno al suo Signore nella celebrazione eucaristica non può realizzarsi per esclusione, allontanando chi non si conforma allo stile di vita proposto. Perché la capacità di integrazione di chi mette in discussione un modello esistenziale non è segno di debolezza, ma di forza: dice di una Chiesa che non si deve arroccare sui valori tradizionali per sopravvivere, ma è chiamata a esprimere una disponibilità di apetura che permette di interrogarsi sul suo modo di agire e di comprenderlo più profondamente in uno spirito di verità e di carità. Sotto questo aspetto la preghiera rappresenta un’arma efficace per raggiungere lo scopo della comunione ecclesiale.
In un ambito diverso, quello ecumenico, il dialogo tra le diverse confessioni cristiane ha fatto enormi progressi quando è uscito dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori che si misuravano sulle proposizioni teologiche ed è approdato all’esperienza diffusa della preghiera comune. E come sul versante ecumenico le differenze non vengono negate ma sono considerate una fonte di ricchezza, così la presenza di persone omosessuali nella comunità credente non è motivo di imbarazzo, ma di crescita. 0 davvero pensiamo che un fedele omosessuale non possa essere di esempio con la sua preghiera? E che una coppia di persone dello stesso sesso non possa offrire alla famiglia naturale un modello di oblatività e di dedizione nella cura reciproca o di un genitore infermo? Affermare aprioristicamente che da un legame “non secondo natura” non possa provenire alcun bene, significa negare l’evidenza.
Alla Chiesa delle origini furono poste questioni di importanza pari, se non superiore, a quelle attuali e il modello di intervento può essere valido anche oggi. Di fronte alla sconvolgente notizia che i pagani avevano accolto l’annuncio del vangelo, la chiesa di Gerusalemme intervenne mandando in esplorazione il fidato Barnaba. Costui, «da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e fede», osservò e valutò attentamente la situazione, poi «quando ride la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare fedeli al Signore» (At 11,23).
Il compito della Chiesa continua ad essere anche oggi quello di esaminare le esperienze e giudicarle secondo il metro dello Spirito. Agli esperimenti di integrazione che anche sul nostro territorio stanno nascendo è affidata la grave responsabilità di portare frutti di grazia perché di fronte ad una manifestazione dello Spirito nessuno possa più obiettare che la tradizione conta più della realtà. Ma ciò sarà possibile soltanto se a guidare queste esperienze non saranno lo spirito di rivendicazione e di contestazione, quanto la prospettiva di crescita della nostra casa comune che è la Chiesa.
* don Gian Luca Carrega è incaricato della Diocesi di Torino per l’accompagnamento delle persone omosessuali credenti