Omosessualità e genitorialità. Adolescenza: tra infanzia e età adulta
Testo di Alessandra Bialetti*, pedagogista sociale e Consulente della coppia e della famiglia di Roma, tratto dalla sua tesi di Baccalaureato su “Genitori sempre. Omosessualità e genitorialità”, Pontificia Università Salesiana, Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione, Corso di Pedagogia Sociale, Roma, anno accademico 2012 – 2013, paragrafo 1.3
L’adolescenza si presenta come una fase di difficile sistematizzazione cronologica: ha inizio con lo sviluppo biologico legato alla pubertà, che varia dai 9-10 anni fino ai 13-14, ma è difficile stabilirne il termine finale. Infatti, mentre si assiste ad un anticipo della maturità fisiologica, con la possibilità precoce di generare, si verifica invece un posticipo della maturità sociale, ovvero l’ingresso nella società con l’assunzione delle relative responsabilità. Il periodo di moratoria sociale, sempre più dilatato nel tempo, genera quindi il fenomeno dell’adolescenza prolungata che può estendersi fino ai 29-30 anni o addirittura ai 35 con una conseguente ridefinizione dei confini e ruoli familiari.
Secondo gli studi classici, l’adolescenza si presenta come un periodo caratterizzato dalla profonda ambivalenza tra il diventare autonomi ed indipendenti e il bisogno di continuare a dipendere dall’ambito familiare che ha rappresentato, fino a quel momento, il contesto di riferimento fondamentale. E’ la fase di rottura con le identificazioni precedentemente attuate nei confronti dei modelli genitoriali per costruire un proprio percorso che integri i valori ricevuti ma, questa volta, scelti e perseguiti in modo autonomo perché riconosciuti giusti per sé e non più imposti. In alcuni casi l’omosessualità potrebbe essere letta come un tentativo di emancipazione dai genitori con l’estrema fatica, da parte di questi, di gestire una così forte differenzazione dal modello familiare trasmesso.
Le tipiche reazioni oppositive possono però rappresentare dei rifiuti non solo dell’identità, ma anche del processo di autonomia e differenziazione dalle figure genitoriali tipico di questa fase della vita. Le stesse reazioni negative, se trattate invece in modo supportivo, possono rappresentare un momento evolutivo ed educativo importante nella vita della famiglia.
Adolescenti e genitori potrebbero percepirsi in un periodo di evoluzione e cambiamento in cui l’omosessualità, come altri elementi, può trovare una collocazione idonea e positiva nella relazione adulto-adolescente aiutando a leggere i comportamenti dei figli non come segnali di rifiuto o provocazione, ma come espressione della crescita e della fatica di crescere.[1]
Gli adolescenti vengono a trovarsi in una sorta di stato di indeterminatezza e sospensione realizzando un’identità imperfetta e incompiuta, sospesi tra un “già e non ancora”, tra ciò che non sono più e ciò che non sono ancora, faticando ad individuare il percorso di realizzazione della propria individualità.[2] L’adolescente c’è ma non del tutto, ciò nonostante, educativamente parlando, è utile guardare a lui non come una “terra di nessuno” ma come una “terra di mezzo” dove tutto è ancora possibile, giocabile, dove si possono vivere sempre nuove opportunità di sperimentarsi e, anche sbagliando, definire se stessi.[3]
Tale stato di sospensione tra indeterminatezza e definizione può risultare particolarmente gravoso per l’adolescente omosessuale impegnato ad integrare un sé che vive come ancora più confuso, contraddittorio, incomprensibile e spesso inaccettabile. rispetto ad un suo coetaneo eterosessuale.
Il compito di sviluppo preponderante è l’emancipazione emotiva dai genitori: l’adolescente non è ancora pronto ad uscire da casa, soprattutto nel contesto sociale italiano, ma deve realizzare una propria autonomia interna ovvero la capacità di elaborare decisioni personali ridefinendo quel legame di dipendenza dalla famiglia, un adeguato concetto di sé e un proprio progetto di vita.
Una tappa fondamentale è, quindi, il passaggio da un’identità completamente riflessa e modellata sul giudizio degli altri, i genitori in particolare, a un’identità autoriflessa costruita in base ai propri giudizi. Tale processo di costruzione non termina nell’adolescenza ma prosegue durante tutto l’arco della vita generando continue ridefinizioni del proprio progetto di vita in un equilibrio tra le proprie risorse, bisogni, valori, motivazioni e le richieste dell’ambiente.[4]
Si sottolinea questo per ribadire quanto il percorso di vita di un omosessuale sia più complesso rispetto ad un eterosessuale in quanto tale acquisizione e ridefinizione del proprio sé va spesso a scontrarsi con un ambiente familiare e sociale non predisponente, non accogliente e non supportivo generando, come circolo vizioso, un’immagine negativa di sé.
L’adolescente è chiamato ad elaborare una sorta di lutto personale. Rendendosi indipendente, infatti, sente di dover abbandonare modelli di relazione elaborati in passato che avevano rappresentato una sorta di nido e guscio protettivo, e di dover rinunciare all’immagine di sé infantile, ai privilegi acquisiti, alle gratificazioni cui era abituato per approdare all’incertezza di un mondo che da una parte lo affascina e dall’altro lo spaventa.[5]
Per distaccarsi dai genitori e costruire se stesso deve compiere il difficile passo di perderli per poi ritrovarli e viverli in modo diverso. Il desiderio è quello di acquisire una struttura adulta e una maggiore autonomia relazionale affrontando però la paura di allontanarsi troppo dalle figure genitoriali così protettive e rassicuranti. Il chiedere aiuto rappresenta un passo di difficile gestione emotiva: il soggetto sente che, riferendosi ai genitori, avrà più possibilità di risolvere le sue difficoltà ma, allo stesso tempo, vive il timore di riconoscersi ancora piccolo e bisognoso di aiuto.
Non ha ancora acquisito, infatti, quel grado di maturità e sicurezza necessari per poter chiedere aiuto senza perdere la propria identità.[6] L’adolescente omosessuale, proprio per salvaguardare un’identità che non comprende ma che vorrebbe integrare, avrebbe bisogno dell’aiuto dei genitori ma allo stesso tempo ne teme il rifiuto perché portatore di un orientamento percepito come inaccettabile: si trova chiuso in una sorta di circolo vizioso.
L’adolescente sa che deve staccarsi dai genitori ma non sa come fare: per l’omosessuale si tratta di abbandonare due volte l’infanzia vissuta come luogo sicuro in cui non si sentiva discriminato e sbagliato e in cui poteva godere dell’affetto familiare a prescindere dalla sua “diversità”.
Le modalità di attaccamento vissute nell’infanzia costituiranno la base, sicura o meno, di cui l’adolescente disporrà nella sua crescita e nel passaggio all’età adulta: lo spazio dei sentimenti familiari subisce una modificazione per aprirsi ed allargarsi ad altri legami spezzando quel “cordone ombelicale psicologico” che porterà alla conquista di un’identità autonoma.[7]
Nella fascia adolescenziale il soggetto è chiamato a rispondere alla domanda “chi sono io?” trovando una risposta convincente all’ambivalenza che prova in sé tra bisogno di autonomia e dipendenza.[8] Per l’omosessuale tale risposta non è di facile acquisizione dato che scopre e vive se stesso come diverso da tutti gli altri e non simile a nessuno in ciò che confusamente prova e che non riesce a comporre dentro di sé. Nell’adolescenza alcuni psicologi collocano la nascita psicologica del soggetto come momento di messa in discussione delle precedenti acquisizioni e riappropriazione di se stesso.[9]
Infine si sottolinea come il periodo adolescenziale costituisce, per tutto il sistema familiare, una sfida e una risorsa. Una sfida come opportunità di cambiamento e revisione delle relazioni familiari per accogliere le mutazioni legate al processo di crescita dei figli e dei componenti la famiglia; risorsa in quanto ogni crisi apre ad un ridefinizione di modalità di funzionamento inadeguate al sano sviluppo del soggetto.[10]
E’ in questa fase che si è chiamati a riformulare il progetto educativo aggiornandolo alla crescita del figlio e integrando ciò che vive, sente, prova e ciò di cui si sente portatore, compreso, naturalmente, il suo orientamento sessuale.
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[1] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 86.
[2] Cfr. P. GAMBINI, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 167.
[3] Cfr. L. FERRAROLI, Adolescenti, trasgressivi forse, cattivi no, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2012, p. 35.
[4] Cfr. P. GAMBINI, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale, p. 170.
[5] Cfr. R. ROSSI, L’adolescenza, in C. SIMONELLI (a cura di), Psicologia dello sviluppo sessuale ed affettivo, p. 118.
[6] Cfr. L. FERRAROLI, Adolescenti, trasgressivi forse, cattivi no, p. 26.
[7] Cfr. R. ROSSI, L’adolescenza, in C. SIMONELLI (a cura di), Psicologia dello sviluppo sessuale ed affetti-vo, p. 117.
[8] Cfr. L. FERRAROLI, Adolescenti, trasgressivi forse, cattivi no, p. 21.
[9] Cfr. Ibidem, p. 22.
[10] Cfr. P. GAMBINI, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale, , p. 171.
* Alessandra Bialetti, vive e opera a Roma come Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia in vari progetti di diverse associazioni e realtà laiche e cattoliche. Il suo sito web è https://alessandrabialetti.wordpress.com/