Omosessualità e tradizione biblica. Osservazioni esegetiche e riflessioni ermeneutiche
Estratto dal testo di Martin Stowasser*, contenuto nel saggio cattolico “Benediktion von gleichgeschlechtlichen Partnerschaften” (La Benedizione delle coppie omosessuali), editore Puster, anno 2020, pp.32-66, liberamente tradotto da Antonio De Caro
Nel campo delle scienze umane, l’omosessualità è ritenuta oggi una variante non patologica della sessualità umana, mentre la Chiesa continua a valutarla usando le categorie della colpa e del peccato. Tale condanna sarebbe basata su alcuni passi biblici (nell’Antico Testamento in Genesi 19, Levitico 18.22, Levitico 20.13; nel Nuovo Testamento in Romani 1.26 ss., 1 Corinzi 6.9-11 e 1 Timoteo 1.9 ss.), a cui si richiama il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ma un’interpretazione attenta al metodo storico-critico e alle moderne acquisizioni delle scienze umane mostra la fragilità delle argomentazioni morali basate su questi passi biblici.
1. Antico Testamento (pp. 34-48)
L’Antico Testamanto (AT) non accenna minimamente al lesbismo. Per quanto riguarda Gn 19.1-29 è ormai accertato che la storia di Sodoma riguarda la violenza contro gli ospiti e gli stranieri, colpa molto grave per la cultura orientale, soprattutto se associata alla violenza sessuale che, sugli uomini, aveva un effetto particolarmente umiliante, come dimostra la storiografia antica.
Quando altri libri della Bibbia, anche nel Nuovo Testamento (NT), rievocano la colpa di Sodoma, si tratta sempre di contesti che condannano la violenza contro i poveri e gli stranieri: in nessun caso l’accento è posto sull’omosessualità. Se mai, alcuni interpreti evidenziano il divieto della mescolanza fra ciò che estraneo, per cui i sodomiti avrebbero voluto stuprare degli angeli, violandone così la purezza.
Questa interpretazione si afferma negli scrittori ebrei fra I sec. a. C. e I sec. d. C., essenzialmente Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio. La loro condanna dei rapporti omosessuali riguarda i fenomeni di pederastia e prostituzione maschile comuni nel mondo ellenistico e romano, anche come conseguenza dello sfruttamento degli schiavi.
Essi, di conseguenza, hanno interpretato la storia di Sodoma facendo riferimento ai rapporti omosessuali nella speranza che gli Ebrei della diaspora, nel mondo ellenistico e romano, non praticassero tali comportamenti pagani e quindi mantenessero pura la loro identità morale e religiosa. In questi scrittori giudaici è inoltre evidente la preoccupazione di riservare all’uomo-maschio un ruolo dominante, che comporta inevitabilmente l’idea della inferiorità della donna.
I passi del Levitico (18.22 e 20.13), per i quali esistono anche analogie in fonti persiane, fanno parte del “codice di santità”, cioè di quelle norme che sono ispirate coerentemente al divieto di mescolare persone o cose di origine diversa.
Ciò rappresenta un richiamo alla purezza e all’integrità: Israele doveva mantenere intatte le proprie tradizioni, senza contaminarsi con quelle degli altri popoli, allo scopo di ricordare sempre la propria condizione di popolo eletto da Dio e quindi destinato a distinguersi rimanendo separato dagli altri. In questo contesto, i rapporti sessuali fra uomini vengono severamente vietati poiché spesso venivano praticati nell’ambito della prostituzione sacra, cioè del culto (anche di tipo magico) a divinità straniere e agli idoli.
Il divieto di “coricarsi con un uomo come si fa con una donna” (Lv 18.22) deriva precisamente da questa preoccupazione di evitare ogni pericolosa deriva verso le pratiche sessuali e cultuali dei popoli stranieri: separare il comportamento di Israele significava mantenerlo puro dall’idolatria.
Il rifiuto di ciò che è estraneo serve per rafforzare l’identità di un gruppo. Lv 20.13 prescrive addirittura la pena di morte: questo inasprimento rivela che il problema sociale era diventato più grave. Un’altra preoccupazione era di tipo demografico: solo i rapporti eterosessuali avrebbero permesso la riproduzione e quindi la sopravvivenza e l’ampliamento del popolo di Dio in mezzo alle nazioni straniere. Come si osserva, non vi è alcuna riflessione sull’omosessualità in quanto tale, cioè in quanto orientamento stabile della persona o ricerca di relazioni d’amore.
2. Nuovo Testamento (pp. 48-61)
Nei Vangeli non si fa alcun accenno all’omosessualità. Paolo se ne occupa in 2 passi delle sue lettere: 1Corinzi 6.9-11 (catalogo dei vizi) e Romani 1.26ss. La prima lettera a Timoteo va considerata come uno pseudoepigrafo, cioè un testo prodotto dai discepoli di Paolo ma impropriamente attribuito a lui: in 1Timoteo 1.9 ss. si trova lo stesso catalogo dei vizi di 1Corinzi 6.9-11.
Il “catalogo dei vizi” di 1Corinzi 6.9-11 appartiene ad un genere letterario giudaico: ed in effetti Paolo appare chiaramente influenzato dal pensiero giudaico, come dimostrano le analogie con Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio. Paolo adopera due parole significative: arsenokoitai (“maschi che si coricano con maschi”) e malakoi (“giovani effeminati”).
La prima parola non è attestata prima di Paolo, ma è un richiamo a Lv 18.22, e designa i partner maschili attivi; la seconda designa (come nella letteratura ellenistica) i partner maschili passivi. Quindi sembra proprio che Paolo sia stato influenzato dall’Antico Testamento e dal pensiero giudaico; come i circoli sacerdotali a cui risale il libro del Levitico erano spinti dalla preoccupazione di mantenere le usanze di Israele separate da quelle dei popoli vicini, allo stesso modo Paolo era spinto dalla preoccupazione di mantenere le usanze della comunità cristiana separate da quelle della società ellenistico-romana, ove erano presenti la pederastia (anche come sfruttamento sessuale dei giovani schiavi) e la prostituzione maschile. Il rapporto fra arsenokoitai e malakoi era, insomma, un rapporto asimmetrico, fondato sulla violenza e sull’abuso da parte di un superiore nei confronti di un inferiore.
Come dimostrano gli scritti dei primissimi apologeti e padri della Chiesa, cedere a queste pratiche equivaleva, nella loro interpretazione, a contaminarsi con il mondo del politeismo pagano. Nessun accenno al fatto che l’orientamento omosessuale possa appartenere alla natura di una persona e spingerla a ricercare e costruire relazioni di amore: per Paolo si tratta solo di uomini eterosessuali che volontariamente scelgono, più o meno occasionalmente, rapporti omosessuali dei quali potrebbero e quindi dovrebbero fare a meno.
In Romani 1.26ss. Paolo adduce la condotta sessuale come un esempio della condizione dell’umanità immersa nel peccato, per cui la Grazia di Dio, rivelata in Gesù Cristo, risulta assolutamente generosa e misericordiosa. Tutti gli uomini erano esposti all’ingiustizia e all’empietà, che avevano come conseguenza il disordine religioso e morale: adorare le creature come idoli al posto del Creatore. Paolo è l’unico a parlare della condotta sessuale femminile (benché non sia chiaro se si tratti di lesbismo o pratiche anticoncezionali).
Lo sfondo normativo è quello della creazione, come presentato nel libro della Genesi: ogni comportamento sessuale non rivolto alla procreazione è da considerarsi contro natura, poiché diretto solo dalla ricerca del piacere. I confronti testuali dimostrano che Paolo ha recepito il pensiero giudaico (estraneo alla Sacra Scrittura) attestato nelle opere di Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio, ma anche le correnti del pensiero platonico (che disprezzavano la carne, la materia e la dimensione corporea) e stoico (che diffidavano delle passioni e consideravano buono, per le azioni umane, solo un fine razionale e funzionale all’universo, come appunto la procreazione).
A questo bisogna aggiungere che il mondo antico ignorava la nozione di identità ed orientamento sessuale: un uomo poteva avere rapporti con partner di sesso diverso o uguale, pur di non perdere il ruolo dominante attraverso un comportamento passivo (ovvero lasciandosi penetrare).
La sessualità veniva cioè giudicata unicamente per il suo aspetto coitale, esteriore, non per il suo valore all’interno della personalità umana. Ecco il motivo per cui, secondo Paolo, il comportamento sessuale è conseguenza di una scelta volontaria -quindi colpevole proprio in quanto reversibile- e non di una condizione profondamente radicata nella persona.
3. Sintesi e riflessioni conclusive (pp. 61-66)
I passi della Bibbia adoperati di solito per suffragare la condanna morale delle relazioni omosessuali dipendono da uno sfondo culturale diverso dall’epoca moderna, in cui era essenziale non compromettere il ruolo sociale dominante del maschio attraverso un comportamento sessuale (passivo o ricettivo) considerato umiliante proprio in quanto femminile.
Quindi ciò che era percepito come “socialmente pericoloso” è stato poi interpretato come “moralmente peccaminoso”; e il concetto di “natura” o “legge naturale” aveva lo scopo di confermare le gerarchie sociali, come dimostra anche l’atteggiamento di Paolo verso le donne (anche se poi è lo stesso Paolo che in Gal 3.28 afferma che la fede in Cristo deve annullare le differenze socio-culturali).
Dunque occorre rivedere la posizione morale della Chiesa, espressa nel Catechismo, che poggia su un’interpretazione biblica non pienamente valida e che pure ha provocato grande sofferenza in molte persone.
* Martin Stowasser, professore straordinario di Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica Cattolica dell’Università di Vienna (Austria).