Omosessualità e genitorialità. L’importanza dell’altro nella costruzione dell’identità
Testo di Alessandra Bialetti*, pedagogista sociale e Consulente della coppia e della famiglia di Roma, tratto dalla sua tesi di Baccalaureato su “Genitori sempre. Omosessualità e genitorialità”, Pontificia Università Salesiana, Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione, Corso di Pedagogia Sociale, Roma, anno accademico 2012 – 2013, paragrafo 1.4
L’uomo è un essere relazionale che nasce, cresce e si sviluppa in una relazione. La relazione con l’altro rappresenta uno spazio esistenziale ed educativo molto importante in cui affermare la propria individualità e differenza.[1]
L’identità può essere considerata come un processo in continua definizione nella relazione con un altro diverso da sé. E’ quindi il rapporto con l’altro che aiuta a definire il sé.
Il processo di individuazione avviene sia per identificazione, ovvero riconoscersi come identico a sé nella continuità del tempo, sia per differenziazione, ovvero il riconoscersi diverso dagli altri. L’identità si struttura in un processo di riflessione sul sé in relazione con l’altro, in un riconoscersi ed essere riconosciuto.
Secondo il modello dialogico-personalista l’altro sollecita la crescita personale, è uno sguardo che mette in discussione, è l’incontro che permette di comprendere meglio se stesso in un dialogo che diventa spazio di accoglienza della diversità e di arricchimento per la crescita personale. L’identità è necessariamente relazionale in quanto è nello scambio reciproco che si definisce se stessi aprendosi al cambiamento e all’arricchimento dei propri orizzonti di senso e di riferimento.
L’identità personale si costituisce nella misura in cui il soggetto è in grado di separarsi ed affermarsi rispetto all’altro difendendo, senza esasperazioni, il valore della propria originalità. Non è possibile, secondo Laing[2], astrarre completamente l’identità propria di una persona da ciò che è l’identità per gli altri e che dagli altri le viene attribuita.
L’essere umano, per progettare se stesso come individuo, necessita, quindi, degli altri e di modelli di riferimento cui identificarsi; per rendersi autonomo deve rendersi dipendente, vivere il conflitto della diversità e integrarla come ricchezza.[3] È particolarmente laborioso il percorso di rendersi “altro” da sé e dagli altri, dei quali si tendono ad assimilare aspetti della personalità, caratteristiche e valori, rimanendo tuttavia fedeli a se stesso.[4]
Il pericolo è di rimanere intrappolati, per l’intera esistenza alle dipendenze delle identità che gli altri propongono, e a volte impongono, per sé, soprattutto quando non è gratificato il bisogno primario di accettazione e di sicurezza affettiva.[5]
La consapevolezza di essere importanti per qualcuno rende la famiglia, in primis, il luogo del riconoscimento del valore della persona, la famiglia rappresenta quell’altro da sé che dovrebbe contribuire alla crescita nel pieno rispetto di una dignità personale attenta alla parità e diversità.[6]. Quindi incontrare una persona da accogliere come altro da sé permette di accogliersi come altro da lei in uno scambio che consente la reciproca definizione. Tutto questo è ancora più necessario per l’omosessuale che vive il disagio di non accettarsi e spesso di non essere accettato così come è e come si percepisce.
Ben si comprende quanto questo percorso di individuazione-differenziazione, che il soggetto compie nella relazione con l’altro, risulti ancor più faticoso nell’adolescente diviso, come abbiamo visto, tra il desiderio di rendersi autonomo ed indipendente e il bisogno di dipendere. L’identità dei giovani può costituirsi solo sul piano dell’intersoggettività, autoidentificandosi e distinguendosi dagli altri e ottenendo il riconoscimento di tale differenziazione.
Acquisire un’identità significa imparare a giocarsi dentro rituali sociali già esistenti ottenendo l’approvazione degli altri. Da questo ne deriva che chi è fuori dal gioco sociale, perché stigmatizzato come l’omosessuale, fatica a costruirsi all’interno di rituali alternativi. Molto spesso il rischio è quello di scivolare in condotte pericolose o in pratiche della sessualità ambigue ma vissute come necessarie per il bisogno di condivisione con chi si sente simile a sé.[7]
L’interfaccia sociale e il bisogno di sviluppare un senso di appartenenza forte rappresentano due elementi fondamentali nella costruzione del sé. Mentre l’adolescente eterosessuale ha la possibilità di trovare nei pari un gruppo di appartenenza che lo accoglie, sostiene e supporta, l’omosessuale vive un rapporto con “l’altro” sociale tutt’altro che agevolante sviluppando spesso, nei confronti della sua e dell’altrui diversità, un senso di malessere e di estraneità che non agevola l’acquisizione di una identità positiva.[8]
Occorre ricordare che, proprio quando una tappa della crescita appare troppo minacciosa, la paura di distruggere o di essere distrutti può portare alla regressione o alla fissazione a fasi di sviluppo precedenti ricorrendo ai meccanismi di difesa protettivi per il soggetto, ma patologici se utilizzati come modalità di vita continua e costante.[9]
Nel caso dell’adolescente che sperimenta se stesso, l’altro, e soprattutto il genitore, rappresenta anche un rischio in quanto, dovendo ricevere ciò che ancora non ha sviluppato autonomamente, si espone al rischio di concedere all’altro un potere su di sé. Occorre però ricordare che in un cammino di sicurezza personale, l’adolescente trova, più o meno rapidamente, il modo di prendere le distanze e costruirsi in uno spazio di maggiore libertà in cui l’adulto rappresenta comunque un legame importante cui potrà sempre fare ritorno.[10]
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[1] Cfr. G. QUINZI – L. PACE (a cura di), L’imprescindibile esigenza di educare, Roma, LAS, 2011, p. 25.
[2] Citato in B. ROSSI, Identità e relazione, Brescia, Ed. La Scuola, 2008, p. 135.
[3] Cfr. B. ROSSI, Identità e relazione, p. 139.
[4] Cfr. Ibidem, p. 140.
[5] Cfr. Ibidem, p. 142.
[6] Cfr. G. QUINZI – L. PACE (a cura di), L’imprescindibile esigenza di educare, Roma, LAS, 2011, pp. 30-31.
[7] Cfr. P. RIGLIANO, Amori senza scandalo, Milano, Feltrinelli Editore, 2006, p. 123.
[8] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 57.
[9] Cfr. S. ARGENTIERI, A qualcuno piace uguale, Torino, Einaudi Editore, 2012, p. 57.
[10] Cfr. P. JEAMMET, Adulti senza riserva. Quel che aiuta un adolescente, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2009, p. 19.
* Alessandra Bialetti, vive e opera a Roma come Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia in vari progetti di diverse associazioni e realtà laiche e cattoliche. Il suo sito web è https://alessandrabialetti.wordpress.com/