Sull’omosessualità la Chiesa di Bergoglio è divisa in due correnti di pensiero
Articolo di Franca Giansoldati pubblicato sul sito de Il messaggero il 22 maggio 2018
La Chiesa di Papa Bergoglio è attraversata da due opposte correnti di pensiero sull’omosessualità. Da una parte c’è chi teorizza che l’omofobia sia solo una ideologia e l’omosessualità una specie di malattia. Dall’altra, invece, chi predica per arrivare ad una piena accettazione delle persone gay, così come sono. A mettere in evidenza queste due scuole di pensiero è la presentazione in contemporanea di due libri che negli Usa stanno aprendo un grande dibattito, il primo scritto da un cattolico (ex gay come si autodefinisce) e il secondo opera di un gesuita che lavora per costruire ponti con il mondo Lgbt.
Partiamo dal primo. Domani è atteso a Roma per una conferenza ospitata all’università dell’Opus Dei, Daniel Mattson, autore di «Perché non mi definisco gay – Come ho recuperato la mia identità sessuale e trovato la pace», un volume esplosivo che in America sta facendo molto discutere perchè teorizza un percorso cristiano per uscire dalla condizione di gay e trovare pace e felicità. Mattson inizia dalla sua storia personale. «Siamo maschi e femmine. Per rispettare qualcuno dobbiamo riconoscere la sua identità. Tutto il resto sono un falso rispetto, una falsa delicatezza e una falsa compassione» spiega. Il titolo della conferenza è eloquente: Esperienze di accompagnamento spirituale delle persone con attrazione per lo stesso sesso. Secondo l’autore (che in questi giorni ha incontrato diversi vescovi e cardinali in Vaticano), la fede riuscirebbe a sanare una condizione che genera disagi.
Daniel Mattson racconta di essere cresciuto in una famiglia cristiana e di essersi sempre sentito attratto dagli altri ragazzi, ma viveva in un perenne conflitto tra i suoi desideri e gli insegnamenti della Chiesa. Crescendo ha trovato un compagno ma ha continuato a essere infelice fino alla riscoperta della fede che lo ha portato a rivedere la sua vita radicalmente.
«La ragione più grande per cui rifiuto di definirmi gay è semplice: penso che non sia oggettivamente vero. Focalizzarsi sui sentimenti porta le persone lontano dalla loro realtà di figli di Dio nati maschi e femmine. Dobbiamo imparare a distinguere la nostra identità dalla nostra attrazione sessuale, dal nostro comportamento. Non è quello che sentiamo che deve regolare la nostra vita, altrimenti passeremmo col semaforo rosso solo perché, appunto, ce lo sentiamo. Esiste una oggettiva verità che ci protegge, fatta per il nostro bene».
Sempre in questi giorni viene presentato in Italia un secondo libro sull’argomento, stavolta del gesuita americano James Martin, intitolato: «Un ponte da costruire, per una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt». Un volume concepito per combattere l’omofobia che nella visione di padre Martin esiste ed è perniciosa. Anche questo volume ha aperto un dibattito ma per ragioni diametralmente opposte all’altro. L’introduzione nella edizione italiana porta la firma dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi. «E’ un libro atteso e molto necessario che aiuterà vescovi, preti, operatori pastorali, e tutti i leader della Chiesa ad essere più sensibili verso i membri LGBT della comunità ecclesiale cattolica. Aiuterà anche i membri LGBT a sentirsi più a casa propria in quella che, dopo tutto, è anche la loro Chiesa» ha aggiunto il cardinale americano Kevin Farrell, Prefetto del nuovo dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita.
Padre Martin si rivolge alle persone omosessuali per farle entrare in un rapporto più profondo con Dio. Scrive Matteo Zuppi: «L’intento del libro è questo: aiutare a maturare un atteggiamento di comprensione e capacità di accompagnamento dei pastori nei confronti dei fratelli e sorelle omosessuali ma anche viceversa, perché specularmente c’è la tentazione di chiudersi o di assumere posizioni ideologiche. L’aspirazione del libro è aiutare l’anelito ad una vita evangelica dentro la comunità cristiana e coltivare una relazione pastorale che porti frutti per il Regno. Nessun autentico cammino di crescita spirituale e morale può prescindere dalla verità del Vangelo e della dottrina; ma la carità e la verità evangelica nella pastorale esigono la disponibilità e la capacità al dialogo».