Omosessualità: la chiesa valdese può sacrificare tutto sull’altare dell’unità?
La Facoltà valdese di Teologia, nell’ambito di un progetto più ampio di sviluppo di un’offerta formativa aderente alle esigenze attuali di studenti e chiese già iniziato, ha deciso di individuare delle tematiche su cui focalizzarsi all’inizio dell’anno accademico, trattandole con un taglio interdisciplinare.
Una di queste è stata la questione del rapporto «omosessualità – vita delle nostre chiese», visto nei vari aspetti, attuali nella vita della chiesa e che ci interrogano come credenti e come comunità.
Va subito detto che non vi è peggior approccio che quello volto a non prendere sul serio i punti critici e generatori di sofferenza della realtà per come è, facendo calare un silenzio anestetizzante su questioni che rimangono aperte e lavorano sottotraccia.
La questione in Facoltà è stata trattata dal punto di vista etico e dal punto di vista esegetico-ermeneutico, cercando di comprendere il peso dei versetti controversi nell’economia dell’interpretazione biblica moderna attenta al senso complessivo della Rivelazione. Nonostante tutto ciò, però, il vero punto di scontro si è avuto sul terreno della pastorale e non poteva essere altrimenti.
Siamo partite e partiti dall’analisi del documento dell’Assemblea/Sinodo e lo abbiamo confrontato con quello prodotto dalla Fgei come contributo alla discussione e ai lavori della stessa, osservandone anche i diversi accenti in tema di apertura alla benedizione di coppie omosessuali.
A parere di chi scrive si è notata già in sede di discussione (e di silenzio nella stessa) una divaricazione di posizioni, ma soprattutto di sensibilità all’interno dello stesso, variegato, gruppo studentesco, divaricazione chiarificatrice del punto nel quale siamo come chiesa.
Si è anche analizzata la posizione di chiese sorelle in Europa, leggendo un documento delle chiese luterane e riformate di Francia, che hanno giustificato posizioni attendiste in termini soprattutto di benedizioni di coppie omosessuali, basandosi sull’argomentazione dell’esigenza di salvaguardare l’unità della chiesa.
Ciò che, però, si impone come riflessione, improcrastinabile, da svolgere nella realtà delle nostre comunità è la domanda circa quanto l’unità come valore in sé possa per lungo tempo essere la sola direttrice delle scelte della chiesa.
Sia chiaro, l’alternativa non è una non precisata bramosia di separazione e generazione di tensioni e conflitti intestini autodistruttivi. D’altro lato, non si può neppure prescindere dalla constatazione seria che l’unità nella quale oggi viviamo come chiesa, spesso si fonda sul silenzio (che può essere ipocrita).
Tutte e tutti noi sappiamo che un’ermeneutica delle relazioni fondata sull’ipocrisia ha respiro corto. Spesso l’unità delle comunità si basa sul silenzio, sul non detto, sul tacere questioni fondamentali. Ciò riguarda sia il rapporto con fratelli e sorelle migranti sia il rapporto con sorelle e fratelli omosessuali.
Tutto ciò apre a due domande su cui la Facoltà auspica di continuare il dibattito nell’anno accademico già denso di impegni: quale unità viviamo in concreto come chiesa e come dobbiamo muoverci per non fare di questo valore un involucro senza altro senso che quello di coprire una realtà liquida, informe, incapace di autopercepirsi e dunque di testimoniare l’Evangelo se non in maniera troppo tiepida?
E ancora: come prendere sul serio il fatto che un’unità come quella vissuta in concreto dalle comunità oggi, laddove è fondata su un silenzio che tradisce paura in tutti i sensi, genera dolore concreto in uomini e donne in carne e ossa nostre sorelle e nostri fratelli? Siamo pronte e pronti alla gestione del conflitto per come si pone?
Il tutto tenendo presente concretamente che, almeno per quanto riguarda la benedizione di coppie omosessuali, di fronte a una richiesta di membri di chiesa dobbiamo dare una risposta con un certo grado di certezza e di sicurezza. La risposta, se si pensa alla benedizione delle coppie eterosessuali nei termini di un’intercessione nei confronti del Signore per una benedizione del cammino insieme, può essere positiva.
Certo aiuterebbe una battaglia per il riconoscimento legale di unioni omosessuali, la benedizione delle quali a quel punto, almeno per chi scrive, sarebbe quasi dovuta, pena problemi anche a livello ecclesiologico.
La domanda finale, però, non può non essere, perché l’etica e una certa etica attenta a ben definiti temi, sia così centrale nella riflessione del cristianesimo oggi (e nella sua storia). Ciò ancor di più alla luce delle recenti prese di posizioni vaticane in sede Onu.
Abbiamo infatti tutte e tutti assistito a un punto bassissimo della storia del cristianesimo, ancora una volta schierato, nella sua componente cattolica, dalla parte sbagliata.
Anche provando a partire dal suo stesso assunto di una morale e di un’etica naturale, infatti, ci si domanda come sia possibile che lo Stato della Città del Vaticano si sia schierato con Stati antidemocratici e teocratici nei quali le e gli omosessuali vengono uccise e uccisi nelle forme più violente; perché per salvare una posizione di principio abbia abbandonato l’Evangelo dell’amore per imporre una rigida chiusura generatrice di sofferenza, discriminazione e morte.
Se vogliamo, come dobbiamo, rispondere con forza e predicare, testimoniandolo, un altro modo di essere cristiane e cristiani, ancorato all’Evangelo, dobbiamo con onestà e con la sofferenza che ogni presa di coscienza dell’identità profonda produce, rispondere alle domande esposte sopra e capire a che punto siamo nel nostro essere chiesa, senza sconti, pronte e pronti a lenire il dolore che ci si crea reciprocamente e con la fiducia della fede in Cristo e nella testimonianza che ci ha fornito di amore, cura e accoglienza.