Omosessualità: perché la Chiesa non si smuoverà
Articolo di René Poujol pubblicato sul sito renepoujol (Francia) il 30 settembre 2015, traduzione di finesettimana.org
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Per una volta darò ragione a tutte le Cassandre della nostra Chiesa santa, cattolica, apostolica, romana… affermando che sulla questione omosessuale, il Sinodo non modificherà nulla di essenziale nell’insegnamento tradizionale del magistero.
Per l’osservatore esterno al mondo cattolico – e non è il mio caso – l’irrigidimento della Chiesa sull’omosessualità resta difficile da comprendere, nei nostri paesi in cui si tende a trovare tutto ovvio.
È quindi opportuno esaminarne le ragioni. La Bibbia – a cui fanno riferimento ebrei, cristiani e musulmani – fornisce sull’omosessualità una condanna senza appello ripresa dalle lettere di Paolo. Inutile ricordare qui le citazioni di cui ciascuno conosce più o meno l’esistenza, se non la formulazione, e la cui enumerazione non offrirebbe alcun aiuto. Certo, l’esegeta moderno invita a contestualizzare degli scritti a cui lettura letteralistica è ormai solo appannaggio di certi Stati del mondo musulmano in cui l’omosessualità è passibile della pena di morte… come raccomandato dalla Bibbia.
Una contestualizzazione rifiutata dal Magistero della Chiesa cattolica, che ricorda con costanza e fermezza che vi sono degli interdetti strutturanti, in ogni tempo e in ogni luogo, che nessuna evoluzione dei costumi o delle conoscenze potrebbe rimettere in discussione.
Un cambiamento dell’opinione pubblica Nel mondo occidentale – ma non solo – si è considerato a lungo l’omosessualità come una malattia (1) o peggio: un vizio, una depravazione e, per i cattolici, un peccato mortale. Le scienze umane hanno, anzitutto, diffuso l’idea che non si è omosessuali per scelta, il che, per la Chiesa, delegittima qualsiasi condanna morale delle persone per le loro “tendenze”, ma non per gli atti che, invece, dipendono dalla sola volontà delle persone. Il vero cambiamento per molti cristiani, è venuto più recentemente, dalla presa di coscienza che esistevano, accanto a loro, delle persone omosessuali che vivono in coppia stabile, amante, fedele, aperta ad una forma di fecondità sociale. Un comportamento non così lontano, in fondo, da quello che la Chiesa si aspetta dalle coppie sposate, a parte l’esigenza della differenziazione sessuale.
Questo cambiamento ha avuto come effetto quello di suscitare l’interrogativo oggi posto da molti cattolici: quando due persone dello stesso sesso vivono dando una tale testimonianza di dignità, si può ancora parlare di peccato? Quale offesa fanno a Dio? Non è il caso di rivedere la lettura che la Chiesa fa delle Scritture? Il Magistero, si sa, riafferma che la questione è decisa, definitivamente decisa. Una risposta che non può, ahimè, essere considerata convincente dal punto di vista della ragione e della coscienza di ognuno.
La posta in gioco demografica Se la Bibbia e gli scritti di Paolo restano per la Chiesa degli argomenti sufficienti per fondare e confermare l’insegnamento tradizionale del Magistero, ci sono altre due ragioni raramente fatte valere – e c’è un motivo – che fanno pensare che, su quel terreno, al di là degli argomenti di tipo teologico, la Chiesa non si smuoverà tanto presto. La prima è di ordine demografico. Certo, la Chiesa cattolica, ricca di 1,3 miliardi di fedeli nel mondo, è senza dubbio meno minacciata nella sua sopravvivenza del popolo ebraico al tempo dei Patriarchi. Ma il “crescete e moltiplicatevi” biblico resta fortemente ancorato nella cultura cattolica. Riconoscere una qualsiasi legittimità alla coppia omosessuale, anche nelle legislazioni civili, equivarrebbe a rinunciare all’esigenza, non esclusiva ma continuamente ricordata, del rapporto tra sessualità e fecondità. Il timore, qui, è meno l’esigenza fantasmatica – talvolta evocata – di una società diventata in maggioranza omosessuale – per gusto sfrenato di piacere – e che si condanna così a scomparire… piuttosto che sulle ripercussioni di tale legittimazione sulle coppie eterosessuali.
Se la coppia omosessuale può amarsi carnalmente nonostante la sua infecondità, come continuare ad esigere dalla coppia eterosessuale una apertura costante della sua sessualità alla trasmissione della vita? Non c’è il rischio di veder emergere una società globalmente segnata dal rifiuto edonistico del dono della vita? (3)
Al di là dell’affermazione che ogni vita viene da Dio, che quindi bisogna accoglierla, e che il più bell’omaggio della coppia cristiana al suo Creatore è di arricchire la famiglia umana e di ampliare il popolo di Dio, si sa che la Chiesa è angosciata da due prospettive: la diminuzione delle famiglie numerose, principali fornitrici di vocazioni sacerdotali e religiose; l’invecchiamento e la diminuzione della comunità cattolica nel mondo, di fronte alla crescita dell’islam. Certo, i demografi sembrano concordare nel situare all’orizzonte della fine del secolo la transizione demografica sull’insieme del pianeta, con una stabilizzazione mondiale della sua popolazione attorno a 11 miliardi di abitanti. Ma la scadenza resta lontana, con la prospettiva di una popolazione quasi raddoppiata. Tanto vale arrivarci, se non in forze, almeno in una posizione non troppo indebolita, sembra pensare il Vaticano da sempre (2).
L’impossibile continenza La seconda ragione, ancora più delicata da evocare, riguarda il posto centrale del celibato e quindi della castità, nell’istituzione ecclesiastica. Se ne conoscono le giustificazioni: la testimonianza insostituibile del dono totale fatto a Dio, a servizio della comunità. Anche se si continua a discutere del problema di sapere se questa testimonianza debba essere del clero o prima di tutto dei monaci. Ciò non toglie: è senza dubbio più facile ottenere la continenza che ci si aspetta dai preti quando la sessualità è legittimata, per i laici, solo nel quadro del matrimonio eterosessuale fecondo. Riconoscere una forma di “fecondità sociale” alla coppia omosessuale, rinunciare – anche solo prudentemente – a condannare gli “atti” se vissuti nel quadro di una relazione stabile, non significa introdurre il verme nel frutto?
Uno dei segreti meno bene mantenuti del mondo cattolico è quello della forte presenza di persone di tendenza omosessuale sia nei seminari che in certi ordini religiosi. Persone che, nella maggior parte dei casi, hanno comunque tutte le qualità richieste per svolgere bene il loro ministero o il loro apostolato. Ma si conoscono le reticenze del Vaticano, espresse più volte. Togliere la proibizione dell’omosessualità, non significherebbe assumersi un rischio avventato? Anche se si può sostenere che un voto di celibato o di castità, liberamente pronunciato, dovrebbe potere essere rispettato indipendentemente dall’inclinazione della persona e dal contesto sociale.
Tocca ai laici sbloccare la situazione Sono queste, riassunte anche troppo brevemente, le ragioni che rendono poco probabile un’evoluzione rapida della Chiesa cattolica sulla questione omosessuale. E sicuramente non per il Sinodo che sta per aprirsi a Roma. Bisogna anche considerare che già sarebbe un passo avanti se il testo finale, riaffermando la dignità di ogni persona agli occhi della Chiesa, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, suggerisse di mettere in sordina, nella pratica pastorale, la condanna degli atti omosessuali giudicati “gravemente disordinati” nel catechismo della Chiesa cattolica, e di invitare le comunità a dare il loro giusto spazio alle persone omosessuali sole o in coppia.
Immagino che il mio intervento sarà accolto con un “entusiasmo diseguale”, per riprendere una litote cara all’abbé Pierre quando accennava ai sentimenti dei vescovi nei suoi confronti. Alcuni mi rimprovereranno un approccio triviale – e malintenzionato? – per l’evocazione della demografia e della continenza ecclesiastica, mentre sarebbe stato sufficiente ricordare semplicemente la proibizione biblica.. Altri deploreranno che seppellisca il sinodo prima ancora che sia cominciato… almeno su questo tema.
Ma bisogna ben ammettere che oggettivamente esso non è centrale rispetto al tema della famiglia, anche se è esplicitamente affrontato dai documenti preparatori inviati da Roma. Sono
quindi anticipatamente riconoscente a quei Padri sinodali che, senza grandi illusioni, oseranno dire che la questione omosessuale si impone a noi e si imporrà per molto tempo, e che volersi rifugiare dietro l’insegnamento costante del Magistero è una forma di impasse e di cecità.
Credo che gli argomenti presentati in questo articolo siano utili al dibattito, oggi necessario nella nostra Chiesa, fino alla più piccola e modesta delle nostre comunità. E resto convinto che è la determinazione dei laici cattolici “della base” che potrà sbloccare la situazione. Indipendentemente dalle conclusioni del Sinodo, sarà la base ad essere “operativa”
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1. Solo il 17 maggio 1990 l’Organizzazione mondiale della salute ha tolto l’omosessualità dalla Classificazione internazionale delle malattie.
2. Bisognerà pure un giorno fare il bilancio dell’atteggiamento della Chiesa sulla questione della contraccezione: diserzione dei cattolici, crollo della pratica nei paesi di tradizione cristiana come la Spagna o l’Italia per reazione al potere clericale, mantenimento nella miseria delle donne del Terzo Mondo condannate a maternità multiple no desiderate.
3. Ciò che i documenti della Chiesa definiscono talvolta come mentalità contraccettiva.
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Testo originale: Homosexualité : pourquoi l’Eglise ne bougera pas