L’Acquila. «E’ stata una cosa mai vista e sentita». E’ il racconto della tragica nottata di alcuni abitanti de L’Aquila, la città abruzzese colpita nel cuore della notte, verso le 3.30 di questa mattina, da una forte scossa di terremoto, il cui bilancio si aggrava di minuto in minuto.
«Già alle 11 di ieri sera abbiamo sentito il terremoto – racconta una donna ai microfoni del Gr1 – Ci siamo messi in allarme. All’una di notte un’altra scossa e alle 4 meno venti la botta finale. E’ stata una cosa fortissima, fortissima. Tutte le mura di casa squarciate, tutta la roba per terra… Una cosa mai vista e mai sentita. Certo – ricorda ancora la donna – c’erano state delle avvisaglie, insomma per parecchi giorni c’erano state delle scosse ma mai pensavamo ad una cosa così».
Anzi, le fa eco un altro sopravvissuto, «eravamo stati quasi rassicurati che non era niente di grave. C’è stata una sottovalutazione – accusa – Eravamo quasi abituati alle scosse giornaliere ma preparati a questo no, non lo eravamo». «Pensavo ad una cosa pesante ma non di queste proporzioni. Sono passato per la città e ci sono davvero molti pezzi di città distrutti. Ci sono tanti feriti e numerosi morti». Lo ha detto il direttore generale della Asl dell’Aquila, Roberto Marzetti, che si trova davanti al pronto soccorso per coordinare le operazioni di emergenza.
«La macchina dei soccorsi – ha aggiunto – è partita subito, ci sono medici e paramedici a lavoro, chi di turno e chi no è tornato a lavoro. Abbiamo attivato due sale operatorie e quindi la reazione della città c’è stata». Così come i dirigenti della Asl, Marzetti non era all’Aquila al momento del terremoto ma una volta saputo della scossa si è precipitato in città. Nel fare il punto della situazione, il manager ha sottolineato che sono attive due sale operatorie ma che dovranno essere trasferiti i dializzati la cui struttura si è allagata. Il reparto di neonatologia è già stato trasferito.
«I delta di medicina sono da evacuare e poi ci sarà da fare la stima dei danni visto che l’ospedale non ha probabilmente problemi strutturali ma calcinacci, intonaci e suppellettili a terra. Ci vorrà qualche giorno prima che la situazione migliori, ma la cosa importante è che tutti sono a lavoro per aiutare le persone colpite da questa tremenda ferita».
Marzetti ha sottolineato che per sostenere la struttura ospedaliera che comunque è in difficoltà dovrebbe essere installato un ospedale da campo proprio nelle vicinanze del San Salvatore. «Oggi è la mia nuova data di nascita». E’ il primo commento di Maurizio Marino, componente dell’orchestra “Città aperta” dell’Aquila che stanotte si trovava in un bed and breakfast di Fossa (Aquila).«Mi sento un miracolato» – ha aggiunto – «adesso ci troviamo nel campo sportivo dove ci stanno rifocillando».
La struttura dove si trovava è crollata. «Per fortuna non è caduto il soffitto – ha detto – e in quel momento ho pregato ed ho pensato ai miei famigliari e a mio figlio. Ho pensato di morire». «Ho dormito fuori e questo mi ha salvato ma adesso spero tanto che tirino fuori i miei compagni vivi». E’ la drammatica testimonianza di Valerio, studente universitario di Tagliacozzo (L’Aquila), che assiste con gli occhi bagnati di lacrime al lavoro di una ruspa caterpillar che sposta interi blocchi della palazzina di quattro piani in via Rossi, dove i suoi cinque compagni di appartamento vivevano al secondo piano.
Anche qui, come in altri punti della città, si lavora disperatamente lottando contro il tempo per estrarre dalle macerie le persone, si spera ancora in vita. Qui, dove sono crollate due palazzine attigue i soccorritori cercano una decina di persone, otto delle quali studenti universitari, e i due proprietari degli appartamenti in affitto. A quanto pare, degli studenti universitari, cinque ragazzi e tre ragazze, sono per la maggior parte della provincia di Teramo. Si sa di certo che una delle dieci persone è deceduta tra le macerie, e si aspetta di poter tirare fuori il corpo.
«Ho iniziato a scavare – dice, ricordando quei drammatici momenti – prima a mani nude, poi aiutato da altri che sono corsi a dare una mano armati anche di pale. Abbiamo estratto il corpo di mia cugina, salva grazie ad un armadio che le è caduto addosso facendole da guscio». Ma dopo un’ora e mezza circa di disperati scavi, l’amara scoperta.
«Mio zio, un uomo di 63 anni pieno di vita – spiega – aveva perso la vita sotto quelle macerie. Aveva il braccio allungato verso la bombola dell’ossigeno che inalava, nel disperato tentativo, probabilmente, di mettersi in salvo o di svegliare sua figlia per metterla a riparo».
Tutti «momenti drammatici, come quelli che del resto continuo a vivere mentre presto servizio in questo ospedale, in parte venuto giù come gran parte della città – conferma – Mio zio era morto, ma io sono corso qui. Sapevo che a L’Aquila la situazione era altrettanto drammatica, se non peggiore.
Da medico, aiuto, cerco di tranquillizzare la gente, assisto a scene di morte che non cancellerò mai – assicura – e intanto la terra trema, continua a tremare, mentre i feriti che arrivano sono sempre più gravi perché si tratta di quelli che sono stati più a lungo sotto le macerie. È un’apocalisse, un incubo senza fine».