“Osate discernere con noi”. Lettera aperta ai “Padri” sinodali
Lettera di René Poujol pubblicata sul sito renepoujol (Francia) il 6 febbraio 2015, traduzione finesettimana.org
Cari Padri, eccoci ancora agli inizi di questo anno 2015 che conoscerà il completamento del sinodo sulla famiglia voluto dal nostro papa Francesco. Ne ho applaudito l’intuizione, felice di ritrovarvi la generosità dello sguardo del Concilio Vaticano II che ha segnato la mia giovinezza. Ho seguito da vicino i preparativi poi i lavori della prima sessione, applaudito alla franchezza dei dibattiti, tremato per le tensioni suscitate dalla relazione intermedia del cardinale Peter Erdo, mi sono disperato per il ripiegamento timoroso testimoniato dalla redazione finale dei Lineamenta che vi sono stati inviati in vista della sessione dell’ottobre 2015. So quanto saranno decisivi i prossimi mesi. Come invita a fare la Lettera del cardinal Baldisseri, segretario generale del sinodo, mi prendo quindi la libertà di inviarvi questa “lettera aperta” (1).Sono nato cattolico, da una famiglia molto credente, e lo sono rimasto fino ad oggi, non avendo mai trovato motivi sufficienti per rimettere in discussione questa appartenenza e scardinare la mia fede in Cristo. Cos’altro dire che, senza rischiare di cadere in una forma di esibizionismo, esprima tuttavia il mio impegno costante all’interno della Chiesa da mezzo secolo (2) e precisi quindi il luogo da cui vi parlo? Perché è proprio da questo mio profondo attaccamento ecclesiale che vorrei esprimervi, per il passato recente, la mia delusione, e per il futuro, che è nelle vostre mani, la mia fiducia e la mia speranza.
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Ho amato e apprezzato lo spirito della “relazione intermedia”
Della relazione intermedia, tanto criticata, ho amato e apprezzato proprio quello spirito di libertà che portava la Chiesa a decentrarsi da se stessa come la invita a fare papa Francesco. Sicura della Buona Notizia di cui è portatrice, per la coppia e la famiglia, poteva offrirsi uno sguardo ottimista e
generoso sul mondo. Il testo ci invitava a “percepire le forme positive della libertà individuale”, a “riaffermare il valore e la consistenza propria del matrimonio naturale” e “riconoscere elementi positivi nelle forme imperfette” del matrimonio civile, della coabitazione e del concubinaggio, tipi di unioni in cui si potevano “vedere valori familiari autentici” quando vi trovavano spazio: “la stabilità, l’affetto profondo, la responsabilità verso i figli, la capacità di resistere nelle prove” (2).
Ho trovato bella, a proposito dei divorziati risposati, l’idea che un approfondimento teologico possa aiutarci a superare la solo apertura fatta a quelle coppie di una “comunione spirituale”; così come ho apprezzato il riconoscimento che “le persone omosessuali hanno dei doni e delle qualità da offrire alla comunità cristiana” e l’invito a “prendere atto che esistono (tra loro) casi di sostegno reciproco fino al sacrificio”… (3).
Come giornalista, ne ero stato testimone, negli anni 80 in cui molti malati di aids, abbandonati dalla loro famiglia (magari anche cattolica), morivano nella solitudine, avendo, nel momento di rendere il loro ultimo respiro, il solo sguardo amante di quell’uomo o di quella donna che condivideva la loro vita.
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Quando guardo attorno a me…
Ed ecco che la sintesi finale, adottata dai partecipanti al Sinodo romano, che oggi serve da documento preparatorio al Sinodo ordinario dell’ottobre 2015, a cui siete chiamati a partecipare,rivedeva le espressioni coraggiose della relazione intermedia. Come se, al termine dei lavori: “i padri sinodali (volessero) invece trovare i mezzi per riproporre la bellezza del matrimonio cristiano piuttosto che insistere sugli aspetti positivi delle situazioni problematiche”(4). Al punto da tornare a concentrarsi sull’uno rinunciando all’altro.
Cari Padri, quando guardo attorno a me: i miei stessi figli e figlie, nipoti, figliocci e figliocce, tutti in età per vivere in coppia, osservo una bella diversità di matrimoni religiosi o civili, di pacs (ndr.: unioni civili) o di semplice convivenza. Tra di loro, ce n’è perfino uno che ha osato la scelta radicale di una vita monastica… ortodossa! Dei loro figli, alcuni sono battezzati, altri no, alcuni hanno ricevuto in municipio un battesimo repubblicano. Quando guardo nella mia famiglia e tra i miei amici, vi scopro vecchie coppie sposate, come noi, ma anche persone sole, o in seconda unione dopo un divorzio. E, tra i nostri parenti o conoscenti omosessuali: coppie libere da qualsiasi legame giuridico, altre con un pacs, altre recentemente sposate.
È in mezzo a loro che vivo. Con felicità e riconoscenza. Alla domenica, a messa, li presento tutti indifferentemente nella mia preghiera. Vedo ciò che testimoniano: fedeltà nella loro coppia, affetto reciproco e sostegno, responsabilità verso i loro figli, capacità di resistere nelle prove della vita, apertura agli altri… insomma, quelle qualità percepite come costitutive del matrimonio cristiano da coloro che accettano che Dio abbia qualcosa a che vedere con il loro amore! Sanno che provo per loro: rispetto, stima e affetto. E vorrei tanto farli partecipi della mia Chiesa.
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Quelle “periferie” in cui sembra che si voglia dissuadervi dall’avventurarvi
Sicuramente sono accampati in quelle “periferie” che papa Francesco ci invita a visitare e in cui, improvvisamente, sembra che si voglia dissuadervi dall’avventurarvi. A meno che non ci sia qualche anima da riportare all’ovile. “Bisogna accogliere le persone con la loro esistenza concreta, sapersostenere la loro ricerca, incoraggiare i l loro desiderio di Dio e la loro volontà di fare pienamente parte della Chiesa”(5).
“Tutte queste situazioni devono essere affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in occasioni di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo…”(6).
Ma, vedete, cari Padri, coloro di cui vi parlo, non esprimono necessariamente, oggi, un desiderio di Dio che li porterebbe a voler fare pienamente parte della Chiesa. Vivono e sono felici di vivere, apparentemente senza Dio e senza Chiesa. Eppure, come laico credente, camminando accanto a loro da molto tempo, per alcuni da sempre, ho il desiderio di continuare ad incarnare presso di loro quell’“arte dell’accompagnamento” costitutiva del mio battesimo, che presuppone “di imparare sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” (7), quale che sia la sua appartenenza e il suo progetto di vita.
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Quando la Chiesa si rifiuta di vedere Dio all’opera nel cuore degli uomini
Della situazione dei divorziati risposati, osservo che vi è ora proposto “un approfondimento ulteriore” (8) e della situazione delle persone omosessuali, la ricerca di un’attenzione pastorale che si riferisca all’insegnamento della Chiesa secondo il quale: “Non c’è nessun fondamento per assimilare o stabilire delle analogie, anche lontane, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio su matrimonio e famiglia”(9). Il che ci porta al paradosso che la Chiesa si rifiuta di vedere Dio all’opera nel cuore delle persone quando ciò non corrisponde al suo modo di intendere il piano di Dio, senza neanche chiedersi se tale modo di intendere continui ad essere pertinente!
Cari Padri, a pochi mesi dall’evento che segnerà sicuramente la vita della nostra Chiesa, sento quanto è grande la vostra responsabilità e non dubito neanche per un attimo della vostra determinazione a volerla assumere in fedeltà alla Parola di Dio. So quanti e quali cambiamenti di civiltà abbiano effetti sulle
nostre società e le lacerazioni che nascono dai nostri desideri contraddittori di libertà individuale e di servizio del Bene comune.
Comprendo la vostra preoccupazione di ricordare alle giovani generazioni quanto il cammino d’amore, di fedeltà e di fecondità che viene loro proposto risponda al più profondo delle loro attese e che Dio può aiutarli ad assumerlo attraverso le prove della vita. Aderisco allo sguardo pastorale a cui invitano i Lineamenta affinché, nelle nostre comunità cristiane, nessuno si senta escluso, emarginato, disprezzato a causa del suo fallimento, della sua sofferenza, della sua differenza e del suo semplice desiderio di ritrovare la felicità.
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Trasformeremo il mondo se non lo amiamo?
Ma gli altri, cari Padri? Tutti quegli altri che, per ragioni che sfuggono sia a voi che a me, si trovano oggi indifferenti alla Chiesa e alla sua religione? Tutti quegli altri in mezzo ai quali viviamo nel quotidiano perché sono i nostri figli, amici, vicini… non avremmo null’altro da offrire loro se non un impossibile invito alla conversione? Trasformeremo il mondo se non lo amiamo già così com’è, se non gli diciamo che è amato da Dio, se non sappiamo già rallegrarci con lui di più umanità, di più solidarietà, se decidiamo di riservare il nostro sguardo e il nostro cuore solo alle persone suscettibili di giungere nel grembo della santa Chiesa cattolica, apostolica e romana? E saremmo allora ancora fedeli al Vangelo di Matteo 25, allo spirito delle Beatitudini?
Cari Padri, non voglio abusare del vostro tempo che è prezioso. La XIV Assemblea generale ordinaria del sinodo a cui siete invitati a partecipare ha come oggetto: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Osate discernere con noi, generosamente, in questo mondo contemporaneo tanto denigrato, la moltitudine e la diversità dei semi del Verbo, per farli crescere insieme, sapendo che spetta solo a Dio decidere le condizioni per entrare nel Regno.
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1. Un amico mi fa osservare che l’invito del cardinale è di rispondere ad alcune delle 46 domande formulate nei Lineamenta, non a “fare petizioni per far pressione” sul sinodo. È vero, ma non è questo il mio intento.
2. Ho presieduto, in gioventù, l’associazione degli studenti cattolici di Tolosa, prima di entrare come giornalista, dal 1974 al 2009, nel gruppo editoriale Bayard, anch’esso cattolico, di cui ho diretto per dieci anni la testata Pèlerin. Sono stato barelliere a Lourdes, catechista nella mia parrocchia, capo scout, responsabile dipartimentale poi membro dell’équipe nazionale degli Scout di Francia. Oggi membro del Consiglio delle Settimane sociali francesi, e della Conférence catholique des baptisés francophones (CCBF), sono oggi amministratore dell’Abbazia di Sylvanès (Aveyron), insieme origine della
Liturgie chorale du peuple de Dieu, e centro del dialogo tra fede e cultura. Ho dedicato dei libri a tre preti, l’incontro con i quali ha profondamente segnato la mia vita: Mons. Jacques Delaporte, arcivescovo di Cambrai, il mio amico fratel André Gouzes op. e l’abbé Pierre. Mentre, ancora per due anni, partecipo alla missione del Segretariato generale del sinodo diocesano di Créteil, cerco di preservare un po’ di tempo per la scrittura di un blog dove mi presento come “giornalista, cittadino e ‘catho en liberté’”, blog essenzialmente dedicato alla vita della mia Chiesa e al suo dialogo con la società, e dove la presente lettera è inserita.
3. Relazione intermedia § 5, 18, 38 e 22
4. ibid.§ 48, 50 e 52
5.Imedia, ripreso il 16 ottobre sul sito di Famille Chrétienne
6. Lineamenta § 11
7. ibid § 43
8. ibid § 46
9. ibid domanda n° 38
10. ibid § 55