La storia di Mark, padre e nonno gay
Testimonianza di Mark Clark* pubblicata sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 21 giugno 2020, liberamente tradotta da Silvia Lanzi
Nella Festa del Papà, circa 34 anni dopo la morte di mio padre, rifletto sui miei due splendidi figli, i migliori complici che potessi mai sperare quando ho fatto coming out.
Il mio matrimonio è finito per ragioni che nulla avevano a che fare con il mio orientamento sessuale. Infatti, non ero ancora completamente consapevole di essere gay quando le nostre strade si sono divise dopo quindici anni di matrimonio.
Stavo gradualmente chiarendo a me stesso di non essere l’etero che avevo fatto finta di essere per tutta la vita.
Per quanto possa sembrare improbabile, la mia educazione cattolica ha avuto poco a che fare con il fatto che mi sia trattenuto fino a cinquant’anni. L’ostilità dei vescovi e del clero era assolutamente scoraggiante. Ma questi rifiuti, negativi e qualche volta crudeli dei preti della chiesa della mia infanzia, si erano sedimentati nella mia mente quasi senza esserne consapevole.
Quel che mi interessava, e molto, era ciò che provavano i membri della mia famiglia. Mentre gli anni passavano, ed io ero di nuovo single, uno o l’altro dei fratelli cercava di rendersi utile organizzando appuntamenti al buio. Da questi tentativi non scoccò nessuna scintilla e, per così dire, vennero confermati i miei dubbi sul fatto che volevo davvero trovare un partner del sesso opposto.
La mia più grande preoccupazione, in questo periodo, era se i miei due figli, Sean, allora ventiquattrenne, e Rachel, diciassettenne, potessero affrontare il fatto che il loro padre fosse gay. Entrambi sono persone grandemente motivate, incredibilmente brillanti, attraenti e creative. Sean a sette anni iniziò ad interessarsi di magia, e ne diventò presto un esperto. Rachel mostrò un dono per la danza, riconosciuto, negli anni, sia da simpatizzanti che da istruttori professionisti. L’ultima cosa che desideravo era traumatizzarli.
Ero ossessionato dal pensiero di come avrei reagito se mio padre avesse scaricato su me e i miei fratelli il fatto di essere gay. Avrebbe sconvolto la mia vita. Riflettevo sul fatto che dire loro che ero gay li avrebbe storditi, come se gli avessi scaricato addosso una vagonata di mattoni. Sarebbero crollati? Si sarebbero risentiti o arrabbiati?
Sfortunatamente, avevo un sacco di tempo per rimuginarci sopra. Ero assolutamente determinato: l’avrebbero sentito dire esclusivamente da me. Stavo anche attento a non preoccupare Rachel, che era ancora al liceo, finché non si fosse diplomata. I liceali hanno un sacco di sfide da affrontare, anche senza aggiungerne una di questa portata. Così, per essere sicuro di essere proprio io a dirlo, dovevo tenere il mio segreto al sicuro da fratelli, cognati, nipoti e, ovviamente, dalla mia ex-moglie.
Passò qualche anno. Ero sul punto di raccontare il mio segreto a uno dei miei fratelli, senza paura che l’avrebbe spifferato. La fase successiva del mio piano era parlarne personalmente con gli altri cinque fratelli, e con i relativi coniugi. Riuscì tutto senza intoppi. Mancavano giusto mio figlio, sua moglie, e mia figlia, che si era appena diplomata. Mio figlio e mia nuora vennero a cena da me. Dissi che avevo qualcosa da confidare loro, e ci sedemmo a tavola. È stato uno dei momenti più tesi della mia vita, anche se avevo cercato di tenere l’ansia sotto controllo, e non avevo accennato al fatto che quello che stavo per dire fosse così sconcertante. Entrambi mi sostennero prontamente. Quando chiesi loro di come dirlo a mia figlia, mi dissero di farlo con loro presenti, per renderlo più semplice per lei, cosa che si rivelò molto utile.
Quando tutti e quattro fummo insieme, dissi a Rachel che avevo qualcosa da confidare, e che speravo non l’avrebbe sconvolta. Le dissi “Sono gay” e le accennai un po’ a quel che avevo passato negli anni precedenti. Le raccontai anche la tristezza che avevo provato quando, l’anno precedente, mi ero lasciato con il mio compagno. Quando finii, lei iniziò a piangere. Mi domandavo se avessi fatto uno sbaglio terribile. No. Era turbata perché le avevo detto della rottura, e si ricordò di come fossi triste in quel periodo: adesso capiva perché mi sentissi così.
Essere un padre gay ha significato tante cose per me, compreso diventare nonno quattro volte. Sono uno di quei gay, sempre più numerosi, che hanno figli. L’esperienza della paternità è un privilegio di cui ho fatto tesoro. Ha sempre amato i momenti belli, come quando Sean e io trattenemmo il respiro mentre lui incollava una fragile traversa in un ponte di balsa per uno dei progetti di “Odyssey of the Mind” [un programma di risoluzione di problemi rivolto agli studenti americani, n.d.c.]. Amo il ricordo del momento in cui riconobbi Rachel che entrava sul palco per danzare in uno spettacolo dell’asilo.
Ma nulla mi dà più orgoglio e soddisfazione di avere due figli così positivi sul mio orientamento sessuale. Senza dubbio, parte del motivo di questa positività sta nel fatto di essere abbastanza maturi per gestire questa rivelazione. Ma penso anche che entrambi siano persone speciali e molto sensibili.
Lo dico, ovviamente, senza nessun preconcetto.
* Il post di oggi è scritto da un ospite, Mark Clark, un giornalista in pensione, volontario di New Ways Ministry, membro of Dignity/Washington e tesoriere del consiglio della BHT Foundation (Brother, Help Thyself, Fratello, aiuta te stesso), un’associazione filantropica LGBTQ della regione di Baltimora-Washington che raccoglie fondi per organizzazioni e programmi che promuovono l’uguaglianza delle persone LGBTQ.
Testo originale: How a Son and Daughter Responded to a Gay Dad Coming Out