Padre Ernesto Cardenal e io
Riflessioni di Massimo Battaglio
E’ mancato Ernesto Cardenal, padre trappista di 95 anni compiuti, tra i principali protagonisti della Teologia della Liberazione, o della Chiesa dei Poveri, come diceva lui. Aveva preso gli ordini a quarant’anni a Cuernavaca in Messico, dopo un lungo percorso di studi letterari svolti a Managua, Città del Messico, New York. Lo ricorderemo come un intellettuale di prim’ordine, sia per il suo pensiero teologico e politico, sia per la sua sterminata produzione poetica.
La sua vita è stata una continua altalena tra poesia e rivoluzione, contemplazione e impegno civile. Nel 1966, in un Nicaragua dominato dalla dittatura di Somoza, fondò la comunità contemplativa di Solentiname, dove si coltivava un pensiero antisistema, attento al riscatto dalle ingiustizie. Le guardie somoziste la distrussero e uccisero molti dei suoi membri. Padre Ernesto e i superstiti si integrarono nella guerriglia del Fronte Sandinista.
Con la liberazione, nel 1979, Cardenal fu nominato ministro della Cultura del nuovo governo guidato da Daniel Ortega. Incarico che gli costò carissimo perché la presenza di un prete in un governo di sinistra, anzi, di stampo marxista, suonò come uno scandalo. Nel 1983, Giovanni Paolo II, in visita a Managua, gli intimò pubblicamente di dimettersi. Egli disobbedì, fornendo così il pretesto per la propria sospensione a divinis.
In realtà fu davvero un pretesto poiché l’avversione di Wojtyla e della curia romana per le esperienze di Chiesa latinoamericane era ormai un chiodo fisso, per motivi molto più politici e strategici che di riflessione teologica. Erano impegnati in una lotta senza freni contro il comunismo e lo facevano a ogni costo, anche a prezzo di sacrificare realtà interessantissime ed appoggiare vecchi e nuovi tiranni.
La foto del papa polacco che punta il dito contro il ministro sacerdote inginocchiato ai suoi piedi, resterà una macchia nella storia del pontificato di Giovanni Paolo. Macchia ancora più vistosa se accompagnata da un’altra foto famigerata: quella del papa su un balcone di Santiago del Cile accanto a Pinochet.
La sospensione di Cardenal durò fino allo scorso anno, quando papa Francesco riconobbe che fu un grave errore e lo reintegrò nella Chiesa come sacerdote nelle sue piene funzioni.
Per chi vuole approfondire la biografia del tutto particolare del grande sacerdote politico e poeta, indico un esauriente articolo su Il Manifesto. Un particolare quasi sconosciuto che vorrei sottolinare ora è che trovò parole anche per l’amore omosessuale. Sinceramente, non me lo aspettavo perché il Nicaragua non era affatto un Paese particolarmente “friendy” ma un posto in cui i ragazzi non giravano in pantaloni corti per non essere scambiati per “cani romantici”.
Non affrontò mai esplicitamente il tema, anche se lo lasciò trapelare in qualche poesia. Fu però molto vicino a Roberto Bolaño, uno scrittore e teorico di cultura queer. A una sua poesia affiderei il ricordo di Cardenal. Vi emerge la passione di entrambi per tutti i temi morali contraddittori, compresa l’omosessualità.
Ernesto Cardenal e Io di Roberto Bolaño