Padre Martin all’incontro mondiale delle famiglie: «Verso le persone lgbt accoglienza e rispetto»
Articolo di Luciano Moia pubblicato su Avvenire il 22 agosto 2018, pag.5
Ci sono zelanti difensori della dottrina che hanno pensato di avviare una raccolta di firme per cancellare la partecipazione di padre James Martin all’Incontro mondiale delle famiglie. Il gesuita americano, molto discusso per il suo apostolato tra le persone lgbt, presenterà domani a Dublino una relazione dal titolo “Mostrare accoglienza e rispetto nelle vostre parrocchie verso le persone lgbt e verso le loro famiglie”. Che è poi l’argomento del suo libro, “Un ponte da costruire Una relazione nuova tra la Chiesa e le persone lgbt, tradotto anche in Italia (Marcianum press) con la prefazione dall’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi.
Nel testo, che raccoglie il senso del suo impegno pastorale, padre Martin scrive con chiarezza di non avere come obiettivo quello di rivoluzionare la dottrina in materia di omosessualità, ma soltanto di indicare nuove prassi pastorali per persone da sempre ai margini delle comunità. Che è poi quanto indicato anche da papa Francesco al n.250 di Amoris laetitia: «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto». Non solo, «deve avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella propria vita».
Padre Martin, il suo intervento a Dublino è molto atteso e forse molto temuto. Perché nella Chiesa ci sono ancora tante resistenze di fronte a una proposta pastorale per i cristiani lgbt?
Purtroppo c’è ancora tantissima omofobia nella nostra Chiesa. Alcuni cattolici di “estrema destra” (far-right Catholics), in particolare, non sono nemmeno disponibili ad ascoltare le persone lgbt. E una triste conseguenza della volontà di demonizzare le persone a partire dalla loro diversità e alterità; e questo è esattamente il contrario di come Gesù si comportava con le persone considerate diverse. Ricordiamo che nel Vangelo, Gesù si metteva in relazione soprattutto con le persone considerate ai margini – la donna samaritana; il centurione romano; i lebbrosi, e così via – e li accoglieva nella comunità dei suoi discepoli. Per Gesù non c’era un “noi” e un”loro”; c’era soltanto il “noi”. Per come la vedo, la resistenza a trattare le persone lgbt con la dignità di esseri umani proviene da una profonda dimensione di peccato della nostra condizione umana: quella parte di noi che demonizza l’altro in quanto “altro”; un atteggiamento contro cui Gesù ebbe a combattere.
Quando lei parla di un incontro a metà del ponte, tra Chiesa e persone lgbt, lascia intendere che ciascuna delle parti dovrà fare un piccolo sforzo per incontrare l’altro. E così?
Si, ambedue queste realtà- la Chiesa istituzionale e i cattolici lgbt – devono fare piccoli passi verso l’incontro su quel ponte. Da parte della Chiesa si tratta di entrare in una relazione di “rispetto, compassione e sensibilità” con i cattolici lgbt, come chiede il Catechismo; e come prima cosa questo vuol dire porsi in loro ascolto. Ma la stessa cosa è chiesta anche ai cattolici lgbt nella loro relazione con la Chiesa: “rispetto, compassione e sensibilità”. Questo, ad esempio, significa trattare i vescovi con rispetto anche quando le persone lgbt non sono d’accordo su alcuni argomenti.
Cosa risponde a coloro che confondono tra attenzione pastorale e rovesciamento della dottrina sulla sessualità? C’è davvero la possibilità che si arrivi a giustificare l’esercizio della sessualità omosessuale?
Come prima cosa, il mio libro non mette in discussione nessun insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Ma è paradossale che – come dimostra questa domanda – noi spesso riduciamo le persone lgbt a un problema di sesso. Loro sono molto più di questo; esattamente come le coppie sposate sono più della loro vita sessuale. Le sole persone la cui vita sessuale è guardata con il microscopio “morale” sono quelle lgbt. Avere cura pastorale di loro, invece, vuol dire avere la stessa cura che si ha per qualsiasi altro: aiutarli nella loro relazione con Dio; accoglierli nella comunità; parlare loro di Gesù Cristo.
Non teme che allargando gli spazi pastorali dedicati alle persone lgbt si finisca per far credere che per la Chiesa tutti gli orientamenti sessuali sono uguali e che quindi non c’è differenza tra un matrimonio eterosessuale aperto alla vita e un rapporto omosessuale?
No, non credo sia un rischio. Tutti conoscono già gli insegnamenti della Chiesa circa l’omosessualità e i matrimoni tra persone dello stesso sesso: soprattutto lo conoscono le persone lgbt. Quello che bisogna ricordare, piuttosto, è che i cattolici lgbt sono persone battezzate. Per questo motivo fanno parte della Chiesa. II vero rischio è che la Chiesa sia un muro tra loro e Dio, invece che un ponte.