In Pakistan e India, trans e intersex chiedono rispetto
Considerazioni di Michele del 27 febbraio 2013 pubblicate sul sito Il grande colibrì
Terra di situazioni controverse, il Pakistan ci offre nuovi spunti, ancora una volta sorprendenti per chi è ancorato al concetto di occidente assimilato a civiltà. Partiamo da una candidatura, quella di Sanam Fakir, una hijra (espressione che equivale più o meno a “donna transgender”), alle elezioni di maggio che sanciranno il primo pieno passaggio di governo al popolo dopo 65 anni di vita del Paese.
La possibilità per una hijra di candidarsi deriva da un’apertura concessa dal governo nell’autunno di due anni fa, mentre fin qui intersessuali e hijra erano considerati più elementi coreografici, anche se nel passato avevano rivestito ruoli di qualche rilievo. “Il nostro destino non dev’essere semplicemente quello di cantare e danzare”, rivendica invece Sanam, che sa peraltro di avere poche chance di conquistare un seggio: “So che è molto difficile batterli, ma ognuno deve contribuire a migliorare la società. La gente era solita divertirsi con noi, ma ora ha iniziato a rispettarci”.
Il sogno di Sanam forse non si avvererà, ma quantomeno testimonia un rispetto che può iniziare a diffondersi, anche lontano dalle grandi città. E’ un punto di partenza, come quello, che avevamo già descritto, dell’educatrice Nani Jameela, la migliore insegnante di Corano della sua zona, transgender rispettata e omaggiata dai suoi concittadini.
Ma la situazione purtroppo è spesso ancora ben diversa, come testimonia il reportage del blog The virdict, ospitato sull’Express Tribune, in cui parla Sahiba, presidente dell’associazione transgender di Bahawalpur. Gli spettacoli di canto e danza alle cerimonie sono una minima possibilità di uscire per non ricorrere all’accattonaggio o alla prostituzione, i più frequenti mezzi di sostentamento di queste transessuali, che vengono rispettate solo se e quando si vestono da uomini, benché si sentano assolutamente donne.
Sahiba parla di sogni di normalità e di amore, di lavoro e di studio, ma è consapevole che “la gran parte di noi porterà con sé i suoi sogni nella tomba” ed arriva all’amara conclusione che “possiamo essere in un corpo sbagliato, ma la nostra anima è pura come quella di ogni creatura di dio: non ci potete dare l’amore, ma perché negarci anche il rispetto?”
Varcata la frontiera con l’India, la situazione sembrerebbe non migliorare, specie perché – stando ad un articolo di Jean Paul Zapata su Gay Star News – il leader musulmano Faiz Syed, presidente del Centro di ricerca islamico, avrebbe attaccato le persone transessuali, considerate “sporche e sbagliate”, incoraggiando ad espellerle dalle famiglie e a cacciarle di casa, attraverso una videointervista. Un collaboratore del sito, Omar Kuddus, ha anche proposto una sua interpretazione sempre su Gay Star News ed una traduzione dell’intervista su Facebook, creando tuttavia con queste due azioni le basi per rimettere in discussione anche l’articolo originale.
La traduzione dell’intervista di Syed, che secondo Kuddus si caratterizzerebbe sia contro gli omosessuali sia contro i transessuali, in realtà mette in dubbio l’impianto stesso della sua stessa critica: infatti, il leader religioso – pur parlando della condizione di coloro “che non possono essere inclusi né nella categoria degli uomini né in quella delle donne” come di un difetto e prospettando l’allontanamento “solo” di coloro che sono cattivi – sembra essere molto più conciliante di tanti suoi omologhi, tanto che insiste sul fatto che le hijra siano creature di Allah.
L’articolo di Gay Star News, così come la traduzione e l’interpretazione delle parole di Syed da parte di Kuddus, sono stati ampiamente contestati (sia sul sito che soprattutto sui social network) da molti commentatori. Ad esempio, Farhan Chatta, membro dell’associazione LGBT musulmana inglese Imaan, ha spiegato a Il grande colibrì come, secondo lui, la confusione di termini usati dall’articolista e dal commentatore (Syed sembrerebbe fare un discorso sulle persone intersessuali, non su omosessuali e transgender), oltre ad alcune affermazioni eccessivamente generiche e al travisamento delle parole del leader musulmano, finiscano con il costruire un’immagine completamente errata e fuori contesto.
Spostandoci in Indonesia, terra tradizionalmente ben disposta nei confronti delle minoranze sessuali (Il grande colibrì), nonostante tentativi di restrizioni da parte governativa, arriva la notizia della costituzione di una casa di riposo per anziane transgender (AsiaOne). Perché anche le persone transessuali invecchiano ed hanno diritto ad un’anzianità serena, sebbene normalmente l’attenzione mediatica e delle associazioni di assistenza badi maggiormente alle giovani.