Paolo Ribet, la chiesa valdese e le nuove famiglie “plurali”
Intervista al pastore valdese Paolo Ribet, coordinatore del gruppo di lavoro sui modelli di famiglia della chiesa Valdese
Le famiglie “plurali”, eterosessuali e omosessuali, coniugate e di fatto, con figli e senza figli, spesso al di fuori dei canoni della cosiddetta “famiglia tradizionale”, saranno al centro Convegno “La realtà delle nuove famiglie nelle Chiese e nella società” organizzato a Milano, Sabato 16 Novembre 2013, dalla REFO (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) e dalla FDEI (Federazione Donne Evangeliche in Italia).
Poniamo su questi temi alcune domande a uno dei relatori del convegno il pastore valdese Paolo Ribet, coordinatore del gruppo di lavoro sui modelli di famiglia della chiesa Valdese.
Negli ultimi 5-10 anni si ha la percezione di un significativo aumento di famiglie non coincidenti con il modello “tradizionale”: la sua esperienza pastorale conferma questa impressione? Quali sono le tipologie di “nuove famiglie” che ha più frequentemente incontrato?
Credo che sia sotto gli occhi di tutti il fatto che il modo di “fare famiglia” è profondamente cambiato. Basti un esempio: poche settimane fa abbiamo celebrato il matrimonio di una coppia che era insieme da 19 anni. E’ un fatto che si verifica sempre più di frequente che le coppie che si presentano per il matrimonio di fatto convivano già da parecchio tempo.
Ricordo qui che solo fino al secondo dopoguerra, se una ragazza si presentava per il matrimonio già in attesa di un figlio, veniva fatta entrare dalla porta laterale e non da quella centrale del Tempio, provocando dei sensi di colpa (e un senso di vergogna) che spesso non erano elaborati neanche a distanza di molti anni. Altri esempi di “nuove famiglie” si possono fare: dalle coppie interconfessionali (che un tempo erano l’eccezione ed oggi sono la norma) alle coppie che hanno già sperimentato un matrimonio e un divorzio – quindi coppie con figli grandi. Infine vediamo sempre più coppie stabili di persone dello stesso sesso.
Oltre a tutte queste realtà ve ne è una molto importante: dagli anni ’70 molti cambiamenti sono avvenuti in Italia anche sul piano del diritto. Sto pensando alla legge sul divorzio e al nuovo diritto di famiglia che hanno profondamente mutato i rapporti all’interno della coppia.
La mia sensazione è che gli uomini (maschi) non abbiano ancora metabolizzato questa nuova realtà – e i femminicidi sempre più frequenti ne sono una tragica testimonianza.
Quali sono le reazioni prevalenti tra i Membri delle comunità Valdesi e Metodiste di fronte alla crescente visibilità di queste esperienze di famiglia dentro e fuori le Chiese ?
Nel dibattere di questi temi nella mia comunità, e dai riscontri che ho ricevuto delle discussioni avvenuti in altre comunità, ho la sensazione che le chiese siano molto aperte su questi temi. Nel senso che tutti si rendono conto che questa è la realtà di oggi e più o meno tutti sperimentano (in un modo o nell’altro) o una separazione, o una coppia non sposata o conoscono persone omosessuali.
Il problema può sorgere quando parliamo della benedizione. Una cosa, infatti, è l’accoglienza nei confronti di tutti, mentre altra cosa è la benedizione – laddove si pensa alla benedizione come una consacrazione di fatto di una realtà che talora è ancora vista come problematica. Dunque, occorre esplorare di nuovo anche il senso della benedizione nelle nostre chiese.
Da dove è nata l’esigenza di creare una Commissione Sinodale valdese su questo argomento ? Quali sono i più significativi risultati del lavoro della Commissione ?
Paradossalmente, l’ordine del giorno sinodale con cui si autorizzano le benedizioni di coppie dello stesso sesso (con alcune limitazioni e garanzie), ha mostrato in tutta la sua attualità la problematica della famiglia e del matrimonio.
Per le chiese valdesi e metodiste esiste un documento sul matrimonio, votato nel 1971. Il quale, però, oggi mostra alcuni limiti. Allora il punto centrale era come porsi di fronte ai recenti documenti vaticani sui matrimoni misti (e dunque gran parte del documento si occupa di questo), mentre altre problematiche, quali il divorzio, non avevano (ancora) un grossa attualità. Intendiamoci: quello del 1971 è un bel documento, molto serio; ma, appunto, è di quaranta anni fa ed oggi va ripensato nel contesto attuale.
Questa è la ragione per cui è stata nominata una commissione che affronti il tema. La commissione si è subito resa conto della vastità dei problemi da prendere in considerazione e, secondo lo stile protestante, ha voluto iniziare la sua analisi dai dati di fatto e non, al modo cattolico, dai principi. Essa dunque per il momento ha fornito al Sinodo alcuni spunti informativi, sia di carattere biblico che sociale e giuridico (il materiale può essere consultato sul sito della Tavola www.chiesavaldese.org/riserv).
Se posso condensare in una sola frase un tema così complesso, riprenderei un’espressione che mi pare illuminante: «non esiste un matrimonio cristiano, ma esiste un modo cristiano di vivere il matrimonio» (laddove, la parola “matrimonio” può essere sostituita da “coppia”). Mi pare una definizione aperta, che mette al centro la relazione piuttosto che l’aspetto giuridico – ed è proprio la relazione che oggi mi pare che debba essere riscoperta e valorizzata.